La rilettura non neutrale del passato è il modo migliore per legittimare svolte anche nel nostro presente. Le dispute teoriche subiscono spesso l’influenza del potere, mentre scompaiono i testimoni diretti
- Lo scorso anno è stato il 75esimo anniversario dell’arrivo dei russi ad Auschwitz. I paesi principalmente interessati a quella storia, Russia, Polonia e Israele, si sono scambiati pesanti accuse.
- Queste dispute non sono fatte per trovare ragioni del tempo che fu; ci si dà battaglia sulle questioni del passato ma le vittorie che interessano sono sul presente, perché devono diventare il grimaldello per modificare artificiosamente la narrazione storica.
- Su questi temi (quasi) tutti i politici sono considerati vacui e retorici, e per questo un ostacolo di poco conto, sono gli storici a essere considerati degli scogli da superare.
Da qualche anno in Italia e in Europa c’è particolare fermento sulle dispute di ordine storico, nel nostro paese negli ultimi anni si possono annoverare due grandi casi: Pansa con il suo accanimento sui cosiddetti “crimini partigiani” e parallelamente la questione foibe\esodo giuliano-dalmata. A livello europeo la situazione è ancora più articolata; in Germania si discute dei crimini compiuti dall’armata rossa e i bombardamenti a tappeto come è accaduto a Dresda; se ci spostiamo in Polonia è anche peggio, dove si mischiano le questioni sull’antisemitismo interno e le problematiche sollevate dalla successiva occupazione sovietica; lo stesso tipo di polemiche polacche le troviamo anche in alcuni paesi baltici.
Lo scorso anno che è stato il 75esimo anniversario dell’arrivo dei russi ad Auschwitz, i paesi principalmente interessati a quella storia, Russia, Polonia e Israele si sono scambiati numerose pesanti accuse. Sebbene le truppe sovietiche abbiano liberato il campo di concentramento, il presidente russo Vladimir Putin ha boicottato la cerimonia in Polonia ma si è recato la settimana dopo al memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme. Il presidente polacco Duda si è ritirato dall'evento israeliano, offeso per i commenti di Putin che attribuisce alla Polonia colpe rispetto alla guerra e alla Shoah. Duda ha accusato Putin di dire una "bugia storica" contro accusandolo sul massacro di Katyn e degli arresti dei polacchi mandati poi nei gulag.
Questa è una panoramica minima, ma si potrebbe continuare con lo scontro in Spagna sul franchismo, il genocidio armeno e i turchi e tante altre questioni più regionali, vedi situazione nella ex Jugoslavia o dell’Ucraina.
Questo non sta accadendo per caso, queste dispute non sono fatte per trovare ragioni del tempo che fu; ci si dà battaglia sulle questioni del passato ma le vittorie che interessano sono sul presente, perché devono diventare il grimaldello per modificare artificiosamente la narrazione storica.
Sottile linea rossa
Siamo in un momento storico di passaggio, le ultime persone che hanno vissuto la guerra ci stanno salutando per sempre, a breve nessuno potrà più dire io c’ero. Per decenni le generazioni dei testimoni hanno difeso le conquiste politiche che gli stati hanno maturato dopo la tragiche esperienze dei totalitarismi, e della guerra. Oggi quella “sottile linea rossa” basata sulla coerenza storica tra le vicende del passato e sviluppo politico, non potendo più essere tenuta da questi ultimi, è spesso difesa dagli storici, che hanno limato, approfondito, ricercato e precisato molti accadimenti che sono oggetto di questi scontri.
Ognuna delle situazioni sopra indicate ha risvolti sulle politiche del presente; i movimenti nazionalisti cercano d’usare la storia per ripulire l’armadio dagli scheletri e per togliersi delle responsabilità, o, se questo non è possibile, gettare fango sulla parte avversa, per fare in modo che la gente comune possa pensare che tutti abbiamo compiuto altre violenze: tutti colpevoli, nessun colpevole. Un enorme effetto melassa, per ridare smalto e credibilità a tutte le parti in causa, anche quelle sbagliate.
