Non è una pista come le altre. È un luogo mistico, un’isola, un unicum imparentato con l’imprevedibile. Ma se in teoria il suo fascino rimane sempre invariato, dagli anni di Valentino Rossi a oggi pubblico e introiti sono calati
Sì vabbè, Mugello. Ma che cos’è mai this Mugello? Più facile dire che cosa proprio non è: e di sicuro non è una pista come le altre. Lo dicono sempre tutti, sarà vero. Poi però con le parole bisogna anche farci i conti, avere il coraggio delle proprie dichiarazioni. E dunque capire che cosa rappresenti questa pista per un pilota e per i fan, ma nel profondo, giù giù nell’anima, nello scatolino del cuore, è impresa assai too complicated.
Tra la fine dei Novanta e i primi del Duemila, Roberto Locatelli da Bergamo ci vinse tre volte. Era classe 125, ex Moto2. Poiché l’arte della parola non gli manca, si lasci a lui l’onore dell’incipit: «Per me il Mugello è vita motociclistica. La prima volta che provai la pista era il 1992. Finii per terra, mi rimasero addosso i segni del Mugello. Da lì quella pista è entrata a far parte di me, me la sono portata a casa. Come tutte le piste, anche il Mugello ha il suo ballo, il suo sound, il suo film. Solo che qui senti la pelle d’oca».
Mugello è un luogo mistico, incantato, un’isola da qualche parte. E arrivarci vuol dire scoprire la grandezza. Non c’è città, né baraonda. Attorno c’è la quiete, devi andarci apposta. Come un pellegrinaggio. Circondato dalle colline, dallo spazio, dal verde, il Mugello è un luogo sacro, un tempio. Della velocità e dell’eccesso, dove tutto per gli appassionati di moto giunge all’estremo.
Romanzo di formazione
Per questi giorni di week-end lungo, il Mugello non diventa solo capitale mondiale del motociclismo in cui tutti si danno appuntamento. Lì un pilota può cominciare la sua parabola di crescita (o disfatta), una specie di romanzo di formazione su due ruote. Lo inaugurarono nel giugno del 1974 con una gara di Formula 5000.
Lo volle l’Automobile Club di Firenze dopo la tragedia nel circuito stradale (attivo dal 1914 e chiuso nel 1970, dopo la morte di un bambino investito durante le prove di una gara); un impianto tra i comuni di Scarperia e San Piero, sicuro, su un’area di 170 ettari. Ciò che è diventato oggi ha però a che fare con una dimensione altra, insondabile, che solo i piloti possono vivere. Qui c’è tutto e tutto il suo contrario, ying e yang in sella a una moto: velocità e lentezza, ardore e calma, gestione e adrenalina.
Un unicum, questo Mugello, dato dalla conformazione del circuito e dunque del luogo, del terreno stesso, imparentato con l’imprevedibile. Locatelli versione sexy boy: «L’Arrabbiata 1 è una cosa incredibile: entri lì facendoti il segno della fortuna e quando ci passi è un godimento. Uno si avvicina a capire la goduria durante quella curva. È come: essere innamorati di una e alla fine uscirci, desiderare una cosa e alla fine comprarla». Ah, alto godimento.
Una sensazione
Mugello Circuit, come l’hanno battezzato per dargli quel tocco d’internazionale, è poi un luogo di grandi storie. Lo sono tutti, sì. Ma il Mugello, si è detto, non è una pista come le altre. Qui hanno vinto i grandi, i bad boy, le star, le icone. Jorge Lorenzo, che lo ha domato anche su Ducati, ha definito il Mugello «una sensazione». Si perde il contatto con la materia, e il pilota diventa un tutt’uno con il circuito. «È la mia pista per eccellenza, molto tecnica con curve impegnative dove è importante far scorrere la moto».
