Indossare il visore Apple significa guardare un futuro in cui i confini tra realtà fisica e virtuale stanno sparendo. Un’esperienza entusiasmante, ma che pone diversi interrogativi. Il primo è: cambierà il rapporto con la morte?
Ho visto il futuro e non so se mi è piaciuto. Meglio: mi ha entusiasmato, però mi ha fatto anche pensare alla morte. A come si assottiglierà il suo confine con la vita. Eppure, credevo di star solo provando un nuovo visore.
La prova
Un pomeriggio di fine febbraio, a Los Angeles. Prenoto una demo di “Vision Pro” in un Apple Store: per mezz’ora circa potrò provare il nuovo visore di Cupertino, che «seamlessly blends digital content with your physical space», fonde senza sforzo contenuti digitali e il tuo spazio fisico.
Senza sforzo, sarà per lui. Al mio cervello sembra di fare un salto quantico per entrare in questo mondo che non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti. Infinita sono anch’io, apparentemente seduta su uno sgabello in un mall americano, in realtà in viaggio tra tempo e spazio.
Ci entro fisicamente dentro, ci sono immersa in 3D, anzi quattro se aggiungo l’incredulità. Mi spavento quando tre rinoceronti mi vengono addosso, respiro sott’acqua insieme a un sub, mi sento un puntino sperduto nella magnificenza di montagne e ghiacci che mi circondano da ogni lato, partecipo alla jam di una cantante che è lì accanto a me e mi sorride, potrei toccarla o forse no, non so più dove finisce il mio spazio e comincia il suo. Come Alice sono entrata nello specchio.
«Welcome to the era of spatial computing», mi avevano avvertita: sto entrando in un mondo nuovo, è il metaverso bellezza, e tu non puoi farci niente. Perché dovresti, del resto? È tutto fantastico, dopamina pura per il cervello, che si auto bombarda di domande.
Salto nel futuro
Quando questa tecnologia diventerà abbordabile, cosa vorrà dire frequentare gli amici? Avremo ancora bisogno di valigie per viaggiare, o basterà allungarsi in poltrona? Cosa diventerà il cinema, se i registi possono letteralmente immergere gli spettatori nelle storie che creano? Ora che, grazie a Intelligenza artificiale e Sora, bastano istruzioni verbali a costruire scene realistiche? Ci sarà ancora differenza tra protagonisti e spettatori, nel Brave New World virtuale? E soprattutto: cosa succederà del ricordo dei nostri cari scomparsi, quando avremo a disposizione biblioteche intere di video immersivi con loro, in cui continueranno a parlarci, guardarci negli occhi, chiacchierare con noi in 3D?
Vivi, vivissimi, per sempre. Come nella serie tv Upload di Greg Daniels su Amazon. Com’è forte la tentazione di sperare in un “secondo tempo”, sia pure solo per un nostro avatar. Un aldilà nel metaverso, perché no?
«Siamo davanti a un cambiamento totale della nostra esperienza del mondo. Un nuovo Rinascimento», è l’opinione di Dan Mapes, esperto di intelligenza artificiale e machine learning, fondatore di Verses.ai e autore di The Spatial Web.
«Per capire il futuro bisogna guardare al passato. Noi umani amiamo le storie, l’Odissea di Omero è ancora in circolazione. Nei secoli si sono trasformate da orali in scritte, da libri in film. Con l’arrivo del metaverso non butteremo via il vecchio, ma gli dedicheremo meno tempo. Prima del cinema c’era il teatro, poi si è capito che in un film si possono fare cose impossibili su un palco: entrare nella mente di una persona e vedere i suoi sogni; viaggiare nel tempo; saltare da un luogo all’altro. Andiamo ancora a teatro, ma il cinema è diventato un business enormemente più grande. La domanda ora è: quale nuovo media farà i film? Già due generazioni sono cresciute con videogiochi, PlayStation, Xbox».
