Al vino bianco, all’occorrenza anche alla birra, marinate al prezzemolo, alla provenzale, con l’aglio. Modi tutti diversi e diversamente gustosi di assaporare lo stesso piatto, che in Belgio è specialità nazionale: le cozze. Strano, eppur vero, considerando che i frutti di mare serviti nei ristoranti e mangiati tra le mura domestiche provengono dalla Zelanda, regione olandese e non belga. Materia prima dunque straniera che viene spacciata come propria, per un piatto tipico d’importazione.

Eppure i molluschi continuano a essere un “must” di un paese che conserva a tavola usi e costumi di tradizioni antiche di tempi passati, rivisti e rivisitati, e non solo in materia di ricettario. Come può un prodotto che non c’è diventare tipico e rimanerlo? La risposta è da ricercare tra le pagine dei libri di storia.

La storia

L’origine della popolarità delle «moules» (o «mosselen», nella versione dell’altra lingua nazionale, l’olandese-fiammingo) risale al XVI secolo, quando il Belgio di oggi era ancora parte del sacro romano impero. Faceva parte delle Diciasette Province, governatorato che comprendeva l’attuale Benelux (Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo), una parte di Germania occidentale e una parte di Francia settentrionale.

Bruxelles era la capitale, e la Zelanda era, in quel momento storico, “anche” belga. È in questo momento storico che nel territorio del Belgio che conosciamo oggi si diffondono le cozze, per ragioni pratiche. Rispetto al pesce erano molto più economiche, ed erano più facilmente reperibili. Le moules si configurano dunque come piatto “povero”, popolare, consumato dalle fasce più umili della popolazione.

Il cibo di tutti i giorni era reso disponibile a un sistema di navigazione di acque interne molto più capillare di oggi che permetteva il collegamento tra la costa e l’entroterra. È così che il prodotto ittico raggiungeva le città belghe, prima della politica di interramento dei canali di molte città, inclusa Bruxelles.

Le cozze della Zelanda sono quindi un piatto tipico belga perché nascono in un momento in cui l’area era parte della nazione. Le turbolenze tra la parte protestante delle 17 province degli allora Paesi Bassi e Filippo II di Spagna, cattolico, che dalla ribellioni del 1566 portarono alla guerra contro l’impero, non scalfirono il commercio di cozze verso i territori belgi, cattolici, rimasti fedeli al monarca spagnolo e alle loro ormai consolidate abitudini alimentari.

Quando nel 1815 al congresso di Vienna le potenze vincitrici delle guerra napoleoniche decisero di costituire uno stato cuscinetto tra Francia e la confederazione tedesca del Nord, Paesi Bassi e Belgio si ritrovano nuovamente sotto un’unica bandiera, quella del Regno Unito dei Paesi Bassi. La regione della Zelanda tornava a essere belga, e così i molluschi reperibili nella porzione di mar del Nord compreso tra mare dei Wadden e baia della Schelda orientale. Per poco, però. Perché nel 1830 il Belgio proclamò la propria indipendenza, senza però rinunciare a quello che ormai era divenuto, per tutti, uno dei piatti nazionali.

Un piatto simbolo

I frutti di mare sono solo uno dei componenti del piatto tipico belga. Il secondo componente è rappresentato dalle patate fritte. Le «moules-frites» come piatto nazionale vengono presentate al mondo intero per la prima volta nel 1875, in occasione della fiera di Liegi, la più grande kermesse culinaria del regno, tenuta a cadenza regolare dal 1871 ogni mese di ottobre.

La presentazione innesca una contesa tra il regno del Belgio e la Francia, che condividono un tipo preciso di patata, nota come “Bintje”. Ormai i belgi sono soliti friggere le patate due volte, nell’olio e nel grasso animale.

Ma al netto delle procedure, chi ha pensato per primo a friggere il tubero? Les belges si prendono il merito, facendo risalire al XVII secolo il punto di svolta. La versione belga della storia, e della contesa, narra che un inverno particolarmente rigido del Seicento gelò completamente la Mosa, e gli abitanti di Namur, in Vallonia, si ritrovarono privati del pesce di fiume, che si era soliti mangiare “dorato”. Con le acque di navigazione interne precluse al traffico marittimo, neppure le cozze, cibo a buon mercato e alla base dell’alimentazione giornaliera, potevano essere consegnate, e allora si ricorse alla patata, alimento allora disponibile. Fu in quel momento che si iniziò la frittura, poi affinata con il corso del tempo.

Di fronte a frutti di mare propri solo per brevi momenti storici, l’accompagnamento servito con le cozze, questo sì più belga (a detta dei belgi, però), ha permesso la creazione del piatto ancora oggi esempio specialità della casa e impostosi come tratto caratteristico del paese casa delle istituzioni comunitarie.

A proposito di Ue, la storia in movimento ha finito per influire sui costi delle cozze belghe, sempre più ricercati da curiosi e golosi. Tra lo sviluppo del turismo, la crescita economica generalizzata, una ricchezza prodotta dal fatto di ospitare la capitale dell’Unione europea, attualmente il costo medio di una porzione di moules-frites al ristorante si aggira attorno ai 30 euro a persona.

Non certo prezzi a buon mercato. Il prodotto nato povero è oggi una scelta di qualità e quasi da ricchi. La promozione del prodotto ne ha accresciuto inevitabilmente la richiesta, contribuendo a far lievitare il prezzo. Il business sul piatto nazionale continua dunque a prosperare su un prodotto geograficamente non belga, che si spiega anche in ragione delle proprietà del prodotto.

Le cozze non sono tutte uguali, e la ragione per cui, nel tempo, in Belgio si è rimasti fedeli a quelle zelandasi si spiega in parte per abitudine, in parte per praticità commerciale e mercato consolidato, ma soprattutto per via di dimensioni e sostanza. La cozze della Zelanda sono più grandi e più carnose. In sostanza, per ogni valva aperta, si ci riempie di più la pancia. Da ultimo, il gusto. Le cozze belghe della Zelanda sarebbero anche più buone delle altre. L’unico modo per sapere se è davvero così è provarle.

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