- Se diamo uno sguardo al mondo intorno all’anno mille gli spazi appaiono enormi, le distanze irraggiungibili, il tessuto umano interrotto di continuo da deserti, foreste, tratti di mare che appaiono inaccessibili e sproporzionati.
- Era una realtà fatta di grandi vuoti, ma intervallata da spazi che ne davano un senso umano. Perché, intorno all’anno mille, l’urbanizzazione è diventata un fenomeno davvero globale.
- Con tante costellazioni, alcune di grande effetto, che affiorano negli spazi dei deserti, come in Asia; sul bordo del mare, come nel Mediterraneo; sul limitare della giungla, come in Cambogia o in Mesoamerica.
Se diamo uno sguardo al mondo intorno all’anno mille gli spazi appaiono enormi, le distanze irraggiungibili, il tessuto umano interrotto di continuo da deserti, foreste, tratti di mare che appaiono inaccessibili e sproporzionati. Le configurazioni politiche, quelle che ci sono, si mostrano, forse con la sola differenza cinese, poco omogenee, spesso scarsamente capaci di controllare spazi e territori, prive di reali confini, che appaiono spesso fluidi, pressoché inutili.
Invece, a reggere il peso delle distanze tra uomini e uomini c’è qualcosa di davvero concreto: le città. Sono esse che consentono di creare reti di relazioni, legami di lunga distanza, possibilità di comunicazione, commercio, dialogo.
Con tante costellazioni, alcune di grande effetto, che affiorano negli spazi dei deserti, come in Asia; sul bordo del mare, come nel Mediterraneo; sul limitare della giungla, come in Cambogia o in Mesoamerica. Lungo i fiumi, sulle coste, al crocevia di carovaniere e di piste battute a malapena, ci sono città a fare da sentinella, le quali, a loro volta, generano, attorno ad esse, altre città, villaggi, insediamenti, mercati.
Storie di città
I nuclei urbani cinesi, ad esempio, lungo il fiume Giallo o le metropoli, come Kaifeng e Hangzhou, capitali dell’impero Song, che raggiunsero e superarono il milione di abitanti. Oppure l’Islam, che, ad un passato urbano ellenistico, romano e persiano, è capace di sostituirne uno nuovo che si stratifica e si appoggia su quello antico, con città che basano la propria forza su quattro assi: il potere, la posizione di snodo strategico, il commercio, la cultura.
Le principali? Cordova, Toledo e Siviglia in Spagna. Raqqa e Damasco, capitale del califfato sotto gli Omayyadi. Poi altre, nel Nord Africa: Alessandria, il Cairo, Tunisi, Qayrawan e al-Mahdia. In Iraq, oltre Baghdad, Kufa o il grande porto di Bassora, testa di ponte della grande navigazione marittima verso l’Africa orientale e l’Estremo oriente.
Nell’alta Mesopotamia, Mosul, alla confluenza tra i paesi arabi, persiani, curdi e bizantini. In Iran, Hamadhan, l’antica Ecbatana, che controllava i flussi verso l’Iraq; e ar-Ravy, sul sito dell’attuale Teheran. E poi le grandi città del Centro Asia, appartenenti ad una cultura millenaria, fulcro di uno dei primi nidi urbani dell’Umanità, da Shiraz a Merv, a Samarcanda e Bukhara nella Sogdiana, a Nishapur, a Kabul ecc. Queste per contare solo le principali.
E, infine, all’estremo nord dell’Islam, piantata in mezzo al Mediterraneo, c’era lei, Palermo. Uno scenario urbano che non si chiude qui ma spazia in altre parti del Mondo e si articola coi nuclei indiani, della costa e dell’entroterra; coi porti della penisola indocinese; col Giappone del periodo Heian e la sua splendida capitale, Heian Kyo.
Una dimensione umana
D’altronde, di città è composta anche la società maya, autonome e in eterno conflitto tra loro, in quest’epoca in fase declinante. E di un numero diffuso di città, unite tra loro da una fitta trama di collegamenti tra il mare e l’entroterra, si parla nel contesto peruviano. Dappertutto città, come collante. Tranne che, in questo momento, nel mondo cristiano d’occidente.
Non tanto sul mare quanto nell’interno, dove le città sembrano quasi scomparse, ridotte nella portata come nel numero, come ha scritto Peter Brown, «fragili escrescenze in una diffusa realtà rurale». Ma è solo una fase. Presto, anche qui, ricompariranno.
Uno sguardo, questo, a volo d’uccello che ci riporta proprio una dimensione umana del pianeta molto più dinamica e mobile di quanto si immagini, per un’epoca invece sempre concepita come ripiegata e chiusa su sé stessa.
Questo è valido soprattutto se si esamina l’enorme regione asiatica, nella sua interezza, con una direttrice di scambio continua con direzione est-ovest, per intenderci dalla Cina verso il Mediterraneo, nel quale il canale principale di collegamento non fu tanto quello delle carovaniere interne, le cosiddette vie della Seta, ma marittimo: la millenaria via dei Monsoni, tramite plurisecolare di scambi e di relazioni, che dal mar della Cina attraverso lo stretto di Malacca si collegava alle penisole indiana e arabica e da qui giungeva ai terminali del golfo Persico, alle coste dell’Egitto collegate al Nilo – e al Mediterraneo –, e alle città costiere dell’est africano, come Mogadiscio.
Un fenomeno globale
Sia per terra sia per mare gli spostamenti furono resi possibili da una struttura reticolare fatta di strade, carovaniere, oasi, città, porti che definiscono lo spessore mondiale dell’economia dell’anno mille.
Struttura che penetra dappertutto, anche nel cuore delle aree più depresse o geograficamente più difficilmente raggiungibili e lontane dalle rotte tradizionali, nel cuore dell’occidente cristiano, nelle pianure russe e nell’area subsahariana dell’Africa occidentale, forse quella che, con i suoi giacimenti auriferi, più di ogni altra si giovò di questa grande rete di relazioni a scala mondiale. La città, allora, come paradigma medievale, su scala globale.
Questo testo è un estratto dall’intervento che lo storico e scrittore Alessandro Vanoli ha tenuto al Festival delle città del Medioevo, ideato dall’Università e dal Comune dell’Aquila, con la direzione scientifica degli studiosi Amedeo Feniello e Alfonso Forgione
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