L’esordio letterario di Stefano Rapone, Racconti scritti da donne nude, è una raccolta di storie sulle più svariate tipologie umane. In questo estratto l’inchiesta di un giornalista che si è infiltrato in una sezione giovanile di Fratelli d’Italia
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Chiunque abbia visto uno spettacolo di Stefano Rapone conosce il suo inconfondibile marchio di fabbrica: una voce profonda, un tono rilassato e una comicità che esplode nel momento più inaspettato, cogliendo sempre il pubblico alla sprovvista. E questo suo esordio letterario ha le stesse qualità: racconti sornioni, che partono con una premessa tranquillizzante, per poi deflagrare in sviluppi del tutto inattesi, davanti ai quali la risata è l’unica reazione possibile.
Racconti scritti da donne nude è una raccolta di storie brevi i cui protagonisti appartengono alle più svariate tipologie umane: scienziati non pazzi, amanti focosi, fascisti amichevoli, feti zombi e Madonne in carriera.
Per completarlo sono state impiegate le più avanzate tecnologie che la ricerca ha da offrire, infatti l’autore giura che gran parte del testo è stata scritta al computer.
È un libro che per la sua portata rivoluzionaria dovrebbe vincere numerosi premi e, se ciò non accadrà, sarà sicuramente perché dei poteri forti avranno tramato nell’ombra.
Comunque voi compratelo, ché a Rapone sicuramente fa piacere.
Mi chiamo Sandro Gualdrappi, sono un giornalista rampante e conduco inchieste pericolose per una nota rivista online. Da un po’ di settimane avevo il sospetto che nel partito Fratelli d’Italia potessero esserci alcuni sostenitori del fascismo (una tesi strampalata, lo so), per cui per verificarlo decisi di infiltrarmi nella sezione giovanile “Ha fatto anche cose buone” di Latina.
Innamorarsi da infiltrato
Cominciai dal basso, e presto riuscii a farmi invitare a delle feste in luoghi segreti dove i dirigenti ci intimarono di non fare foto o video. Lì ebbi modo di ascoltare diversi gruppi musicali, come i Bivacco di Manipoli, i Viva Erdù e i Senza Dubbio Siamo Fascisti e, mentre iniziavo a sospettare che anche fra di loro potesse nascondersi qualche simpatizzante di estrema destra, vidi i militanti entrare in un certo fermento perché stava arrivando la persona responsabile di tutte le sezioni giovanili del circondario. Mi aggregai a loro e vidi la sua sagoma avanzare tra la folla mentre si faceva spazio tra energumeni danzanti prendendoli a schiaffi goliardici. Più si avvicinava e più ne ammiravo la maestosità: fisico gladiatorio, mento volitivo, grugno da mastino. «Piacere, Lavinia» si presentò e mi strinse vigorosamente il braccio. Io rimasi sconcertato davanti a tanta bellezza.
Passammo tutta la serata a bere e a parlare l’uno accanto all’altra e scoprii tutti i suoi hobby, come la lotta greco-romana e le lunghe passeggiate a Predappio.
Nei giorni successivi, ci incontrammo alle riunioni della sezione e insieme stilammo proposte di legge per fermare gli sbarchi, come fare ronde in pedalò o confondere le ONG e farle attraccare nei lager libici con un elaborato sistema di specchi, ma non passò molto tempo prima che iniziassimo a frequentarci anche nel tempo libero.
Dopo un po’, mi resi conto che tra noi stava nascendo del sentimento. Iniziai ad amare tutto di lei, ogni sua caratteristica. Mi piacevano molto le sue mani (io, la prima cosa che guardo in una fascista durante il saluto romano, sono le mani), ma più riguardavo i filmati ripresi con la mia microcamera, più iniziavo a notare tutte quelle piccole cose che la rendevano irresistibile: il suo sguardo sognante quando pensava al premierato, le fossette che le si formavano ai lati delle guance quando insultava gli ebrei o le sue labbra, costrette ad assumere la forma di un bacio quando scandiva la sillaba «du» e poi a distendersi in uno splendido sorriso, quando pronunciava la sillaba «ce».
La confessione
Capii che non potevo più prenderla in giro. Un pomeriggio mi feci coraggio e decisi confessarle tutto.
