Il più grande trovatore di fossili italiano non è un accademico ma un operaio di un'azienda farmaceutica. Ha trovato reperti che stanno cambiando la storia della paleontologia nel Mediterraneo e contribuito a pubblicazioni scientifiche. Eppure Simone Casati è poco conosciuto. E, a causa della pandemia, il museo che ha faticosamente allestito con oltre 3500 reperti, rischia di chiudere
- L’Italia ha un’ottima legge di tutela sui fossili. Un regime di tutela forse unico al mondo ma che, paradossalmente, crea non pochi problemi.
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«Il codice dei beni culturali», spiega Lorenzo Rook, «non distingue nessun tipo di fossile. Questo, sommato alla ipertutela che può comportare anche sanzioni nei confronti degli amatori che li ritrovano e al fatto che la figura del paleontologo non è considerata nelle soprintendenze, complica le cose».
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Un esempio virtuoso di cosa si dovrebbe fare in realtà c’è. La legge sui reperti del 1939 è infatti già stata modificata in Italia nel 1983 dalla provincia autonoma di Trento.
Diversi fossili di balene plioceniche trovati, un nuovo genere di cetaceo a lui dedicato, centinaia di reperti, tra cui delfini, marlin, dugonghi e un dente dello squalo Lamna Nasus che ha permesso agli studiosi di conoscere il momento in cui è avvenuta, nella storia della Terra, una fase di raffreddamento climatico. Simone Casati, fiorentino classe 1964, è una persona che grazie alla sua passione ha cambiato il mondo paleontologico italiano.
Lo ha fatto non essendo un paleontologo. Simone è operaio in un'azienda farmaceutica. E oltre a questo grande numero di ritrovamenti, ha fatto anche un altro piccolo miracolo: insieme agli altri soci del Gamps (Gruppo avis mineralogia paleontologia di Scandicci) di cui è presidente, a forza di raccogliere fossili, è riuscito a costruire un museo con oltre 3.500 reperti tra cui alcuni unici al mondo. Tutto autofinanziato. Un’istituzione che ora, a causa dell’impatto e degli sviluppi futuri della pandemia da Covid-19, potrebbe rischiare di chiudere.
Niente sponsor e niente aiuti
La sede/museo del Gamps si trova a Scandicci, in provincia di Firenze, nei locali di una ex scuola elementare di proprietà comunale. Ci sono oltre 3.500 fossili di origine pliocenica, da 5 a 1.6 milioni di anni fa, perlopiù trovati da Casati. Tra questi, anche la più completa balena fossile scoperta in Europa rinvenuta nella vicina Castelfiorentino nel 1998. Una cosa forse unica.
Eppure istituzioni e sponsor sembrano non essersi affatto accorti di questo piccolo tesoro. «Gli sponsor probabilmente non hanno capito l'importanza della nostra attività», ammette Casati, che del Gamps è anche presidente, «mentre sui bandi regionali e nazionali, burocraticamente, siamo quasi tagliati fuori perché non siamo un museo riconosciuto. Le istituzioni ci considerano poco, forse perché non hanno la percezione di cosa abbiamo all'interno delle nostre esposizioni. Le spese sono tante e, a causa delle restrizioni legate al Covid-19, rischiamo di chiudere i battenti in vista di tempi migliori».
Ma quali sono le spese? «Ci vogliono 10mila euro l'anno che raggranelliamo grazie al buon cuore dei visitatori e alle attività didattiche, lavorando con le scuole o organizzando eventi per bambini. Da quando entri, da quando giri la chiave fino all'ultima stanza, è tutto autofinanziato: realizzazione dei poster, acquisto delle teche, preparazione dei fossili o le assicurazioni stesse dei reperti, necessarie in quanto quello che esponiamo è comunque di proprietà dello stato. L'ingresso è a offerta».