Molti di questi ragazzi, prosegue Mapes, quando giocano “entrano” nel gioco. Per settimane, mesi, anni, come nel caso di World of Warcraft, che ha generato incassi per miliardi di dollari. «Il cinema probabilmente sta morendo. Però la maggior parte dei giovani sotto i 35 anni potrebbe, in futuro, esservi molto interessata, per entrare in straordinari metaversi, vivere esperienze incredibili. Film e spettacoli televisivi sono media lineari: un inizio, una parte centrale e una fine, tu sei seduto passivamente e guardi.
Nell’universo del continuum, invece, fai esperienze: voli a Parigi, scendi dall’aereo e sei tra nuovi suoni, odori, culture, persone e lingue, giri per le strade. L’esperienza di mondi virtuali sarà 100 volte più intensa di quelle possibili oggi al cinema. Invece di andare a vedere Avatar al cinema, si “andrà” sul pianeta Pandora e si “vivrà” con i Navi, imparando a cavalcare rettili volanti, vivere su un albero. Sentirsi lì dentro».
Cinema e viaggi
In questo futuro prossimo, insomma, tu sei il tuo film. «Accade già con Sora, che traduce testi in sequenze cinematografiche, ma nel 2025 grazie all’Ia potrà includerti nella trama. I personaggi si rivolgeranno a te. Immaginiamo che io voglia vivere un’esperienza nella Parigi anni Trenta: l’Ia mi aiuterà a creare questo splendido mondo virtuale, i personaggi sapranno il mio nome.
Mi diranno: “Dan, vieni con noi a una festa”. Mi vestirò con abiti dell’epoca, incontrerò persone: alcune reali, altre create dall’intelligenza artificiale. E non saprò distinguerle». Per Mapes accadrà prestissimo. Nello sviluppo tecnologico, sostiene, esistono “punti di flesso”: momenti in cui una curva cambia direzione. Le nuove tecnologie all’inizio sono usate da “early adopters”, il 3-4 per cento della popolazione, ma se si arriva al 10-15 per cento esplodono: migliorano, diventano facili da usare. «Per queste, il punto d’esplosione è l’estate 2025, quando le Ia saranno davvero capaci e mondi virtuali potranno essere costruiti semplicemente parlando».
Allora smetteremo di viaggiare fisicamente? Mapes è ottimista al riguardo. Gran viaggiatore, adora le esperienze fisiche, compreso lo sport dal surf alle immersioni. «Nasceranno esperienze virtuali di viaggio e questo metterà addosso alle persone ancor più voglia di viaggiare nel mondo fisico. Nei mondi virtuali andremo avanti e indietro nel tempo, esploreremo luoghi dove avremmo timore di andare. Addirittura, ci saranno persone pagate come “creatori di esperienza” per gli altri: scaleranno il monte Everest con telecamere speciali e, in tempo reale, noi lo faremo con loro».
Il rapporto con la morte
Torniamo al punto d’inizio: queste esperienze immersive potrebbero trasformare il nostro rapporto con la morte. Potremo vedere e rivedere persone care scomparse, incredibilmente vicine, così reali che ci sembrerà di poterle toccarle.
Che impatto avrà sulla nostra psiche? «Nel metaverso avrai amici che frequenti anche nel mondo fisico, e altri che frequenti solo nel metaverso, per esempio perché loro vivono a Milano e tu a Los Angeles. Saranno combinazione di loro stessi e di Ia, che sta imparando tutto su di loro. Un giorno uno di loro potrebbe morire e tu non te ne accorgeresti, perché è nel metaverso con te, parla ancora e fa cose con te. E tu nemmeno sai che è morto».
Mapes, ma non è spaventoso? «Il futuro fa sempre paura. Noi siamo a nostro agio con ciò che conosciamo, ma sulla Terra tutto è evoluzione. Eravamo organismi unicellulari, poi pluricellulari, poi c’è stato il Big Bang biologico e sono comparsi animali e piante. Poi i dinosauri, i mammiferi… Noi siamo solo una tappa del percorso. Stiamo iniziando a costruire una città sulla Luna, il Progetto Artemis, poi ne progetteremo su Marte. Gli esseri umani sono adattabili. La cultura cibernetica dell’intelligenza artificiale sarà il dna di una nuova civiltà».
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