«Lavinia, devo dirti una cosa. Io... sono un infiltrato. Mi sono unito a voi con l’inganno perché volevo esporre i vostri cori del cazzo, le vostre ideologie ferme a cento anni fa e questi rituali che vi inventate per dare un senso di sacro al vostro razzismo da due soldi. Poi però… mi sono innamorato. Non posso pensare a una vita senza di te. Ti prego cerca di capire perché l’ho fatto…»
Ma lei divenne furibonda e iniziò a urlare «TRADITORE!» e dalla foga frantumò un busto che aveva tra le mani. «INFAME FRACICO! IO TI HO DATO TUTTO! TI AVREI DATO ANCHE IL MIO GREMBO!»
«Ti prego, cerca di capirmi!»
«ZITTO, VERME!» urlò ulteriormente e chiamò subito a sé gli altri militanti, che accorsero furiosi.
«QUESTO INFAME TRADITORE CI HA VENDUTI! È ORA DI DARGLI UNA LEZIONE.»
Venni circondato da una decina di energumeni che mi fissavano minacciosi. Uno di loro chiuse la porta a chiave, altri iniziarono a tirare su le maniche e altri ancora scrocchiarono rumorosamente le nocche. Io li guardavo terrorizzato, mentre loro si stringevano sempre più attorno a me e si apprestavano a fare ciò che meglio riesce a tutti i fasci: le vittime.
«Uèèèèèèè» iniziarono a piagnucolare in coro cadendo in ginocchio. «Ci hai traditiiiiiiii.»
Io ero confuso.
«Noi ci fidavamo di teee!»
«Ti abbiamo fatto conoscere le nostre famiglie! I nostri parenti più anziani!» disse Amilcare.
«Abbiamo fatto il presepe insieme!» gli fece eco Italo.
«Ti ho pure fatto incontrare gli amici ultras! Ma che si fa così?» aggiunse Achille.
«Lo so» risposi io. «Ma era per lavoro! Se ci sono fasci in un partito politico è un fatto di interesse pubblico!»
«Eh, ho capito, però l’amicizia viene prima di tutto! Poi uno ci rimane male» disse Littorio continuando a piangere.
«Ma guardate che fare apologia è reato!»
«Ma non abbiamo fatto apologia» singhiozzò Galeazzo. «Era solo goliardia!»
«Sì, noi urlavamo solo “Nu-ce! Nu-ce!” Dal latino noce!»
«Io quando muovevo il braccio su e giù dicevo “Sigh, ahi!”, perché ero dolorante per via di un problema al gomito, non “Sieg Heil”.»
«Il mio vestito da nazista era solo per una festa di carnevale!»
«Quel busto del duce che ho in salotto non è perché ne sposo l’ideologia, ma perché mi è stato regalato da un parente! Se era il busto di Bin Laden lo mettevo lo stesso!»
«E poi il vero antisemitismo sta a sinistra, nei centri sociali! Noi agli ebrei gli abbiamo sempre voluto bene!»
Giustificazionismi
Le loro voci iniziarono ad accavallarsi in una serie di motivazioni assurde e io ripensai a tutti i fatti di cui ero stato testimone alla luce di queste loro nuove giustificazioni. Possibile che avessi preso un abbaglio?
Nessuna persona con un briciolo di dignità userebbe delle scuse così folli e senza vergogna pur di salvare la faccia, quindi dovevano essere per forza vere.
«Vi chiedo scusa» dissi profondamente in imbarazzo. «Io… forse sono vittima di pregiudizio. Distruggerò i miei filmati.»
Tutti mi guardarono con occhi colmi di lacrime e amicizia ritrovata.
«Lavinia… potrai mai perdonarmi?» chiesi alla donna che oramai amavo.
«Ma certo, caro» disse lei e ci baciammo sotto un mazzolino di vischio e ricino. Ci fidanzammo e restammo insieme per dieci lunghissimi giorni, poi capimmo che non era cosa. Ma ero comunque lieto dell’esperienza, che mi aveva formato sia dal punto di vista giornalistico ma soprattutto dal punto di vista umano.
Mi resi conto che la realtà è sempre più complessa di quanto sembri. Adesso non è che solo perché i membri di un partito inneggiano al duce, hanno in casa i suoi busti, fanno saluti romani e non riescono a dirsi antifascisti, che allora devono essere per forza etichettati come «fasci».
A volte è il caso di andare oltre le apparenze, di conoscere le persone e, soprattutto, di ascoltare le loro giustificazioni senza mai metterle in discussione. È questo che fanno gli amici.
da Racconti scritti da donne nude, Rizzoli Lizard, 2024
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