Il Grand’uomo ha diversi problemi esistenziali e una soluzione scritta su un tovagliolo al bar. I problemi: «Mia moglie è un’alcolizzata, la mia bambina scappa nel bosco, il popolo ha scelto un presidente africano». La soluzione: «Il piano di un patriota per preservare e proteggere». Preservare e proteggere cosa? Il vecchio mondo che scivola via, il suo paese che «va a puttane».

Il Grand’uomo è un finanziatore del partito repubblicano. È dell’Arizona, come il candidato alla presidenza dei conservatori, John McCain, che sta per perdere le elezioni contro Barack Obama. Ha passato la vita a fare i soldi invece di cercare di «cambiare il mondo», che poi nel suo caso significa fermarlo nell’ambra della nostalgia, cristallizzare il ricordo di un’America che sta scomparendo e che forse non era mai davvero comparsa. Il Grand’uomo è uno che conta, terrorizzato dall’idea di diventare uno che contava.

Legge Tocqueville e immagina di incarnare il paese che avevano in mente i Padri fondatori. Odia i neri non per convinzione, ma per tradizione. È un razzista preterintenzionale che presiede abitualmente sontuose feste politiche da mondo pre diritti civili dove gli uomini hanno i gemelli ai polsini e sua moglie vomita in bagno. Quella festa, nella sera delle elezioni del 2008, è diversa dalle altre.

È una liturgia della fine, mentre nel resto del paese le persone scendono nelle strade e fanno festa, sapendo che si ricorderanno per sempre dove e con chi erano quella notte. Ed è da quella fine che inizia il romanzo Il complotto di A.M. Homes, pubblicato in Italia da Feltrinelli.

La vicenda si conclude fatalmente il 20 gennaio 2009, il giorno dell’insediamento di Obama, quello in cui «quell’uomo si scoperà la moglie alla Casa Bianca», come dice uno degli ospiti delusi quando perfino dagli studi della Fox devono ammettere che il primo afroamericano in corsa per la presidenza effettivamente ce l’ha fatta.

Resistere alla vita

Il senatore McCain concede la sconfitta, ma lo fa con la grazia di chi sa che anche l’avversario è parte del suo stesso progetto politico, della sua storia: «Invito tutti gli americani che mi hanno sostenuto a unirsi a me non solo per congratularsi con lui ma per offrire al nostro futuro presidente i nostri sforzi e la nostra buona volontà». Grand’uomo e i suoi amici non la vedono allo stesso modo.

Così da amici diventano compagni di cospirazione, pronti a realizzare in qualche modo quello che il capo aveva appuntato sul tovagliolo. Il motto Make America Great Again non compare, ma il senso è quello. A.M. Homes, grande scrittrice di racconti e storie alle prese con la forma del romanzo, costruisce la storia con sapienza geometrica e profondità psicologica. Soltanto Grand’uomo rimane a due dimensioni.

Resiste disperatamente al tempo, al cambiamento, alla vita, mitizza i Padri fondatori e cerca di inculcare nella figlia l’amore per i loro immobili insegnamenti. «Lui non parla di sé né della sua infanzia. Parla di personaggi storici, battaglie, guerre, trattati e dei tre poteri dello stato». Quando le cose nella sua mente si complicano inscena battaglie con i soldatini sul tavolo del suo studio. I suoi soldatini sono «di altissima qualità, stagno, piombo, metallo misto», non usa la plastica perché nelle sofisticate ricostruzioni c’è anche il fuoco, e allora la plastica «si scioglie in una poltiglia fusa di melma tossica».

E quando le cose nella realtà si complicano per davvero, con l’elezione di un presidente nero, allora mette in scena un vero complotto, con soldati veri, anche se non portano l’uniforme. Prende così il via una intricata congiura fatta di nomi in codice, ordini segreti, operazioni di disinformazione, confusione circa le operazioni di disinformazione, sentimenti paranoici e pulsioni apocalittiche.

L’idea non è quella di un colpo di stato novecentesco, ma un’altra cosa molto più radicale e indecifrabile che inesorabilmente si allontana dall’originario proposito di preservare e proteggere ed è sintetizzata così da uno dei cospiratori: «Rompiamo la schiena all’America per raddrizzarla».

Dicono i complottardi che «sembrerà un evento naturale, una richiesta di sicurezza, un ritorno ai nostri valori fondamentali», sarà una «lenta onda anomala che investirà il paese restando sostanzialmente inosservata fino a quando il popolo americano non sarà stato decimato dal punto di vista economico, fisico e spirituale».

E quando l’America sarà in ginocchio, prostrata dalla crisi economica, dalla disoccupazione, dalle faide interne, dalla paura, dalle inimicizie, dalla logica della “fazione” – che era il terrore dei Padri fondatori – ecco che allora nell’animo stremato del popolo sorgerà il bisogno istintivo di affidarsi a un nuovo governo autoritario, che prometterà di tornare al vecchio. A quel punto i cospiratori saranno pronti per realizzare quello che Grand’uomo ha in animo.

Romanzo senza chiave

Intanto, intorno a lui tutto cambia. La moglie finisce in una clinica, si disintossica dall’alcol e si intossica con altre cose, sviluppa curiosità bisessuali, coltiva desideri che sfuggono completamente al marito. La figlia Meghan (si chiama proprio come la figlia di McCain), che una volta aveva stretto le mani del senatore repubblicano e aveva sentito qualcosa, si perde nei boschi attorno all’università assieme al suo cavallo, incontra un cerbiatto ferito, chiama subito la polizia che incredibilmente uccide l’animale a colpi di pistola e poi scorta la ragazza traumatizzata fuori dalla foresta. Ed è lì che capisce che sta succedendo qualcosa di strano, qualcosa che la porterà molto lontano dal mondo del padre.

Homes ha concepito questa storia molto prima che l’Arancione ascendesse sulla scala mobile del grattacielo che porta il suo nome, e poi da lì alla Casa Bianca e di nuovo giù, sulle soglie dell’insurrezione eversiva. Il complotto non è un romanzo a chiave, cercare di leggerci dentro il presente politico è un esercizio inutile.

La cosa più banale che si possa dire è che il racconto è stato superato dalla realtà con l’arrivo di Trump, l’assalto a Capitol Hill e via dicendo. Ubriachi come siamo di storie vere, non riusciamo più a goderci vere storie.

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