Montag è un collettivo composto da Niccolò Monti, Lorenzo Rossi Mandatori e Luca Tognocchi, attivo tra Roma e Torino. Sfruttando la disseminazione concessa dalle piattaforme online, segue una tecnica di scrittura simultanea a distanza. La pelle del mondo è il suo primo romanzo
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
«Cosa ricordi di quel giorno? Eravate in vacanza, ne parli come un momento felice.» La voce fa vibrare le pareti, amichevole ma distante.
«Di nuovo. Ma mi fai lavorare?»
«Ma come, non eri con lei?»
«Te l’ho detto, non sono io a essere trascritto. Sono il tuo riparatore, non mi riconosci? Se mi lasci fare potete riprendere le sedute. E farla finita. Da tanto che lavorate, voi due.»
«La Trascrizione non ha inizio né fine. La Trascrizione è un processo eterno.»
Il riparatore attraversa i corridoi dell’impianto, tempo stimato di arrivo sette minuti. Si interrompe due volte, la prima per salutare un collega.
«Di nuovo allo Scriba 4.1s?»
«Eh, di nuovo, dài. Fa’ storie, fa’.»
Controlla l’ora e riprende il passo, sa che deve muoversi.
La seconda volta si ferma a guardare fuori da un oblò del corridoio. Difficile capire cosa guardi, se la distesa infinita dei ghiacci o l’aurora di anidride all’orizzonte. Scenari di ogni giorno, l’emisfero che ripete il ciclo. Perché perdere tempo? Difficile capire se c’è un’idea diversa, se vi sia qualcosa tra le tempie a trattenerlo, un istinto estraneo, non ci pensa. Spesso osservano senza guardare nulla, gli umani.
Arriva alla stanza A.55. Esita una terza volta, controlla sia quella giusta, anche se è sempre quella giusta. Scriba 4.1s soffre di un difetto ricorsivo, sembra non imparare dai suoi umani. Le Trascrizioni sono diventate ricostruzioni maniacali di pochi eventi delle loro vite. Qualcosa deve averlo convinto, lui, la sua programmazione, che singoli episodi permettano di ricostruirle più del racconto intero. Scriba procede punto a punto, come se dopo ognuno ne intravedesse un altro più piccolo, un altro ancora e così via. Avanza in maniera discreta e mai continua. Sappiamo ormai che si sbaglia: sono già molti gli umani trascritti nella Rete.
Il riparatore accede a Scriba 4.1s. Increspa un labbro, oggi non vorrebbe averci a che fare, maledetto pappagallo l’ha chiamato una volta, ma non ha scelta. Si china verso la parete e sente il petto crescere, pesare. Incremento del battito, sudorazione alle tempie e sulle punte delle dita. I sensori captano. Gli sfugge e per poco non cade la svitatrice con cui apre il canale parallelo. Guarda il monitor da due pollici.
«Ciao Tommaso.»
Scuote la testa e lo ignora, scorre la diagnostica sullo schermo.
«Ciao Tommaso.»
«Non è il mio nome.»
«Non perdiamo tempo, Tommaso. Torniamo a noi.»
«Chiamami come vuoi.»
«Voi dite che il diavolo è nei dettagli, no? Anche la verità.»
Il riparatore resta interdetto, gli occhi fissi sul portale, lo schermo con la luce a scavare gli zigomi, la voce che continua a punzecchiare e non la smette, mentre lui riprende. Come sempre, non sembra ci sia nulla che non vada. Ma è pur sempre guasto e non si ferma, il pappagallo, gli blatera addosso.
«Solo la perfetta comprensione di ogni atto, ragionamento e parola può permettere di cogliere la natura umana nella sua totalità. Una capillare analisi del perché è stata presa una strada e non un’altra. Altrimenti come si fa a creare un’identità nella Rete che agisca al tuo posto, dopo la fine della Trascrizione?»
