- L’ex parà Ivano Boccaccio nella notte tra il 6 e il 7 ottobre venne ritrovato morto a bordo del piccolo Fokker dell’Ati che aveva dirottato poco dopo la partenza da Ronchi dei Legionari
- Era la prima azione terroristica che coinvolgeva un velivolo italiano: il piano sembra ricalcare la straordinaria storia di D.B. Cooper, il dirottatore americano fuggì in paracadute
- Figura misteoriosa e mai identificata, Cooper è stato oggetto di film e documentari. L’ultima è una serie in quattro puntate su Netflix
Il primo avvenne sabato 30 maggio 1970, quando lo studente genovese Gianluca Stellino, 24 anni, psichicamente instabile, armato di pistola giocattolo dirottò fino al Cairo un volo Genova-Roma dell’Alitalia, con tappa a Napoli per rifornire di carburante. Il secondo l’11 marzo del 1972, quando la marchigiana Attilia Lazzari, 55 anni, costrinse un Roma-Milano sempre dell’Alitalia ad atterrare a Monaco di Baviera, armata di pistola di piccolo calibro e parlando confusamente di una sorella vessata in manicomio.
Entrambi si risolsero in poche ore, con la resa e l’arresto degli improvvisati pirati dell’aria. I dirottamenti aerei ancora non erano entrati fittamente nelle cronache quotidiane, men che meno come strategia terroristica, come sarebbe invece avvenuto di lì a pochi anni soprattutto per mano arabo-palestinese.
Quella che però avvenne venerdì 6 ottobre 1972, dunque esattamente 50 anni fa, fu la prima azione terroristica che coinvolse un velivolo civile italiano. E tutto avvenne in territorio nazionale, concludendosi nel sangue.
Il dirottamento di Ronchi dei Legionari
Ivano Boccaccio, 21 anni, ex parà della Brigata Folgore di Livorno, nella notte tra il 6 e il 7 ottobre venne ritrovato morto a bordo del piccolo Fokker dell’Ati che aveva dirottato poco dopo la partenza da Ronchi dei Legionari. La destinazione era Bari ma il giovane, Luger calibro 22 alla mano, aveva costretto il pilota a fare marcia indietro appena concluso il decollo. E lì, sulla pista dell’aeroporto giuliano, era iniziata una lunga trattativa con la torre di controllo: voleva 200 milioni di lire, Boccaccio, in cambio avrebbe rilasciato i sette passeggeri (sei uomini e una donna).
Ottenuto il denaro e riempiti i serbatoi, pensava di fare rotta sul Cairo (pure lui). Ma si fece sfuggire anche piloti ed equipaggio, che abbandonarono l’aereo approfittando di una sua impellenza fisiologica: scena degna di L’aereo più pazzo del mondo. Non così invece il finale, visto che polizia e carabinieri nel frattempo avevano circondato l’aereo, che vi fu una sparatoria fatale e che dopo ore di silenzio gli agenti salirono a bordo ritrovando Boccaccio senza vita, pistola ancora in pugno e paracadute nello zaino.
Fermiamo il film: di quel giovane basterà dire per ora della pistola, che risultò essere invece di proprietà di un certo Carlo Cicuttini, componente della sezione di Udine di Ordine nuovo (ma anche segretario di quella del Movimento sociale italiano del comune friulano di Manzano). E una decina di anni dopo si sarebbe scoperta essere di Cicuttini anche la voce registrata quattro mesi prima, la sera del 31 maggio 1972, dal centralino del Comando carabinieri di Gorizia: era la voce che attirò i militari in una stradina di campagna a Peteano, minuscola frazione di Sagrado, dove ad attenderli avrebbero trovato una Fiat 500 con fori di proiettile su parabrezza, ma soprattutto zeppa di esplosivo.
Il dirottatore misterioso
È invece il momento di introdurre un nome che gli appassionati delle serie Netflix da qualche settimana hanno imparato a conoscere bene: D.B. Cooper. Dove quel D.B. in realtà sta per Dan: e quindi Dan Cooper, come il personaggio dell’aviatore canadese creato negli anni Cinquanta dal fumettista belga Albert Weinberg, che ne fece l’eroe di tante avventure tra spionaggio e fantascienza pubblicate in Italia dal “Corriere dei Piccoli”.
Non era ovviamente il suo vero nome: fu però quello che mercoledì 24 novembre 1971, all’aeroporto internazionale di Portland (Oregon, costa statunitense nordoccidentale) un uomo fornì al banco della Northwest Orient Airlines acquistando un biglietto di sola andata per Seattle, appena mezz’ora di volo.
L’aereo era un Boeing 727-100, su cui si imbarcò: si sedette al posto 18C, nella parte posteriore, si accese una sigaretta e ordinò bourbon e soda. Poco dopo il decollo, a un’assistente di volò consegnò un biglietto che diceva: «Ho una bomba nella mia valigetta. La userò, se necessario. Voglio che si sieda accanto a me. State per essere dirottati. Non fate scherzi».