Marc Marquez qui più che altrove cercò il limite: lo spagnolo finì contro un muro, era il 2017. «La caduta che più mi ha segnato è stata quella di sette anni fa al Mugello, perché mi stavo dirigendo contro un muro a 300 all’ora. È stata l’unica volta in cui ho avuto paura». Valentino lo definì come qualcosa di molto intimo: «Il Mugello è casa mia».
E solo nei luoghi di famiglia puoi pensare di ritirarti o di cambiare vita: «C’era il Covid, per una volta ho fatto un passo indietro, sono uscito dalla bolla e mi sono accorto che intorno c’era anche altro. Per la prima volta ho pensato al ritiro nel 2019, al Mugello». Valentino Rossi di questa pista è stato recordman incontrastato con sette successi (e altrettante pole position) in top class (più due nelle classi minori).
Ne fu così grato protagonista che il tracciato cominciarono a chiamarlo «Mugiallo», perché il colore del dottor Rossi era dappertutto e riempivano gli spazi e i prati attorno al grigio dell’asfalto. Celebri sono rimaste le sue gag. La prima, nel 1997, in 125, addirittura memorabile: la bambola gonfiabile “Claudia Skiffer” ve la ricordate, no? E poi multe per eccesso di velocità, l’urlo di Munch-Rossi.
Il record della pista appartiene invece a Pecco Bagnaia su Ducati: 1’44.855 realizzato nel 2023, quando dominò il GP d’Italia dal primo giro concedendo un bis da sogno dopo la Sprint del sabato.
Bagnaia (e le Ducati) saranno grandi protagoniste di questo fine settimana. Ma, dice Manuel Poggiali, due volte campione del mondo, altro domatore della pista più bella che c’è, romagnolo di oltre confine (è nato a San Marino) e dunque cresciuto con la fissazione del mutòr, «l’outsider potrebbe essere Acosta su Ktm. Ducati sicuramente farà la differenza, anche Aprilia può dire la sua. Però la cosa certa è che al Mugello non si sa mai».
Il fascino
Non si sa mai sugli oltre cinquemila metri di pista (5.245 m) divisi equamente tra diritti e curve: il 48,5 per cento del circuito è composto da un totale di 15 curve, nove a destra e sei a sinistra. La larghezza del tracciato varia tra i 9,6 e i 14 metri. L’allungo maggiore (1.141 metri) passa davanti ai box. Qui vale tutto, qui si può tutto. L’importante è sognare.
Poggiali spiega che il Mugello «è molto, molto, molto impegnativo dal punto di vista fisico, perché il tracciato è un cambio di linea continuo, e poi è molto veloce. È un circuito largo e interpretabile. Qui non vedi i soliti sorpassi. Quello che rende il Mugello unico è la sua varietà e la libertà di interpretazione».
Esiste una mistica del Mugello, con i suoi riti e le sue stravaganze. Al Mugello non si dorme, dicono. La gente porta i motori di trattori, per fare baccano, e il rumore dei propulsori accesi (notte compresa) risuona in tutta la valle e all’interno dell’autodromo come un monito o una soundtrack, fate voi. È l’ultima tradizione sopravvissuta alle nuove regole sulla sicurezza introdotte all’autodromo in occasione del Motomondiale.
Quest’anno è diventato green: ci saranno cinque arnie e 120mila api impollinatrici all’interno della Curva San Donato. Fino a qualche anno fa si poteva fare invasione di pista (a piedi o in moto), ma anche quello è stato vietato. Dagli anni di Valentino a oggi il fascino del Mugello è rimasto invariato se non altro in teoria. La pratica ha visto un calo del pubblico e degli introiti.
Due anni fa, per dire, si contarono 75mila presenze e 60 milioni di euro di indotto. Valentino attirava il doppio della gente. L’anno scorso il trend è cresciuto, ma i valori by Rossi sono un’altra cosa. Per un pilota, dice ancora Poggiali, «è bello poter finire, arrivare davanti a tutti e festeggiare con tutto il pubblico. Negli ultimi anni i numeri sono un po’ calati, è un dispiacere perché il Mugello secondo me merita qualcosa in più».
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