Mi sono accorto della musica, veramente, non prima dei miei cinquant’anni. Abitavo in una piccola città del Centro Italia, non avevo la lavatrice. Un pomeriggio di novembre, soleggiato, mi reco alla laundrette automatica, intorno alle 15.

Metto i miei capi a lavare, esco sul marciapiede prospiciente. Noto che di fianco a me tre signori entrano in un negozio a una vetrina. Dentro, lo spazio è quasi interamente occupato da una enorme macchina per ciclostili.

I tre pensionati entrano nella tipografia ormai obsoleta e in dismissione. Ognuno di loro indossa, come ritualmente, un camice grigio, e incomincia a oliare la macchina. Mi sono immaginato che si chiamasse Berta, la macchina.
Poi, senza alcun lavoro tipografico da compiere, accendono la Berta e si siedono. In fila, su sgabelli di fortuna, la guardano operare, la Berta, ma senza stampare nulla. Gli occhi chiusi. Solo il rumore della meccanica.

Questi uomini, forse non volevano arrendersi al tempo, alla mancanza di appartenenza al nuovo mondo. Una ribellione guidata dal suono della loro macchina, la musica della loro vita.

Silenzio e mancanza

Mi è sembrato, all’epoca, ciò che di più religioso e Trascendente io avessi mai incontrato. Sacro. Perché, come nelle religioni monoteiste, si crede al Silenzio e all’Assenza. Tutto viene dal silenzio e dalla mancanza.

Il rumore, come musica, come fonte di Vita e di conforto.
Un’orchestra, poi, ho visto. Nella Valle dei Templi, una sera di fine estate.

Aspettare l’attacco del direttore, le mani in aria per svelare l’attacco.

In quel silenzio di attesa, in quell’infinito indugiare sulla pausa, nella tensione di ciò che verrà, ho visto tutti gli uomini e le donne del mondo, di tutti i tempi. Insieme a loro, le loro divinità e le loro convinzioni, il possibile e l’impossibile fondersi insieme, sciogliersi. Non nel primo accordo, ma nel silenzio della costruzione di una realtà finalmente accettabile da tutti. Una somma di tutte le realtà percepite e non.

Musica infinita dalle realtà adiacenti.

Una resa creativa

Nel viaggio di ritorno, sul ponte della nave traghetto che mi riportava a Napoli, come una folgorazione.

Nella notte di bonaccia, nella navigazione alla luce di una luna arancione e opalescente, io da solo sul ponte.

Con me, le voci delle mie moltitudini, delle moltitudini di ogni passeggero passato e futuro di quel natante. I giochi dei bambini, i vettori nello spazio tracciati dalle braccia dei danzatori, dei nuotatori sincronizzati, della nave stessa, degli sguardi degli innamorati. La profondità assoluta degli abissi e dei loro abitanti.

In quel Silenzio di spazio strappato al mare, nel profumo di gasolio, l’inizio della Sagra della Primavera di Igor Stravinskij e ogni tentativo di Creazione.

La creazione come abbandono all’universo, alle forze misteriose. Una resa creativa all’impossibile da raggiungere. Una lacrima scende. Forse è il vento notturno, oppure l’insonnia. Non so bene.

La musica del mondo

La musica del mondo, anche di questo mondo elettrico, dove il silenzio non è il vero silenzio, è un gioco serissimo e chi la pratica veramente sa che si mette in Ri-Creazione, giacché già il mondo naturale in sé è bastevole ampiamente a sé stesso.

Cosi, noi siamo creature supplementari, incapaci di abitare, di abdicare al ruolo dominante.

Forse, però, nella tensione verso questo diaframma tra resa all’infinito e volontà di Potenza, persino gli uomini hanno un ruolo diverso dall’essere distruttori. Forse, un giorno, gli esseri umani riusciranno a fondersi con l’Altro. Con l’Alterità. E forse lo faranno Bonariamente, senza boria, con Generosità.

E vedremo crescere nuove forme di vita: alberi-bambina, fiori-dita, pietre-giardiniere, pescipalafitte, uomini volanti, velocissimi e sorridenti.

Questo ho pensato. O forse era un sogno, spezzato alle cinque di mattina dal profumo di croissant per le colazioni ai naviganti.

Sono passati nove anni da allora. E poco ho compreso ancora della vita, dell’amore, della danza e della disattenzione. Ma sono certo che gli esseri umani debbano non essere istruiti, ma educati sentimentalmente. E che la musica, come tutto ciò che concerne l’umano, senza tensione alla Trascendenza e alla indeterminatezza sia solo folklore, posa, paradiso artificiale, narrazione di narrazioni. Sterile.

Poi esco.

In un giardino, all’alba, si schiude un tulipano. E nella musica di quello schiudersi, io Credo ancora e sempre di più, all’impossibile.

Paolo Benvegnù si esibirà l’11 luglio a Baveno, all’interno del festival Musica e spiritualità, un ciclo di conversazioni e di esibizioni acustiche con i protagonisti della nuova musica italiana. Il festival inizierà il 5 luglio con Cristina Donà.

Info: 347 4409779

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