È un emblema di progresso, ma ha raso al suolo interi settori dell’economia. Fornisce un monte di informazioni, ma favorisce la distrazione. Contro lo smartphone di Juan Carlos De Martin mette in fila tutti i pericoli di quello che è diventato un oggetto quasi indispensabile
Ha solo 16 anni, ma è prepotente e aggressivo. Lo crediamo un amico, ma è una spia e un delatore. È un emblema di progresso, ma ha raso al suolo interi settori dell’economia, come l’industria discografica e quelle del cinema, della fotografia e dei media a stampa. Sembra che faciliti la lettura, invece l’ha resa sommaria e superficiale.
Fornisce un monte di informazioni, ma favorisce la distrazione e la descolarizzazione. Manda messaggi, ma ha portato sull’orlo del fallimento i sistemi postali di tutto il mondo. Serve per fotografare, ma permette di diffondere video e foto infami. Costruisce comunità e amicizie, ma è lo strumento primario di chi molesta e bullizza.
Il soggetto di queste microstorie è sempre lo stesso: lo smartphone, gadget oggi non solo indispensabile ma quasi obbligatorio, a cui si dedicano discussioni anche allarmati, ma sempre senza troppo impegno. Infatti, nessuno si rende conto che lo smartphone esercita il suo impatto non solo su ognuno di noi, ma su una quantità di altre sfere.
Le numerose fasi della sua filiera (ideazione, produzione dei materiali, fabbricazione, elaborazione del software, creazione delle applicazioni, smaltimento ecc.) somigliano all’avanzata di un esercito che, procedendo inarrestabile, lasci alle sue spalle vittime, territori distrutti e economie devastate.
Il racconto di questa avanzata (quale si legge in Contro lo smartphone, un bel libro di Juan Carlos de Martin, informatico del Politecnico torinese, edizioni Add) mette infatti in scena monopoli mondiali, lavoratori sfruttati (anche bambini), profitti mostruosi e un inarrestabile processo di controllo degli utenti, disegnando un panorama che dovrebbe interrogare non solo ognuno di noi, ma soprattutto i governanti.
Il titolo del libro può sembrare troppo duro, visto che del telefonino facciamo un uso quotidiano e gli siamo, chi più chi meno, affezionati. Ma il libro mostra, con un’esposizione documentatissima e incalzante, come, a dispetto della sua diffusione, lo smartphone rimanga «un’entità opaca», perché quasi nessuno sa nulla della sua tecnologia (dei suoi materiali e componenti, delle tecnologie che incorpora) né dei suoi effetti sulla mente e sul comportamento, sulla libertà e sulla privacy.
I numeri
Alcuni numeri (che prendo dal libro di De Martin) raccontano la storia in rapida sintesi. Nei sedici anni dacché lo smartphone è nato, ne sono stati venduti più di 15 miliardi di pezzi. Cinque miliardi e mezzo di individui (il 69 per cento della popolazione mondiale) ne ha uno in tasca. Il suo mercato vale tra i 450 e i 500 miliardi di dollari. I circa 80 metalli che ogni apparecchio contiene provengono da paesi poveri sotto il controllo della Cina.
I produttori sono non più di tre al mondo (Apple, Samsung e Xiaomi). I sistemi operativi fanno capo a due aziende (Apple e Google), che ne traggono utili immensi: Apple registra quasi la metà del fatturato mondiale e l’85 per cento dei profitti dell’intero comparto.
Gli stabilimenti di produzione sono concentrati in tre paesi (Cina, India e Vietnam) e impiegano operai a milioni. Foxconn, la fabbrica cinese da cui escono quasi tutti gli iPhone, ha un milione e 300mila dipendenti. Le loro condizioni di lavoro sono però di estremo sfruttamento, tanto da portare a violente proteste e a ondate di suicidi.
Avendo una vita limitata (circa due anni e mezzo, o per obsolescenza programmata o per il desiderio di ognuno di noi di averne uno nuovo), questi apparecchi generano un’enorme massa di scarti, in continuo aumento: nel 2030 saranno 75 milioni di tonnellate, quasi il doppio del 2013. Dove finiscano questi rifiuti non è chiaro, ma è certo che la maggior parte va a finire in paesi poverissimi, come Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio, Malesia, Cambogia…
Il contratto social
Le cose non vanno meglio dal lato dell’utilizzatore. Con lo smartphone in mano si passano in media cinque ore al giorno, il che lo rende un formidabile portatore di batteri, visto che ci segue anche in bagno. La nostra etologia ne è totalmente trasformata, rendendoci compulsivi in molti ambiti: siamo compratori, voyeur di pornografia, fotografi, molestatori e challenger, ascoltatori di musiche di tutti i generi e lettori o creatori di news, reali e fake, sciocche e serie.
Aprendo uno smartphone firmiamo inconsapevolmente un “contratto social” che ci impegna a fornire, volenti o nolenti, dati privati: la scia di informazioni su noi stessi che produciamo è segretamente trasmessa a centrali di raccolta, che li usano per “profilarci”, cioè per definire il tipo di utente che ognuno di noi è (che età ha, come sta di salute, quanto spende e cosa compra, dove va e cosa mangia) e inondarci di pubblicità mirata. La trasmissione di dati continua anche a telefono spento spento: un telefono Android invia silenziosamente a Google un megabyte di dati ogni 12 ore.
Gli effetti sulla mente non sono meno importanti: la concentrazione si riduce per il continuo zapping, gli incidenti stradali sono incrementati, si creano dipendenze specie tra i giovani. I sistemi scolastici sono in allarme, al punto che l’Unesco in un rapporto del 2023 ha chiesto di bandire da tutte le scuole del pianeta lo smartphone in quanto strumento di distrazione e di cyberbullismo. Qualcuno prefigura un mondo orwelliano, dominato da due o tre corporation che, attraverso il telefono, tengono in pugno cinque miliardi di persone.
Un manifesto
Il libro di De Martin, che descrive freddamente uno scenario a tratti distopico, ha un sottotitolo speranzoso: Per una tecnologia più democratica. Il capitolo finale, infatti, propone un coraggioso “Manifesto” in venti punti «per un futuro migliore».
I punti interpellano tutti: i fabbricanti (che dovrebbero impegnarsi contro lo sfruttamento, l’impiego di materiali tossici ecc.), gli sviluppatori di applicazioni e sistemi (che dovrebbero creare sistemi aperti e non escludenti come nel cosiddetto “mondo Apple”), gli educatori, le centrali di raccolte dati (che dovrebbero indicare che dati prendono e che uso ne fanno) e via via tutte le entità e le persone che hanno a che fare con quest’oggetto. Vasto programma, considerato che nessun potere riesce finora a governare la rete e che è improbabile che nel prossimo futuro ne sorga uno capace di farlo.
Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica (ADD 2023, pp. 200, euro 18) è un libro di Juan Carlos De Martin
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