I ritrovamenti
A vedere dal gran numero di ritrovamenti fatti, si stenta a credere che Casati e il Gamps siano considerati così poco. «Personalmente», spiega Casati, «di balene ne ho trovate diverse, come quella ad Allerona Scalo in Umbria o l'ormai famosa di Montalcino. O il nuovo genere di monodontidae (progenitore dell'attuale beluga) a Campagnatico in provincia di Grosseto di circa 4.5 milioni di anni fa, battezzato dagli studiosi dell'Università di Pisa con il nome Casatia thermophila. Senza dimenticare la Pliophoca etrusca a Castelnuovo Berardenga, nel senese. A livello mondiale i resti di Pliophoca si contano sulle dita di una mano. O lo scheletro di un Metaxytherium subapenninum di quattro metri di lunghezza, il più completo al mondo della specie, e i denti dello squalo Lamna Nasus la cui presenza nel Mediterraneo pliocenico indica un raffreddamento delle acque marine verificatosi alla fine del Pliocene. Anche altri paleontofili hanno fatto scoperte che possiamo ammirare nei musei italiani. E, vorrei sottolineare, non nelle collezioni private come spesso avviene. Con le nostre scoperte, abbiamo aiutato gli accademici a studiare cose sconosciute. E dispiace quando i musei si dimenticano di citarci. Personalmente in cuor mio so che i reperti, ovunque si trovino, possono essere ammirati dal pubblico grazie a persone come me che li hanno consegnati alla collettività».
Accademico autodidatta
Casati ha ritrovato centinaia di fossili, anche in posti dove non erano mai stati cercati. E pensare che l'Indiana Jones italiano, ha iniziato per caso. «Fu una cosa del tutto casuale – ricorda – tutto è partito dalla vista di un piccolo fossile in un negozio di souvenir. Era il 1998. Io ho comprato quel piccolo fossile e pensato: sarebbe bello trovarne qualcuno. Quindi ho iniziato a studiare e capire se c'era una associazione vicino Firenze, dove abito, che si occupava di paleontologia.
C'era: il Gamps a Scandicci. Sono andato a trovarli, erano in una sede diversa da quella attuale. Chiesi se mi potevo associare e se mi avrebbero potuto portare a cercare. Mi dissero di sì e dopo poco, visitando la scarpata argillosa di Castelfiorentino, ho trovato la balena che ora è dentro al nostro museo. Ci vollero due anni di lavoro per estrarla e pulirla, facendo le ore piccole e grazie ai contributi di una fondazione bancaria. Poi la forma in cui alloggia, l'abbiamo fatta da noi con appena seicento euro di spesa. E questo spesso mi fa pensare: se avessimo soldi a disposizione, cosa potremmo fare per il mondo scientifico e la collettività. Di una cosa sono certo, in vita mia ho visto più balene nei campi di grano, di quante ne ho potute osservare in mare».
Il paese con le strade di fossili
La vicenda che vede coinvolto Casati è emblematica della condizione paradossale in cui vive la paleontologia nel nostro paese. Pochi fondi, fossili diventati famosi che vengono estratti e poi restano nelle casse, investimenti di valorizzazione quasi inesistenti e una legislazione, di base ottima, che comporta nel pratico una serie di problemi burocratici che ingessano tutto il settore e portano spesso i fossili a far parte di strade e case.
Di contro, tantissimi paleontologi italiani nelle commissioni internazionali e amatori che scoprono ciclicamente cose di interesse globale. Basta chiedere in giro per rendersi conto che ben pochi sanno, tra i non addetti ai lavori, che in Italia sono state ritrovate numerose specie come parenti del T-Rex, grandi cetacei e molto altro.
Le istituzioni spesso si affrettano a sfruttare mediaticamente i ritrovamenti ma poi non valorizzano i reperti, talvolta lasciandoli addirittura imballati perdendo così ogni giorno la possibilità che questo patrimonio venga visto e goduto da migliaia di potenziali visitatori.
Una legge “perfetta”
L’Italia ha un’ottima legge di tutela sui fossili. Forse la migliore in Europa e non solo. Sulla carta però. La legge, risalente al 1939, equipara i beni paleontologi a quelli archeologici inserendoli nel codice dei beni culturali. Un fossile quindi è importante tanto quanto un reperto romano. Un regime di tutela forse unico al mondo, visto con una punta di invidia dai paleontologi di altri paesi. Ma che, paradossalmente, crea non pochi problemi.
