Dopo Keyla la rossa e Il ciarlatano, Adelphi ha pubblicato un terzo romanzo inedito di Isaac Bashevis Singer: Max e Flora. Uscito a puntate nel 1972 sul giornale yiddish di New York Forverts, Max e Flora riprende luoghi e temi di Keyla la rossa: la malavita ebraica nella Varsavia di inizio Novecento, la tratta di prostitute dall’Europa orientale ai bordelli di Buenos Aires, l’amore ardente, ingannevole e fedifrago, il sesso. In via Krochmalna c’è tutto.

Ci sono il rabbino asceta, la comare pia, la ragazza vergine e innocente, il giovanotto idealista, ma anche il ladro, la truffatrice, il pappone, il ricettatore, la maliarda, la puttana. Questi due emisferi opposti sono in fondo complementari e perciò, a volte, si intersecano: la vita grama della fanciulla a servizio (Rashka) espone al rischio di credere al primo Max che entra dall’uscio e promette fortuna oltreoceano. La ex-prostituta (Flora) deve passare per donna onesta se vuole compiacere suo marito (Max).

Meir Panna Acida e la sua compagna Leah Lingualunga gestiscono sia l’assistenza ad anziane bisognose che carne da bordello e merce rubata. Il buon dottor Hertz trascura la clientela povera e forse virtuosa per curare Meir, che persino la polizia rispetta in quanto mediatore tra le forze dell’ordine e gli ambienti criminali. Meir ha un posto riservato in sinagoga, fa beneficienza a Pesach e Purim e sua figlia è una stimata madre di famiglia che manda i bambini allo heder.

La storia

Nella scena che apre il romanzo, Max e Flora sono a letto in un hotel lussuoso della loro città, dove sono tornati da emigrati carichi di denaro. Il prestigio, invece, è più sfuggente e dipende dal quartiere, dalle vie, dalla lingua, dalla religione. Se i due coniugi parlano yiddish, gli altri ospiti del Bristol li guardano di traverso. Essere ricco e rispettato in via Krochmalna non vuol dire esserlo dappertutto, a Varsavia. Un ebreo rimane sempre un ebreo, per quanto impomatato e generoso di mance.

Max possiede una fabbrica di borsette a Buenos Aires, e immobili e negozi. Gli affari leciti servono a ripulire e giustificare la sua ricchezza, che proviene per lo più dal traffico di ragazze. Quando lo incontriamo per la prima volta, Max è intento a rimuginare – lo farà per tutto il romanzo.

Tra le altre cose, Max pensa alla sua Flora: una donna bella, un tempo attrice di teatro, capace di gridare, durante l’amplesso, parolacce «che farebbero arrossire un cosacco» e di godere delle gesta di Max, il quale corrompe o stupra le ragazze destinate al mestiere a suon di lusinghe e ceffoni. Max è convinto che Flora gli sia fedele, e che le sia permesso cercare altri uomini solo se Max decide e manovra in tal senso. In effetti la spingerà tra le braccia del suo compagno precedente, l’attore Feivele Schechter, salvo poi pentirsene e desiderare di ucciderla.

L’andirivieni mentale di Max non cessa mai: ogni decisione viene immediatamente revocata, ogni credenza dismessa. Irrequieto, patetico, tanto cinico ed egoista quanto ingenuo e bisognoso di una guida spirituale, Max è un personaggio ipnotico e splendidamente frustrante. Finanzia un colpo in banca degli anarchici pur non credendo affatto nella loro causa e nella giustizia sociale. Prova a passare la notte con una di loro, ma la sua emancipazione gli ripugna. Ha abbandonato la religione, è di fatto un nichilista godereccio, ma l’assenza di senso e di ricompense e castighi divini lo sconcerta, quindi elegge a suo mentore un giornalista disilluso. Ama Flora, eppure si annoia.

Grazie al suo amico Meir conosce la domestica quindicenne Rashka, fuggita dalla casa paterna perché la matrigna la maltratta, come un personaggio di fiaba. Rashka è un fuscello biondo, con gli occhi azzurri e il volto altero eppure bambinesco delle inavvicinabili aristocratiche polacche. Max se ne infatua immediatamente e decide di portarla a Buenos Aires, dopo aver promesso solennemente a Meir che la preserverà dal bordello e la terrà per sé.

Per non sentirsi troppo in colpa, propone a Flora di far ingaggiare Feivele Schechter in Argentina. Flora incontra dunque Feivele, il suo ex-amante. Lo desidera ancora, ma si trattiene, nonostante abbia capito perfettamente il gioco sporco a cui Max sta giocando con lei. Un equivoco, la cattiva coscienza e l’appetito sessuale del protagonista fanno precipitare gli eventi, innescando una fuga improbabile che procede a strattoni tra la solita miriade di ripensamenti.

