Cinquant’anni fa usciva in sala uno dei film più violenti e scioccanti della sua epoca, e anche uno dei più noti e influenti. Nonostante non fosse chiaro all’inizio negli anni sempre di più è diventato il film che ha convinto più persone a non mangiare più carne
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Nel 1974 i vegetariani erano una minoranza trascurabile, una stranezza, e il termine vegano non era ancora di uso comune. Mangiare carne era ancora un totem della cultura di massa. A venticinque anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il mondo occidentale aveva vissuto decenni di crescente benessere e mangiare carne, anche spesso, era per molte famiglie una conquista, non un problema. Poi uscì Non aprite quella porta. Il più grande film vegetariano sotto mentite spoglie.
È uno dei grandi e rivoluzionari film dell’orrore, in cui un gruppo di ragazzi di città su un van si addentra nelle campagne americane depresse, zone povere, una volta industriali e ora dimenticate. Lì entrano in contatto, non volendolo, con una famiglia di killer cannibali. In un tripudio di sangue finiranno tutti malissimo, fatti a pezzi letteralmente. Una sola di loro riuscirà a scappare.
Nessuno aveva mai visto tanta violenza e quel film si poteva permettere di mostrare tutto quel sangue perché era una produzione indipendente, cioè non era stato finanziato da una grande società ma con pochissimi soldi e in quasi autonomia. Anche un incasso misero sarebbe bastato per andare in pari. A differenza degli altri film indipendenti dell’epoca, invece, fu un successo tale da cambiare il cinema.
Con Non aprite quella porta nasce il cinema splatter, quello cioè efferato, pieno di sangue e arti mozzati, dei killer e dei mostri che inseguono le vittime facendole fuori una ad una. Ma da lì sono anche nati molti vegetariani. Negli anni Non aprite quella porta ha causato più conversioni di qualsiasi altro film. Lo afferma l’associazione che tutela i diritti degli animali Peta (People for Ethical Treatment of Animals), che ha inserito il film in cima alla sua lista dei dieci film che fanno smettere di mangiare carne; lo affermano molti vegetariani (tra cui Guillermo Del Toro, il regista di La forma dell’acqua e Il labirinto del fauno che ha detto di aver smesso di mangiare carne dopo aver visto quel film) ed è infine abbastanza evidente se si guarda il film tenendo presente la cosa.
Benché infatti Non aprite quella porta non sia mai didascalico, cioè non metta l’idea che mangiare carne è sbagliato in primo piano ma la nasconde, usando il simbolismo, le allusioni e le allegorie, lo stesso questa è evidentemente lì se la si vuole vedere. È il tipo di tecnica che usano i film migliori: non impartire lezioni ma fare in modo che l’associazione tra repulsione per la violenza e macellazione animale venga fatta nelle teste delle persone e non sullo schermo.
Le allusioni
Per riuscire in questa impresa tutto il film è disseminato di allusioni. Nella trama la minaccia più grossa è un membro di questa famiglia di cannibali che indossa una maschera fatta con la pelle delle sue vittime scuoiate, ed è vestito da macellaio.
La famiglia, si capisce, era impiegata nella macellazione di animali prima che le grandi aziende lasciassero quelle zone, causandone la depressione e la loro casa ha alcune stanze attrezzate come macelleria. Uccidevano animali che sarebbero poi stati macellati e ora, impazziti, uccidono uomini come se fosse la stessa cosa.
Oltre a questo i protagonisti del film si dichiarano vegetariani (cosa che non accadeva mai nei film di quegli anni), viene descritto minuziosamente come si uccidono gli animali al macello e poi loro stessi vengono massacrati esattamente in quelle maniere (appesi ai ganci, martellati in testa…). Addirittura una delle vittime mentre viene portata via per essere uccisa urla come un maiale.
