- «Le immagini di Giovanni Chiaramonte ci insegnano come sia necessario guardare moltiplicando i punti di vista dentro e fuori di noi, per vedere in modo più consapevole e libero, abbandonando l’idea che esista una cosiddetta “realtà” assoluta e precostituita».
- Per Corrado Benigni, poeta, critico e curatore della mostra “Realismo infinito” che inaugura oggi all’ex monastero di Astino (Bergamo), la visione del mondo di questo autore ha contribuito negli anni a produrre un nuovo alfabeto visivo.
- Realismo infinito mi è sembrato fin da subito un titolo perfetto per questa mostra che ripercorre tre decenni di lavoro e di riflessione sul paesaggio. Questa felice espressione mette in luce tutta la forza di verità delle sue immagini.
«Le immagini di Giovanni Chiaramonte ci insegnano come sia necessario guardare moltiplicando i punti di vista dentro e fuori di noi, per vedere in modo più consapevole e libero, abbandonando l’idea che esista una cosiddetta “realtà” assoluta e precostituita. E di questi tempi ce n’è gran bisogno».
Per Corrado Benigni, poeta, critico e curatore della mostra “Realismo infinito” che inaugura oggi all’ex monastero di Astino (Bergamo), la visione del mondo di questo autore ha contribuito negli anni a produrre un nuovo alfabeto visivo che s’incrocia perfettamente con i temi del cambiamento.
«Chiaramonte è uno dei protagonisti di “Viaggio in Italia” e le mostre ad Astino che ho curato in questi anni vogliono soprattutto indagare questa particolare stagione della fotografia italiana con un lavoro di carotaggio sui singoli autori, ognuno con una particolare cifra, non certo ascrivibili a un movimento artistico».
Che cosa distingue Chiaramonte dai compagni di strada di “Viaggio in Italia”?
Come loro non è un fotografo “realista” ed è certamente legato ai modelli della nuova ricerca della fotografia degli anni Settanta, tuttavia a Chiaramonte non importa costruire un’immagine “concettuale”, bensì interpretarla in termini metafisici. Come scrivo nel saggio del libro, la sua fotografia è un “testo” stratificato nel quale confluiscono discipline e saperi intrecciati - dalla teologia orientale alla poesia, dalla filosofia all’arte antica -, per costruire un discorso che va oltre la dimensione del racconto del mondo. Anche per questa ragione il suo lavoro non si lascia interamente ricondurre a direzioni interpretative troppo definite, mantenendo un proprio grado di autonomia, di resistenza.
Lei scrive che in Chiaramonte il paesaggio italiano è la matrice per comprendere la civiltà occidentale. In che senso?
Il territorio italiano si presenta come una stratificazione di culture e civiltà, che racconta in un colpo d’occhio la storia dell’intero Occidente, perché accoglie in sé epoche diverse che sono visibili simultaneamente. In questo senso il paesaggio italiano è la lente attraverso la quale Chiaramonte mostra i tanti luoghi che esplora. Come ha scritto Simon Schama: «Anche i paesaggi che crediamo più indipendenti dalla nostra cultura possono, a più attenta osservazione, rivelarsene invece il prodotto».
Il fotografo ha scritto che «Se interroghi la luce, la luce risponde». Che cosa intende secondo lei?
La fotografia di Chiaramonte è da sempre legata a un’esplorazione esistenziale e spirituale. Anche in ragione della sua fede cristiana, questo fenomeno è rivelatore dello spirito e del mistero che sta dentro la materia e assume un’importante valenza simbolica. Quella di Chiaramonte è una luca epifanica, fondata sulla percezione, in stretta relazione con l’ombra. Luce e tenebra (vita e morte) costituiscono dunque gli elementi primi della sua fotografia e della sua riflessione.
Perché questo titolo: “Realismo infinito”?
Perché concentra a mio parere un’autentica dichiarazione di poetica. Tra realtà e infinito si muove l’intera vicenda artistica, e direi umana, di questo autore. Realismo infinito mi è sembrato fin da subito un titolo perfetto per questa mostra che ripercorre tre decenni di lavoro e di riflessione sul paesaggio. Questa felice espressione mette in luce tutta la forza di verità delle sue immagini che sono sì rappresentazioni di un luogo e di un momento specifico, ma non sono mai documento di quel luogo o di quell’avvenimento, sono piuttosto simboli, punti di partenza per andare oltre, per trasferire quelle immagini a un altro livello di lettura, di interpretazione.
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