Il guazzabuglio interiore è tale che in Max sincerità e menzogna si confondono: inganna e vagheggia Rashka, mentre la cerca già l’accantona, e nel momento in cui l’accantona le chiede di sposarlo. Si scrolla di dosso Flora, eppure vorrebbe spararle per gelosia, la disprezza e la rincorre, la umilia e lascia che lei lo comandi. Max vuol bene a Meir e ciò nonostante o proprio per questo è pronto a prendersi anche sua moglie.

Gli altri personaggi sono tutti molto più scaltri e risolti di Max. Combaciano, per così dire, con loro stessi. Flora viene dal bordello, di cui ha dei ricordi nerissimi, ma è certa che i bordelli ci saranno sempre e ha tutta l’intenzione di approfittarne e tenere lei, ora che può, il coltello dalla parte del manico. Perciò accetta che altre donne siano costrette a prostituirsi e si racconta che preferiranno divertirsi con gli uomini anziché sgobbare in fabbrica.

A volte le circuisce lei stessa e sa valutare il prezzo di una ragazza a colpo d’occhio. Flora intende sopravvivere. Analfabeta, pessima attrice sul palco ma capace di grandi melodrammi privati, è in grado di fiutare l’aria e, nell’emergenza, di usare gli uomini che ha intorno. Sa recitare solo due parti: la moglie rispettabile e l’amante sfrenata, perché le è toccato essere entrambe le cose. Rashka, invece, non sarà mai una Flora. Non è capace di fingere, è limpida e cheta come acqua di fonte e anche quando cede a Max, lo fa per romanticismo, non per opportunismo. Rashka resta tonta e pudica fino all’ultimo.

L’ironia

Proprio nei punti in cui la temperatura drammatica sale e il protagonista si crede in punto di arresto, o di morte, Singer scatena un’ironia gustosissima. Questi due dialoghi avvengono a poche righe di distanza:

«Rashkele, lascia la vecchia e vieni da me. Non ti abbandonerò mai più».
«Ma sei tornato con tua moglie!»
«Starò con entrambe. È stata lei a dirmi di telefonarti», mentì.
«Non voglio vivere con lei. Mi tratterebbe male e avrebbe anche ragione»

(...)

«Vieni qui, ne parleremo insieme. Flora ha smesso di darsi delle arie. Ora è sottomessa come un cane. Se dice anche solo una parola contro di te, la riempio di botte. Ricordatene. Lei non può più avere figli, ma io potrei averne uno da te».

Ci fu una lunga pausa.

«Vuoi avere due mogli?»
«Tu sarai la moglie e lei la concubina. Sarai la madre dei miei figli».
«Dove sei adesso?»

Max non lo sapeva.
Flora guardò Max e poi Rashka. Dopo qualche istante disse:
«Max, voglio dirti una cosa a quattr’occhi».
«Che cosa? Beh, d’accordo».

I due si allontanarono di qualche passo.
«Spicciati. Il cocchiere comincia a spazientirsi».
«Cosa intendi fare con lei? Se vuoi darla a Berta, è un conto, ma se la vuoi tenere in casa, preferisco non venire».

(...)

«Flora, Rashka ti servirà meglio di qualunque domestica. Se preferisci, posso affittarle un appartamento da qualche parte, non sei costretta a vivere con lei se non vuoi. Ma non è il momento di discutere di queste cose».
«Non posso fare i bagagli da sola, vieni ad aiutarmi».
«Potrebbe arrivare la polizia mentre sono lì e trascinarmi sa il diavolo dove».

Max e Flora, così come Keyla la rossa, è tecnicamente una gangster novel, genere praticato da diversi autori yiddish fino a che la Shoah non spazzò via la loro società e non sterminò la loro gente. L’annientamento degli ebrei orientali ha reso spinoso descrivere la violenza e la criminalità che pure tra di essi esistevano, come in ogni comunità umana.

Tanto più che la tratta di prostitute verso il sud America era diventata un argomento prediletto della propaganda antisemita già in epoca pre-nazista. Singer fa rivivere il genere dopo la guerra, senza moralizzare né idealizzare la Varsavia ebraica che ne è il teatro, ma è pur vero che decide di pubblicare questi romanzi in yiddish sul Forverts, e non in inglese, forse proprio a causa di un contenuto che poteva apparire osceno e ignominioso.

La scoperta

ASSOCIATED PRESS

I Singer inediti sono stati individuati da Elisabetta Zevi, che ne è anche l’ottima traduttrice, ad Austin, negli archivi del Harry Ransom Humanities Research Center dell’università del Texas. Max e Flora (Di Gest il titolo in yiddish) non è mai stato pubblicato in inglese, nonostante sia stata trovata una traduzione dattiloscritta del testo annotata a mano dallo stesso Singer, che ha fornito a Zevi, insieme alla versione yiddish, la base per la traduzione.

