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Subito dopo la bufera sulla giornalista palpata nel parcheggio dello stadio è scoppiata quella sui talk show anti governisti e filo No-vax di Rete 4.
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Mediaset ha deciso di interrompere per un mese i talk show politici del suo canale più anzianocentrico, lasciando a casa Paolo Del Debbio, Mario Giordano, Nicola Porro ecc.
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Credere che Berlusconi tema di veder ridotte le proprie chance presidenziali da un talk show di Rete 4 è un po’ come credere che Donald Trump sia stato bandito dai social perché non usava gli asterischi e la schwa.
Si avverte ormai sempre più forte il bisogno di un inserto speciale da allegare ai giornali, per raccogliere le “bufere sul web” della settimana e relative scuole di pensiero, più eventuali confutazioni: servirebbe più che altro agli storiografi del futuro (i buferisti del web stanno appunto sul web e non comprano o leggono i giornali, al massimo diffondono la foto dell’articolo che li ha fatti rabbuiare), per congelare l’aria dei tempi e tentare di capire qualcosa del ventunesimo secolo dove le bufere di cui sopra si scatenano con più frequenza che ai tropici.
Ve la sarete persa perché probabilmente avete un lavoro, ma subito dopo la bufera sulla giornalista palpata nel parcheggio dello stadio, e subito prima della bufera sul formaggio schiavista ma inclusivo negli spot pubblicitari, è scoppiata quella sui talk show anti governisti e filo No-vax di Rete 4.
Un dramma intimamente quirinario che procedo a riassumervi a grandi linee: qualche giorno fa (cioè mezzo secolo in anni bufera percepiti) si è sparsa voce che Mediaset avesse deciso di interrompere per un mese i talk show politici del suo canale più anzianocentrico, lasciando a casa Paolo Del Debbio, Mario Giordano, Nicola Porro e altri anchor meno iconici nel paese profondo.
Il motivo, per gli astuti retroscenisti, era ovvio: Silvio Berlusconi punta moltissimo alla presidenza della Repubblica, non può certo lasciare briglia sciolta ai dibattiti contro il vaccino, contro il green pass, contro Mario Draghi, che di certo macchierebbero il suo invece appetibilissimo curriculum.
L’arrivo di Fazio
Che fosse una notizia credibile lo ha confermato uno scoop che ha iniziato subito a girare tra i fan di Rete 4 e delle bufere, quello per cui Mario Giordano, esiliato dal Grande reset aziendale, sarebbe stato sostituito presto da Fabio Fazio che sicuramente non vede l’ora di lasciare Rai 3 alla volta di un programma in cui può prendere a mazzate le zucche per protestare contro Halloween (ineguagliata performance di Mario Giordano in una carriera che pure farebbe invidia a ogni Marina Abramović e Pina Bausch).
Credere che Berlusconi tema di veder ridotte le proprie chance presidenziali da un litigio tra portuali triestini e il primo virologo che ha risposto ai redattori di Rete 4 – e che si accontenta del semplice rimborso spese perché non si è ancora trovato un agente – è un po’ come credere che Donald Trump sia stato bandito dai social perché non usava gli asterischi e la schwa: non è neanche tra i suoi primi ventimila problemi (faccio comunque i miei migliori auguri a Silvio, perché amo i lieto fine ma ancora di più il black humor).
Insomma Mediaset ha dovuto smentire ufficialmente la notizia: Giordano e gli altri andranno in pausa solo per le feste natalizie, e torneranno presto in prima serata a deliziare i portuali e gli appassionati di arte contemporanea. Uno sviluppo che ha riacceso la bufera di segno opposto, quella dei sinceri democratici e paladini dell’informazione che non possono tollerare talk show nei quali a urlare «in galera!» siano gli altri, gli impresentabili che amano Silvio o Matteo S. e non amano Halloween o Burioni, e che stanno portando alla rovina questo paese prestandosi a fare da megafono allo scontento più belluino.
