«C’è chi ha più talento di me, ma io sono uno che lavora tanto». Il lavoro lo ha fatto andare al di là del giocatore di tennis. Sul piano tecnico e tattico Sinner è un rivoluzionario, come lo era stato solamente Björn Borg. Lo svedese ci ha portato il top spin e il rovescio a due mani, l’altoatesino ci ha precipitato nel futurismo. Velocità, velocità e ancora velocità. Il suo gioco potrà essere pure noioso, copyright Daniil Medvedev, ma sembra “montato” come un puzzle grazie al contributo dell’intelligenza artificiale
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
La bellezza di una storia si può ricordare, ma è molto più difficile descriverla. In questo caso si può cominciare da una fotografia. Quella di Matteo Berrettini che a Malaga, nella festa della Davis appena conquistata per la seconda volta consecutiva dagli azzurri del tennis, piange travolto dall’emozione e dalla gioia sulla spalla di Jannik Sinner. La rinascita di Matteo, quanto è lontano il suo Wimbledon e quanto è ancora vicina la tentazione del ritiro, passa anche da questo ragazzo magico che in campo lo ha preso per mano e fuori gli ha dato la sua amicizia. Nel filmato sembra di cogliere alcuni secondi di imbarazzo fino a quando Sinner si sfila dal compagno di squadra dopo una mezza frase e una carezza. Ecco, queste immagini rappresentano la sintesi della personalità di un ventitreenne che in due sole stagioni ha scalato la montagna più alta del tennis mondiale. E ha deciso di rimanere lassù il più possibile.
Sinner è un freddo con il cuore, un lupo che sa anche non mordere. Le sue parole possono essere devastanti come il dritto scagliato a 160 chilometri l’ora oppure sfuggenti e beffarde come un drop shot, la smorzata, la palla corta, il colpo in cui è racchiusa, lo sanno bene Pietrangeli e Panatta che erano specialisti del gesto, l’arte più classica di questo sport. Sono un esempio le parole utilizzate per rintuzzare la polemica sulla residenza fiscale trasferita dai 1340 metri di Sesto Pusteria al mare del principato di Monaco. A Montecarlo vivono altri giocatori di alto livello con i quali mi posso allenare, si è giustificato il giovanissimo campione che finora ha raccolto in soli montepremi oltre 35 milioni di euro. Non proprio un io sono io e voi non siete un cazzo, ma qualcosa di molto simile. «Mi si deve accettare per come sono, altrimenti poco m’importa. Il successo è piacevole, ma non mi interessa essere celebre e amato per forza da tutti».
Facile immaginare il padre Hanspeter e la mamma Siglinde, che significa Vittoria Bella, un nome un pronostico, fare sì con la testa. Lo abbiamo tirato su proprio bene il nostro figliolo. E ancora ci lavorano, come scultori su un pezzo di legno dal quale uscirà la statua di un santo o di un vecchio e famoso alpinista.
Fu una riunione casalinga a decidere la rottura con Riccardo Piatti, suo primo potente e autoritario mentore, sostituendolo con il duplex composto dal marchigiano Simone Vagnozzi e dall’australiano Darren Cahill. Il primo si occupa soprattutto di questioni tecniche e degli allenamenti, il secondo possiamo dire di “politica” e strategia di gioco. La famiglia allargata protegge e comanda spesso con messaggi fatti soltanto di sguardi. Jannik ha studiato pubbliche relazioni anche per conto proprio (una mano gliel’ha data quella vecchia volpe di Cahill), in pochi mesi nelle interviste a caldo ha abbandonato gli amatissimi monosillabi e ora sembra ragionare con la maturità e la spigliatezza di un arguto e spiritoso quarantenne.
Popolo sinneriano
Con le sue vittorie, solo sei sconfitte su 79 incontri nel 2024, e con i suoi modi beneducati ha chiamato a raccolta un popolo di fan e seguaci sempre più numeroso. E disposto a qualsiasi sacrificio. Quasi un anno fa, Renata con i tre figli adolescenti, Paula, Antonio e Flavia, tutti nati e cresciuti in Brasile hanno comprato su internet, appena è stato possibile, quattro preziosi e costosissimi abbonamenti per le finali Atp di Torino. Da San Paulo a Malpensa sono quasi dodici ore di volo ma si sopportano per merito di un desiderio che si sta per avverare: seguire Sinner dal vivo per la prima volta. Non sono semplicemente appassionati di tennis. Jannik lo sentono un po’ come uno di casa perché anche le loro origini sono altoatesine. Il nonno Rudi, medico emigrato in Brasile alla fine degli anni ’50, era infatti di Brunico e ha tramandato la lingua tedesca e la memoria al figlio André, ingegnere aeronautico, e ai nipoti. Credevano di assistere a qualche buona partita di tennis e di strappare una firma del quasi cugino su una maxipallina Dunlop gialla e, invece, hanno scoperto che i dinosauri non si sono completamente estinti, visto che in campo c’era un velociraptor spietato, metodico nel divorare uno dopo l’altro tutti gli avversari. Cinque vittorie senza perdere un set. Un incubo che lo tormenterà per molte notti regalato all’americano Taylor Fritz, già battuto qualche settimana prima nell’ultimo atto degli Us Open, e liquidato a Torino sia nel girone sia nella finale con un periodico 6-4 6-4 6-4 6-4. Senza scomporsi, senza sudare, con una nonchalance che ricordiamo solo in Laver, McEnroe e Federer.