«Il codice dei beni culturali – spiega Lorenzo Rook, professore di paleontologia all'università di Firenze – non distingue nessun tipo di fossile. Dal granulo di polline invisibile al grande dinosauro sono tutti beni paleontologici. Questo, sommato alla ipertutela che può comportare anche sanzioni nei confronti degli amatori che li ritrovano e al fatto che la figura del paleontologo non è considerata nelle soprintendenze che si occupano di valutare l'importanza dei reperti, complica le cose».
Il rischio per l’amatore
L’amatore o colui che trova il reperto – e specifichiamo il “trova” perché ai fini di legge se non autorizzato non può cercare – è tenuto a segnalarlo a una autorità, va bene anche il sindaco, entro 24 ore. La tempistica non è trattabile.
«I fossili sono beni statali. Anche se li trovo a casa mia – spiega Cesare Andrea Papazzoni, professore di paleontologia all'università di Modena – sono dello stato. Ed è lo stato che deve decidere cosa farne. Questo ha un’influenza importante sui tanti appassionati di fossili. Alcuni di loro hanno messo su dei musei, più o meno pubblici e lavorano in modo del tutto gratuito. Un gran lavoro. Rischiano di essere denunciati dalle autorità competenti e avere un processo penale se non comunicano il loro ritrovamento entro 24 ore. In sostanza, una buona legge sulla carta che si scontra con le mille problematiche burocratiche tipicamente italiane».
Dopo la segnalazione si muove la soprintendenza che deve procedere con la valutazione. Ma i tempi sono un’enorme incognita. A volte celeri, altre volte elefantiaci. Questo aspetto crea non pochi problemi ai cavatori quando, durante il loro lavoro, trovano possibili reperti degni di nota. L’incertezza dei tempi li pone di fronte al dilemma se segnalare o meno il reperto complice la paura di un blocco dell’attività di durata imprevedibile. Non ci sono dubbi sul fatto che tutti segnalino ma di certo tutti, continuamente, sono assaliti da questo dilemma.
L’attività estrattiva regala reperti e non solo. «Chi taglia il marmo calcareo sulle montagne per fare gli impianti di rosso veronese che sono nei nostri palazzi o taglia i travertini – aggiunge Rook – senza accorgersene mette nei pavimenti rocce costituite da resti fossili in gran quantità. La stazione ferroviaria di Santa Maria Novella a Firenze ha nella pavimentazione dell'atrio delle conchiglie sezionate che sono ammoniti di un centinaio di milioni di anni fa. Non sono considerati beni culturali perché fanno parte dei lapidei come le argille che vengono cavate e cotte per fare i mattoni nelle varie fornaci. Queste sono piene di gusci di organismi marini grandi o piccoli che vengono macinati e cotti. Ogni giorno l'attività estrattiva macina e distrugge milioni di resti fossili usandoli anche per fare le strade. Ma quelli, nessuno li tutela».
La balena di Matera
Sono tantissimi i fossili in attesa di essere studiati o estratti in tutta la penisola italiana. Il caso più eclatante è quello di Giuliana, la balena trovata a Matera – ufficialmente nel 2006, anche se l’amatore Gianfranco Leonetti pare l’abbia scoperta nel 2000 – che è ancora chiusa nelle casse.
A distanza di quasi 15 anni, quella che, stando agli studiosi, è la balena fossile più grande mai ritrovata fino a ora coi suoi 26 metri di lunghezza e quasi 2 milioni di anni di età, deve essere ancora pulita e musealizzata. E questo a dispetto della risonanza mediatica mondiale, delle tante dichiarazioni e delle passerelle politiche. Dopo tanti anni è ancora impossibile studiarla.