Che è un ragionamento interessante, ma forse non per le ragioni che credono loro: “fare da megafono” agli istinti più bassi per quella dozzina di ore settimanali di trasmissione ha lo stesso effetto del megafono dei social quando scoppiano le bufere e i linciaggi contro l’impresentabile del giorno, sia esso il produttore di formaggi che non sa dire di no ai suoi creativi o il minus habens che allunga le mani su una sconosciuta: febbre altissima per pochi giorni, seguita dall’oblio assoluto perché nuove rabbie sono già esplose nel frattempo cancellando le precedenti e lasciando tutto com’era prima.
Servire il megafono
Succede lo stesso nel re dei programmi di informazione presentabili: Report, che a ogni puntata rivela malaffare e abusi che fanno tirare fuori torce e forconi ai suoi affezionati telespettatori, i quali però il mattino dopo hanno già scordato tutto come un brutto sogno.
E come accade pure per i social e le chat criptate, lo sfogatoio dei talk show – nei quali mai nessuno proibisce a nessuno urla, offese, dati inventati e intimidazioni più da avanspettacolo dialettale che da thriller politico – non servirà a impedire disastri anche peggiori fuori dal recinto degli studi tv, nelle piazze e nelle strade?
Circa dieci anni fa lavorai per una stagione nella redazione di uno di questi programmi di Rete 4 (purtroppo non quello di Giordano, altrimenti ora sarei una star di Art Basel e altre fiere artistiche). Perché mi servivano i soldi, naturalmente, e perché avevo visto la famosa gag di Celebrity di Woody Allen e volevo scoprire quanto fosse realistica: la scena del rabbino e del naziskin che conversano con garbo in camerino prima di andare a scannarsi davanti alle telecamere del talk show.
Ma poiché ero giovane, e credevo che esistessero talk accettabili e talk che no, avevo anche i miei ingenui timori. Non ho mai votato Berlusconi o centrodestra in vita mia, pensavo: mi sentirò a disagio? Litigherò con chiunque? Contribuirò nel mio piccolo alla rovina-di-questo-paese prestando i miei servigi al megafono?
Dubbi così sensati che, una volta lì, credetti di aver sbagliato indirizzo: la caporedattrice del programma, con la sua criniera di dreadlock sopra un look techno rave, sembrava più un personaggio di Zerocalcare che una temibile ancella del Caimano (da allora immagino sempre che la sua omologa di Propaganda live indossi filo di perle e twinset di cachemire).
Nessuno dei miei colleghi mostrò mai la benché minima simpatia verso posizioni che oggi chiameremmo sovraniste o sfasciste. Solo gli stessi “ci serve una donna” o “ci serve uno molto incazzato” o “basta che non moriamo di noia” di cui mi raccontavano gli amici in forze ai talk show amati dal loggione avversario.
Il conduttore, l’unico tra le persone incrociate in quella redazione sulla cui fede berlusconiana non ebbi mai dubbi, era così amabile che compresi subito quella cosa della simpatia umana che Silvio suscita anche nei più feroci detrattori quando lo incrociano fuori dal ring. Ma soprattutto capii quanto uno show sia soprattutto e solo uno show, nei talk come nella fiction e nel varietà: fu chiarissimo quando, nel tentativo disperato di riempire una di quelle piazze bercianti e ostili che compongono buona parte della scaletta e che una sera era rimasta sguarnita, fermai una dolcissima vecchina che passava di lì.
Se la sentiva di dire due parole su non ricordo più quale questione di bruciante attualità? La signora, timida e spaurita, non aveva mai visto il programma ma accettò dopo molte insistenze, forse perché le feci tenerezza. Una volta interpellata dal conduttore, si trasformò in una Furia di “vaffanculo” e “vergogna” che fece crollare di applausi e fischi lo studio per ore.
Spente le telecamere, mi ringraziò col suo sorriso da nonnina e se ne tornò a casa, finalmente placata: per una notte regina della protesta, inoffensiva per il resto della sua vita. Sono sicuro che se oggi è ancora tra noi partecipa come molti altri, tra una carezza al nipotino e l’euro lasciato al clochard, alle bufere sul web o alle chat di Telegram dei no green pass comodamente dal divano: tutti sediziosi online, tutti in lacrime a chiedere perdono appena bussano i carabinieri.
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