Su questi temi (quasi) tutti i politici sono considerati vacui e retorici, raramente concreti, per questo sono considerati un ostacolo di poco conto, sono gli storici a essere considerati degli scogli da superare. Questo attacco non colpisce solo gli storici ma, come testimoniano le cronache nostrane di questi giorni, anche i medici, che si devono addomesticare al potere politico.
Il metodo
Il mestiere dello storico è oggi più che mai sentito come politico, perché tocca più o meno direttamente interessi politici, e sono sempre più gli attacchi verso la categoria: il primo caso fu quello della storica Deborah Lipstadt querelata da David Irving sulla questione del negazionismo della Shoah. In questi tentativi di riscrivere la storia il negazionismo ha una parte centrale, perché spesso dietro a questi tentativi ci sono politiche e metodi negazionisti su verità storiche ormai accertate. Il metodo è semplice, efficace e replicabile: anche nel muro più solido e perfetto possono esistere delle crepe, come in tutte le cose fatte dall’uomo, quando la si è individuata si incomincia a battere ossessivamente proprio su quel punto, proponendo l’assunto che se c’è un buco tutto il muro è un buco, anche se è solido di fronte a noi.
Sono soprattutto i movimenti nazionalisti che si gettano in questo agone: antifascismo, resistenza, Shoah, sono stati gli ethos sui quali nel corso degli anni sono risorti politicamente gli stati nel dopoguerra. Nazismo, fascismo, i totalitarismi e tutto ciò che ha prodotto o è stato prodotto da quella stagione è stato etichettato come male assoluto. Dalla comprensione di quanto i nazionalismi abbiano fatto male all’uomo, gli stati sono dotati di maggiori strumenti democratici che di fatto li hanno avvicinati: pur nella suddivisione in blocchi, nel vecchio continente si è dato vita all’Europa unita e le Nazioni Unite avevano un maggior peso politico nella risoluzione delle questioni mondiali.
Il paradosso della tolleranza
Oggi questi nazionalismi sono tornati, sono più di 70 i muri nel mondo, e reclamano una sempre maggiore visibilità e peso politico, ma questo loro avanzamento è limitato dal peso del loro passato, un passato che però non vogliono cancellare, anzi che rivendicano più o meno apertamente. La loro strategia mira a centrare due obiettivi in un colpo solo: riabilitarsi senza abiurare il proprio passato. È operazione sicuramente ardita, che per riuscire deve essere condotta con molta aggressività, ripetendo in maniera martellante alcuni mantra considerati determinanti per avvicinare e convincere la gente a questa nuove tesi.
Abbiamo detto ardita, aggressiva, ma semplice nello svolgimento, bastonando e distorcendo le tesi altrui, facendosi passare come vittime di uno pseudo pensiero unico, fin anche appellandosi a una mancanza di democraticità, quando si è i primi a negarla come ci ha ben spiegato il filosofo Karl Popper con il suo paradosso della tolleranza.
Tra i tanti casi che rispettano questo canovaccio, citiamo gli ultimi due saliti all’onore delle cronache. In Polonia il processo farsa contro gli storici Grabowski e Engelking sull’antisemitismo polacco, in Italia quello che sta accadendo allo storico Eric Gobetti, reo di aver scritto un libro “sulle foibe” in una maniera difforme da quello che la destra nazionalista nostrana sostiene. Contro di lui si è innescato un vero e proprio shit-storm, che è arrivato fino ai massimi livelli della politica italiana.
Lo storico per antonomasia Marc Bloch ha scritto nel suo famosissimo testo Il mestiere dello storico che «L'incomprensione del presente cresce fatalmente dall'ignoranza del passato»: il tentativo è proprio questo, intorbidire le responsabilità, mischiare vittime e carnefici, confondere il lettore e intimorire gli storici. Siamo in un passaggio storico epocale, la storia unitamente alla civiltà sono un argine indispensabile contro l’autoritarismo che ha già sconvolto il mondo, la nostra società ha bisogno anche del lavoro degli storici per ancorarsi alla democrazia che sta perdendo le radici ove è risorta circa ottanta anni fa.
© Riproduzione riservata