«Potrebbe darci importanti informazioni sia sull'evoluzione del gigantismo dei cetacei che sulla messa in posto degli attuali ecosistemi marini – afferma Giovanni Bianucci, paleontologo dell'università di Pisa che ha seguito gli scavi – la speranza è che qualcosa si smuova nel concreto. Sembra incredibile che non ci possano essere fondi per un reperto del genere, vista l'importanza che ha. È un peccato».
C’è poi l’aspetto universitario. Nonostante la ricchezza di fossili del nostro paese, i corsi di laurea inerenti a questa materia sono a rischio. «Il numero di docenti nell'università italiana è calato del 20 per cento negli ultimi 15 anni – dice Papazzoni – e il numero totale di paleontologi in Italia, compresi quelli che lavorano nell'industria estrattiva, non supera il migliaio. Il settore delle geoscienze è uno dei più penalizzati e questo mette a rischio molti corsi di laurea. Se ci sono bravi studenti siamo costretti a invitarli a cercare sbocchi all'estero. Forse non se ne capisce l'importanza o ci vendiamo male. La paleontologia non significa “solo” studiare i vertebrati e l'evoluzione. Studiando il passato coi reperti fossili che troviamo, possiamo capire, facendo comparazioni scientifiche, l'evoluzione del nostro clima futuro».
Il problema dei restauri
Il codice dei beni culturali prevede che per avere la qualifica di restauratore o collaboratore si debba aver fatto un percorso in una scuola di alta formazione. Il problema è che i fossili, pur essendo catalogati come bene culturale, non sono inseriti nelle categorie da studiare. Quindi nelle scuole di restauro ad alta formazione, non vengono fatti corsi su questa materia.
Se un museo di paleontologia dovesse assumere un tecnico restauratore, dovrebbe assumere un tecnico che nella pratica non ha competenze in materia. «Stiamo cercando di rimediare – afferma Lucia Angiolini, presidente della società paleontologica italiana e professoressa di paleontologia all'università di Milano – il problema era stato sottoposto nel 2017 al ministero da chi mi ha preceduto. Qualcosa si sta muovendo. È un problema che va risolto, insieme a quello di snellire la legge sui ritrovamenti e alla mancanza di paleontologi nelle soprintendenze per velocizzare così la valutazione dei reperti. Prima o poi ci riusciremo».
Il modello Trento
Un esempio virtuoso di cosa si dovrebbe fare in realtà c’è. La legge sui reperti del 1939 è infatti già stata modificata in Italia. Lo ha fatto nel 1983 la provincia autonoma di Trento per il suo territorio. I beni restano tutelati ma, a eccezione delle aree protette o dove non è lecito scavare, vengono concesse autorizzazioni annuali per motivi di studio o piccolo collezionismo.
L’autorizzato è tenuto a fare un elenco specifico di cosa trova a fine anno. «Si è tenuto conto che c’erano molti appassionati – spiega Massimo Bernardi, responsabile dell'area ricerca e collezioni e conservatore per la paleontologia al Muse di Trento – e si è cercato di snellire sui piccoli fossili trovati in superficie che non richiedono attività di scavo. Cose di importanza relativa che non sarebbero poi state oggetto di scavo o avrebbero trovato posto in un museo. Oggi l'appassionato, ottenuta l'autorizzazione, ha il vincolo di inviare una relazione a fine anno con tutte le specifiche come materiale trovato, località, riferimenti sia geografici che geologici, quantità eccetera. Questo elenco viene sottoposto a valutazione da parte del museo di Trento. In genere si tratta di materiale che non ha alcuna rilevanza scientifica. Così sappiamo anche chi fa attività ed eliminiamo il sommerso».
La zona di Trento ha tratto benefici da questa modifica. E, considerando l'interesse, si è deciso di investire. Il Muse, museo delle scienze, è stato inaugurato nel 2013. Da allora ci sono stati oltre cinque milioni di visitatori in un comune che conta poco più di 100mila abitanti. «La legge italiana di base è buona – sottolinea Bernardi – e ha permesso di salvare il nostro patrimonio a differenza di Francia, Usa o Cina ad esempio. Però senza una gradazione, diventa ingestibile. Replicare la nostra modifica sul nazionale, è possibile».
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