Dopo una lunga sperimentazione, che è costata un grande lavoro e la formazione di 50mila insegnanti, la riforma Valditara cancella i giudizi descrittivi che puntavano a dare valore al processo di apprendimento
A meno di tre anni dall’introduzione dei giudizi descrittivi al posto dei voti, nella scuola primaria si cambia di nuovo, prendendo a pretesto una presunta maggiore chiarezza invocata dalle famiglie. Si tornerà adesso ai giudizi sintetici (“insufficiente”, “sufficiente”, “buono”, etc).
L’introduzione dei giudizi descrittivi comportava un cambiamento di grande portata, ed è interessante il fatto che oltre cinquantamila insegnanti avessero scelto di partecipare alla formazione promossa dal ministero.
Sperimentazione e tutor
Nei due anni di sperimentazione era stato giustamente previsto un “accompagnamento”. Per questo sono stati chiamati circa 300 insegnanti come tutor. Per introdurre modifiche sostanziali, infatti, è necessario procedere lentamente, sapendo accogliere preoccupazioni e perplessità.
Nelle scuole ci sono state molte discussioni vere, a volte aspre. Noi insegnanti eravamo chiamati a rivedere non solo il nostro modo di valutare, ma soprattutto a ripensare alla progettazione e alla scelta degli obiettivi disciplinari, a capire quali erano valutabili e con quali strumenti.
Il fatto che nel documento di valutazione non apparissero le sole discipline, ma anche gli obiettivi di apprendimento, ci invitava, nel programmare, a fare un gran lavoro di ricerca riguardo alle azioni più efficaci. Del resto già nelle “indicazioni nazionali” del 2012, che sono il documento che indica i traguardi da perseguire, è scritto che «la valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere (…) assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento».
In alcune scuole sono stati organizzati incontri con le famiglie per spiegare il senso del cambiamento; alcuni genitori protestavano sostenendo che, senza il voto non si capiva «in che posizione si trovava il proprio figlio».
Il cambiamento, dunque, era di carattere culturale. Si trattava di comprendere che la valutazione non serve a fare classifiche e a mettere in competizione, ma a descrivere il percorso di apprendimento di ciascuno, per aiutare noi docenti a ricalibrare interventi e progettare strategie in grado di rimuovere ostacoli e contrastare discriminazioni. E infatti alcuni genitori stavano cominciando ad apprezzare il valutare gli obiettivi, «così capisco meglio dove mio figlio deve migliorare».
L’operazione era complessa, certo, ma aveva investito tante professionalità e tante energie. Perché buttare via tutto questo, senza neanche aver fatto un monitoraggio riguardo a ciò che le scuole avevano ideato e sperimentato?
Osservazione e analisi
Certo, molte scuole stavano adottando scorciatoie discutibili, ma questo accade sempre. La scuola dovrebbe sempre essere un luogo deputato alla ricerca educativa e ogni ricerca ha bisogno di tempo per valutare l’efficacia dei cambiamenti che ha generato. Perché cambiare senza prima ascoltare chi quella ricerca ha provato a portare avanti?
Qualcuno ha scritto che il ritorno ai giudizi sintetici – approvato nei giorni scorsi in Senato – porta nella scuola un maggiore rigore valutativo. Non è affatto vero. In questi due anni credo di aver valutato con maggiore attenzione e rigore. Dover descrivere cosa un bambino fa, in quale situazione, utilizzando quali risorse, mi ha portato a compiere un lavoro di osservazione minuzioso e attento, che la semplificazione del giudizio sintetico non richiede.
Ripensare a quali risorse mettiamo a disposizione dei nostri alunni per l’esecuzione di un lavoro e prestare attenzione al contesto erano elementi preziosi, che aiutavano ad avere un quadro più chiaro delle competenze raggiunte da bambine e bambini.
Formulare un giudizio descrittivo ha l’obiettivo di rendere chiaro ciò che quel bambino ha fatto, di vederlo in azione attraverso le nostre parole: un grande esercizio di trasparenza che nessun giudizio sintetico può dare. Un lavoro complesso, certo, ma la scuola non ha bisogno di riforme opportunistiche che mirino a un facile consenso, mentre sarebbe auspicabile un pieno riconoscimento della complessità del nostro lavoro, che restituisca a chi insegna la dignità che merita.
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