La famiglia
Alla fine Renata, Antonio, Flavia e Paula non hanno avuto il coraggio di avvicinarlo. Si sono accontentati di essere orgogliosi di quel ragazzo straordinario venuto da una terra comune, hanno usato le stesse parole di Reinhold Messner. Grazie, da parte di tutti i sudtirolesi. Nient'altro. Gli si sono dimostrati riconoscenti per aver portato la loro semplicità di montanari all’onore del mondo. Lui lo sa e lo ribadisce ogni volta che gli mettono un microfono sotto il naso. «La mia famiglia viene prima di tutto il resto. Non è ricca e ha fatto molte rinunce per consentirmi di arrivare fin qui. Prima di comprare qualcosa guardo sempre il prezzo, non sono tirchio, ho il rispetto del denaro». In mondovisione ha dato un bacio, l’ultimo, alla zia più amata che stava morendo. Applausi. È un grande italiano, ha detto John Elkann dalla tribuna di Torino. E lui ha spento subito l’arrancante polemica della destra, scivolata nella solita reazione pavloviana. «Mi sento italiano, ma ammetto di essere un italiano atipico. Vengo da un luogo dove si va a letto presto. Non sono mai entrato in una discoteca, sono curioso di gente e di paesaggi. Ho capito davvero che cos’è l’Italia quando sono andato ad allenarmi al Sud».
Il lavoro
Poi c’è il lavoro, quello che fa venire i calli e le vesciche sulle mani. «C’è chi ha più talento di me, ma io sono uno che lavora tanto». Il lavoro lo ha fatto andare al di là del giocatore di tennis, ha contribuito a costruire l’atleta ideale capace di eccellere in tutti gli sport. Dallo sci all’atletica, dal calcio alla pallavolo. Mai visto nessuno giocare a tennis come lui, scrisse Gianni Clerici commentando il suo primo successo nel torneo di Sofia, quando viaggiava attorno alla centesima posizione in classifica. I paragoni, per restare al tennis, si sono sprecati, da quello più vicino, Djokovic, fino a Pietrangeli passando per Borg e Ashe. Nulla di più sbagliato. La definizione più intrigante è forse quella di Paolo Bertolucci, quando ha detto che Jannik Sinner è un profeta che si è caricato sulle spalle tutto il movimento tennistico italiano. I profeti sono quelli che portano il fuoco e tracciano la strada. Sono quelli che annunciano il Nuovo. Quelli che scorgono terra là dove gli altri vedono nebbia. Abbiamo appena pianto gli addii di Federer e Nadal, convinti nostro malgrado che avremmo dovuto aspettare qualche decennio per ritrovarci in un’altra età dell’oro e invece ti arriva questo Sinner lungo e magro con il suo tennis mai visto prima, con i suoi modi gentili e feroci che richiamano il titolo di un film dei primi anni duemila, Killing me softly, Uccidimi dolcemente.
Sul piano tecnico e tattico Sinner è un rivoluzionario, come lo era stato solamente Bjorn Borg. Lo svedese ci ha portato il top spin e il rovescio a due mani con la racchetta impugnata come una mazza da hockey su ghiaccio. Il tennis lo osservò dapprima inorridito e scettico, poi, quando nel ’76, già due titoli Slam messi in saccoccia a Parigi, vinse il suo primo Wimbledon battendo il rumeno Ilie Nastase che sull’erba era dato per favorito, si inchinò al nuovo barbaro biondo.
Sinner il vichingo rosso ci ha precipitati invece nel suo tennis futurista. Velocità, velocità e ancora velocità. Della palla, del braccio, delle gambe, della testa, dell’intero corpo. Il suo gioco potrà essere pure noioso, copyright Daniel Medvedev, ma Sinner sembra il primo tennista “montato” come un puzzle grazie al contributo dell’intelligenza artificiale. Gli hanno insegnato a risolvere problemi, come il Mister Wolf di Tarantino. Spiega Riccardo Piatti che lo ha allenato dal 2014 al 2022 e che continua a scambiare con lui messaggi notturni:«Jannik è stato un progetto sin dall’inizio. Io non ti aiuto, gli dicevo, sono qui per complicarti la vita». Piatti alzava ogni giorno l’asticella della difficoltà, lui la scavalcava al primo tentativo. Ad ogni partita c’era un tennista diverso, più forte di quello che avevamo ammirato nel turno precedente. Il progetto Sinner è ancora adesso un laboratorio aperto. Posso migliorare, posso migliorare, è il suo mantra.