Lo stesso vale per Keyla la rossa (Yarme un Keyle): esiste una traduzione inglese parziale che sembra essere stata preparata in vista di una pubblicazione. Tuttavia l’editore americano di Singer, Farrar Straus and Giroux, non ha dato alle stampe una traduzione dei due romanzi, almeno per ora. L’argomento principale a sfavore della pubblicazione è che, morto Singer, non si può essere sicuri di rispettare la sua volontà nel pubblicare i testi, e non si possono eseguire le modifiche e le revisioni che era solito apportare alle sue opere in corso di traduzione.

Il monumentale Ombre sullo Hudson, però, è stato tradotto in inglese e pubblicato postumo (non senza polemiche). Anche in quel libro, seppur diversissimo da Max e Flora, troviamo un protagonista avviluppato in una matassa di faccende passionali piuttosto smidollate.

Del resto nel 1991, anno della morte di Singer, Farrar Straus and Giroux aveva pubblicato il romanzo Scum (Shoim), che è a tutti gli effetti una ganster novel e in cui un ex-ladro di nome Max torna a Varsavia da Buenos Aires per ritrovarsi coinvolto in una ridda di vicissitudini sessuali e spirituali: una storia che ci suonerà familiare.

Modulare la traduzione

La questione degli inediti è appassionante e non riguarda soltanto la teoria e la pratica della traduzione, bensì la poetica di un autore, il suo lascito, la sua ricezione. Quanto fedeli allo yiddish bisogna essere, nelle traduzioni, posto che Singer interveniva sensibilmente sui suoi testi, forse al fine di modulare, in inglese e quindi nelle altre lingue, una voce diversa?

Se questo è vero, bisogna cercare di rispettare il suo proposito, e come? Occorre poi tenere presente la situazione traumatica in cui versa la letteratura yiddish. Le traduzioni in inglese hanno permesso a Singer di essere letto e di sopravvivere come autore, dal momento che la sua lingua materna è una lingua assassinata.

Ma la sua condizione di maggiore superstite, insieme alla “lucidata” che Singer si sarebbe dato in inglese, hanno comportato anche un certo risentimento da parte di altri autori e rappresentanti della cultura yiddish, specialmente negli Stati Uniti.

Ad ogni modo, il ritrovamento delle bozze di traduzione tra le carte di Singer sembrerebbe dimostrare che l’autore stesse perlomeno considerando di far uscire in inglese anche i suoi romanzi gangster, con il loro linguaggio esplicito, l’erotismo, i personaggi grotteschi.

Singer descrive gli aspetti meno edificanti di un mondo perduto che si può piangere e commemorare autenticamente solo a patto di non considerarlo un paradiso perduto. In quel mondo esistevano abiezione e nefandezze perché la natura umana è anche questo: la natura umana, non la natura ebraica.

Ovunque ci sono individui che non riconoscono il male, oppure ridono del male, e impastano in sé male e bene, come fanno i personaggi di Max e Flora. Non si dovrebbe rispondere alla falsificazione atroce degli antisemiti con l’idealizzazione, perché si tratterebbe di una falsificazione di segno opposto.

La mia impressione è proprio che in Max e Flora Singer ironizzi e metta in prospettiva la sua stessa produzione più incantata e nostalgica dello shtetl e della via Krochmalna. Ad esempio, Meir, Leah, Flora e Max (vale a dire un consesso di malavitosi e prostitute più o meno ripuliti – il che aggiunge un grado di sarcasmo e complessità) considerano degli zotici i parenti poveri di Flora che vengono dal villaggio e sono ossessionati dalla kasherut e dai precetti religiosi. Arrivano a dire che incivili del genere istigano i gentili al pogrom e ne sono responsabili.

L’apoteosi dell’incostanza

Mentre leggiamo Max e Flora, un’epoca sembra risorgere davanti ai nostri occhi, con i suoi droshky a cavallo, le uova tritate con cipolla e grasso d’oca, i covi di ladri e rivoluzionari, gli appartamenti borghesi, la brezza sulla Vistola che porta l’odore dei campi e dei frutteti in fiore. Ma il romanzo non ha da offrire soltanto questo, che è già molto. I temi più profondi e ricorrenti nell’opera di Singer ci sono tutti: il conflitto tra sensualità e fede, spiritualità ascetica e tentazione, ebraismo ortodosso e costumi contemporanei, tradizione e modernità.

I grandi personaggi di Singer sono quasi sempre tormentati e contraddittori e Max pare quasi un’apoteosi, o una parodia, dell’incostanza. In Max e Flora, Singer sperimenta. Lo fa con tutta la sua esuberanza stilistica, la sua maestria, il senso del ritmo e della sorpresa, l’arguzia, la formidabile capacità di cogliere le intermittenze del pensiero, e i lettori italiani hanno il privilegio grande e finora unico di poterne godere.

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