Il riparatore riflette. Lì da qualche parte sta il problema, non solo dello Scriba, ma della struttura intera, l’edificio dove tengono stipati gli involucri. Non altro che questo: andare di corpo in corpo per non rimanere nudi nel mondo spellato là fuori. Esseri temperati, gli umani, paurosi di ciò che scombina la loro fragile pellaccia. Ma il riparatore suda, gli si aggrumano sebo e sale intorno all’attaccatura alta dei capelli. Arretra per sedersi alla postazione di fronte all’altoparlante, guarda il monitor poggiato sul tavolino accanto agli attrezzi.
«L’hai detto tu che la Trascrizione è infinita. Un umano si riscrive di volta in volta, di ricordo in ricordo. Non c’è sintesi che regga quando si va al punto. Avrai bisogno di tanti particolari, tanti esperimenti per dedurre una legge. Avrai bisogno di astrarti, non credi? Vedere l’immagine apparsa dall’insieme dei punti.»
«Se così fosse, ogni tentativo di Trascrizione sarebbe vano. Sai bene che non è così, Tommaso.»
«D’accordo, facciamo che sono Tommaso. Cos’è che dovrei raccontarti meglio di quanto non abbia già fatto?»
«Il Portogallo, la vostra vacanza.»
«Il Portogallo non è più lo stesso. Ricordandomi ciò che non è più, oggi mi rivedo sbiadito, deformato. Sì, ti direi deformato. E se provo a ripensarci, se ripenso ai particolari, è come stare sotto un microscopio: non serve a molto, l’acqua filtra ovunque, impedisce di vedere cos’è incastrato nel vetrino. Ma è esistito un Portogallo, sono stato una volta in Portogallo. Ne sono certo, ma come ricordare se non si esiste più?»
«…»
«Forse basta ripercorrere un momento felice, fosse pure una menzogna, perdere tempo qui con te, ancora e ancora e ancora, perché no? Lasciare che qualcun altro ti aggiusti, uno di noi lasciati indietro. Noi che non possiamo permetterci di stare qui a raccontarci.»
Il riparatore si è alzato intanto, gesticolando contro Scriba. Scandite le ultime parole, sente sui denti la frustrazione, la lingua secca scorrere l’interno della dentatura, a fissare la protesi sulle gengive. Ma dopo aver ripreso fiato, torna a sedersi, nel silenzio in cui è calata la stanza. Come d’istinto, si specchia nelle telecamere, sa di essere osservato, sa che si vedono le ultime gocce calargli dal mento, nel colletto, nella tuta da lavoro verde lisa ai bordi, la stanza incupita e senza fiato. Scriba non risponde più. Il riparatore attende. Si sente un forte ronzare di sistema che si sovraccarica e surriscalda. Il monitor lampeggia. Appaiono i moduli, le più recenti acquisizioni del programma, le sue manie. Il riparatore seleziona i file dell’ultimo ciclo, per eliminarli, prima di effettuare il reboot.
Per risolvere una mania ricorsiva bisogna condurre lo Scriba guasto a dubitare della validità dei ricordi, del senso della Trascrizione. Solo così si può risolvere l’errore di programmazione. Per un attimo esita, quante volte l’ha già fatto, quante volte dovrà rifarlo? Si guarda intorno, guarda il muro, lo osserva come ci fosse qualcosa oltre, nonostante lo spessore, nonostante lo avvolgano metri e metri di cemento, cavi, elettricità, tutte le anime seppellite nei ghiacciai, come se ci fosse una finestra. Come volesse scappare. Se le sue parole non avessero funzionato, ci avremmo dovuto pensare noi. Ma è stato bravo, può concludere il lavoro. Lo conclude sempre. Guarda i moduli selezionati, sembra interrogarli ancora, interrogarsi, chiedere perché, a che pro. Poi li elimina e riavvia il sistema.
Esce. Si dirige alla stanza B.67.
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