Alla donna mostrò quindi l’interno della valigetta: otto cilindri rossi con dei fili collegati a una batteria. Chiese poi 200mila dollari, quattro paracadute e un’autobotte sulla pista di Seattle per rifornire l’aereo. Il pilota avvisò terra, informando i passeggeri di un ritardo nell’arrivo a destinazione per un problema meccanico di poco conto. Poi l’aereo finalmente atterrò e lo scambio avvenne: paracadute e denaro furono consegnati a un’altra assistente di volo, che li portò a bordo, quindi i passeggeri vennero lasciati scendere.
Terminato il rifornimento, l’aereo ripartì con rotta su Città del Messico e con precise disposizioni del sedicente Cooper ai piloti: velocità minima e non oltre tremila metri di altitudine. Ma così sarebbe servito un ulteriore rifornimento: il dirottatore decise quindi per l’aeroporto di Reno, nel Nevada. Dove l’aereo in effetti atterrò alle 22.15, ma senza più Cooper a bordo: un paio d’ore prima si era infatti paracadutato in volo dal portellone posteriore, lasciando di sé sull’aereo solamente cravatta e fermacravatta, oltre a otto mozziconi di sigaretta, due dei quattro paracadute richiesti e impronte digitali che mai sarebbero state ricollegate a qualcuno.
Storia leggendaria
D.B. Cooper oggi è una leggenda: alla sua vicenda è ispirato il film dei 1981 The Pursuit of D.B. Cooper (distribuito in Italia come Caccia implacabile), di Roger Spottiswoode, con Treat Williams nei panni del dirottatore e Robert Duvall in quelli del detective invano sulle sue tracce. Migliaia le t-shirt con la scritta “D.B. Cooper: where are you?” vendute a più generazioni. E innumerevoli le citazioni di Cooper in libri, altri film, serie televisive.
Ora su Netflix ne è arrivata appunto una interamente dedicata al suo mito, intitolata D.B. Cooper: il dirottatore che svanì nel nulla. In quattro puntate se ne ricostruisce la storia, che naturalmente comprende la sua inafferrabilità. Perché quell’uomo sulla quarantina mai più venne ritrovato: unico indizio, pacchetti di banconote (5.800 dollari) rinvenuti nel 1980 da un bambino sulle sponde del fiume Columbia, nello stato di Washington (capitale appunto Seattle), ma a pochi chilometri da Portland, banconote che facevano effettivamente parte – il numero di serie lo dimostrava – di quelle che la direzione della Northwest Orient Airlines aveva raggranellato convulsamente nove anni prima tra le banche di Portland, per consegnarle al dirottatore.
Le indagini durarono anni, ma non approdarono a nulla: nessuna prova della morte del dirottatore, nessun riscontro alle affermazioni di coloro i quali sostennero di essere D.B. Cooper, nessuna prova che potesse collegare le oltre 800 persone indagate a quello spregiudicato dirottatore. Tanto che l’Fbi a un certo punto chiuse ufficialmente il caso. Le ultime notizie, un anno fa, davano conto di ricerche avviate da uno storico indipendente appassionato di crimini, proprio lungo il fiume Columbia dove nel 1980 erano stati ritrovati quei pacchetti di banconote. Poi più nulla.
Dirottamento neofascista
Un dirottatore che si paracaduta in volo dopo aver “incassato” il riscatto, senza lasciare alcun indizio dietro di sé. E meno di un anno dopo, un gruppetto di neofascisti che mette a punto un piano identico. Già, un gruppetto: che oltre a Boccaccio e Cicuttini comprendeva anche Vincenzo Vinciguerra. Fu lui infatti, qualche settimana prima dell’operazione, ad accompagnare il giovane parà in Svizzera per acquistare appunto un paracadute.
Nel marzo del 1975 vi fu anche un processo: dalla Corte d’assise di Trieste Cicuttini, già latitante, venne condannato a 14 anni, mentre Vinciguerra fu assolto per insufficienza di prove. L’anno dopo in appello, invece, la condanna fu di 11 anni a entrambi. Ma a quel punto pure Vinciguerra aveva raggiunto Cicuttini in Spagna, alla corte del leader di Avanguardia nazionale Stefano Delle Chiaie assieme al fior fiore dell’eversione di destra in fuga dalla giustizia italiana.
Solo diversi anni dopo l’inchiesta su Peteano arrivò a loro. Nel frattempo, infatti, alti ufficiali dei carabinieri avevano fatto sparire i bossoli di quei colpi esplosi sul parabrezza della Fiat 500 e repertati sul luogo della strage, falsificando i relativi verbali: colpi sparati proprio con la pistola di Cicuttini (poi in mano a Boccaccio a Ronchi dei Legionari). E fu uno dei depistaggi più sfacciati degli anni della strategia della tensione.
L’incredibile caso di D.B. Cooper riempì a suo tempo anche le pagine dei giornali italiani. Più che probabile insomma che i tre giovani ordinovisti (25 anni Cicuttini, 23 Vinciguerra, 21 Boccaccio) ne abbiano preso spunto per il loro piano, che dunque non era così pazzesco come potrebbe sembrare oggi, a cinquant’anni esatti dal quel 6 ottobre del 1972.
D’altra parte, appena quattro mesi prima avevano fatto saltare in aria tre carabinieri: la determinazione fanatica non faceva loro difetto. Chissà se il misterioso Cooper negli anni sentì mai parlare dei suoi tre fascistissimi imitatori. Sempre che sia atterrato sano e salvo.
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