Insomma, guardando Non aprite quella porta ci si spaventa per quello che viene fatto agli esseri umani ma, visto che avviene con le tecniche della macellazione dell’epoca, ci viene detto sottilmente che è esattamente quello che facciamo agli animali che poi, come la famiglia di mostri, ci mangiamo e usiamo per vestirci.
«Io stesso ho smesso di mangiare carne durante la lavorazione del film», ha dichiarato recentemente Tobe Hooper, che quel film lo ideò e diresse: «In un certo senso, ho sempre creduto che il cuore di Non aprite quella porta riguardasse proprio la carne; parla della catena alimentare e ha a che fare con l’uccisione di esseri senzienti. E c’è il cannibalismo. E questo è vero anche se devi arrivarci da te perché è solo implicato».
Anni di film polemici
Gli anni Settanta sono stati per il cinema americano quelli del cinema ribelle, delle controculture al potere e dei film con contenuti adulti e con censure blande. Sono gli anni de L’esorcista e Il padrino, per fare due esempi, ma anche de Lo squalo. Quelli in cui tutto ciò che alla fine degli anni Sessanta era maturato in termini di sogno di una nuova società, arriva al mainstream come protesta se non proprio provocazione.
Non solo quindi c’era una classe di sceneggiatori e registi pronti a fare film polemici, non solo c’erano dei produttori che avevano capito che era conveniente finanziarli, c’era soprattutto un pubblico assetato di questi contenuti che affollava le proiezioni. E infatti nonostante fosse di una violenza senza precedenti Non aprite quella porta incassò tantissimo, diventò un caso cinematografico: 30 milioni di dollari di botteghino a fronte di 300mila dollari spesi per realizzarlo.
Al di là delle cifre guadagnate però a certificare l’impatto del film c’è la statistica che vuole che nel periodo in cui il film era nelle sale si registrò un calo del 18 per cento degli incidenti criminali in America, perché visto che nel film parte delle brutte cose che avvengono sono dovute al fatto che i protagonisti danno un passaggio a un autostoppista, chi l’aveva visto non si fermava più per dare passaggi.
Se a tutto questo si aggiunge poi il fatto che i temi vegetariani non erano mai stati raccontati in un film, almeno mai in questa maniera così polemica, violenta e provocatoria, è chiaro quanto il film potesse funzionare sia a un primo livello più evidente, per la violenza, che a un secondo più profondo e inconscio, per l’associazione con il consumo di carne. In una scena di grande tensione, l’ultima ragazza rimasta in vita è incatenata a una sedia a tavola, quando la famiglia di orrendi cannibali serve in tavola la carne dei suoi amici. Guardandola grugniscono e fanno versi animali per prenderla in giro come se lei fosse il maiale, la loro prossima pietanza.
Fine dell’umanità carnivora
Nasce quindi qui la fine del mito dell’umanità carnivora, con uno scoppio la cui onda d’urto si propaga per decenni. Molte delle persone che dopo aver visto questo film hanno smesso di mangiare carne non l’hanno visto al cinema all’epoca, ma in casa, in VHS, in DVD, su piattaforma o piratato grazie al suo crescente successo lungo i decenni. Citato sempre tra gli horror più influenti, rivoluzionari e spaventosi, dotato di tantissimi sequel, videogiochi dedicati e di un remake a inizio anni 2000, è un caposaldo della cultura del cinema di paura.
In questo senso Non aprite quella porta ha avuto anni per instillare in molte teste un’associazione tra le sensazioni terribili date dal guardare quei ragazzi massacrati in quei modi, e l’idea della macellazione degli animali. Anche grazie a quel calcio d’inizio così scioccante, audace e provocatorio oggi il vegetarianesimo è decisamente più accettato e più raccontato. È parte di ogni società, è nei film, è promosso dalle celebrità ed è considerata una scelta responsabile. Al contrario il mito dell’essere carnivori come scelta naturale della razza umana è definitivamente demolito ed è diventato quel che effettivamente è: un’opzione tra le tante.
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