Jannik Sinner solleva trofei e assegni milionari in giro per il mondo, ogni volta sul podio della premiazione prende il microfono e dice sono molto felice di essere qui. Ma non sorride o lo fa a fatica. «Io gioco e basta, in campo non penso ad altro». I risultati da record lo hanno reso bello e affascinante. I giornali se lo contendono, i teleobbiettivi dei fotografi e i video dei cellulari inseguono i suoi amori. Per le mamme è davvero un bravo ragazzo, per i figli un oggetto di ammirazione o di invidia e gelosia, per i suoi colleghi tennisti, ecco, proprio non ci voleva un satanasso del genere.
L’Avversario
Attorno, tuttavia, gli si agita un fantasma, la probabile squalifica di uno o sei mesi per la vicenda doping e l’Avversario, lo spagnolo Carlos Alcaraz, l’unico che ha un bilancio favorevole nei testa a testa, il fuoriclasse di due anni più giovane al quale bisognerebbe proibire le orribili canotte senza maniche alla Nadal che osa indossare anche negli Slam. Il solo che gioca ridendo, inventando, sbagliando. A prima vista la differenza tra i due, che si professano grandi amici, si può riassumere così: Jannik picchia, Carlos crea. Tutti i coach del circuito li stanno studiando, sono consapevoli che bisognerà trovare con urgenza un antidoto al loro strapotere o il duopolio piano piano farà scivolare il tennis nella zona del disinteresse, le giovani promesse getteranno la spugna sul ring o diventeranno prematuramente vecchi comprimari. Lo svedese Mats Wilander, un altro pluridecorato di questo sport, si dice convinto che, nel confronto con Sinner, Alcaraz ha perso il treno a causa delle sue frequenti distrazioni, tradito da una comprensibile presunzione. Patrick Mouratoglou, il dioscuro degli allenatori che è stato a lungo al fianco della fenomenale Serena Williams vede invece una partita aperta. Sinner è un Djokovic 2.0, con qualcosa in più rispetto al serbo. «Il suo movimento e il contropiede sono pazzeschi. Gioca più velocemente di Novak e colpisce la palla prima. Si muove in continuazione e ha la capacità di tenere un ritmo incredibilmente alto senza sbagliare». Un muro. Chi si difende viene massacrato, chi lo attacca ne subisce il contrattacco. Ancora Mouratoglou: «Qualsiasi palla tu colpisca, con lui sei in pericolo. Sempre».
Tutti con lui
Insomma, siamo tutti con Sinner. Vorremmo tutti essere Sinner. C’è un carnevale delle carote che attraversa l’Italia. I soci dei circoli del tennis sono aumentati in media del trenta per cento e la federazione guidata dallo spigoloso e immarcescibile Angelo Binaghi sta per raggiungere il milione di tesserati.
È il momento Sinner. Piace a tutti come Alberto Tomba, Pippo Baudo e Gianni Morandi. Il Papa è un suo tifoso e lo ha messo al riparo dalle possibili delusioni future: quello che importa non è non cadere ma non rimanere caduti. A Roma i bancarellai hanno piazzato il suo ritratto accanto al calendario dei gatti e a quello dei preti belli che sono sempre gli stessi da trent’anni a questa parte, turisti americani ilari comprano la sua caricatura. La sua faccia pulita fa la réclame di una decina di marchi tra i più prestigiosi del mondo. Orologi, caffè, integratori, telefoni, banche, moda, diari e quaderni scolastici. Ci sono maestre e professori che agli studenti hanno proposto questo tema: “Spiegate perché Jannik Sinner è un italiano modello”. Forse è chiedergli troppo e dargli troppo. Lui gioca a tennis e basta, nessuno pensi di candidarlo premier. Dopo un allenamento ha detto: «Mi concentro non sul colpo ma sul suono della pallina. Cerco di riprodurre il suono giusto, che deve essere rotondo e pieno. La pallina non deve grattare quando esce dalle corde della racchetta». Aveva il piacere stampato sul viso. Scrive la francese Annie Ernaux, premio Nobel per la letteratura: «Per me conta solo una cosa, cogliere la vita, il tempo, comprendere e godere». Questa, per un po’, potrebbe essere la vita di Jannik Sinner. Perfetta.
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