Gli effetti della crisi climatica, con temperature sempre più elevate e periodi di siccità prolungati, stanno mettendo a dura prova anche la viticoltura. In generale le varietà storiche dei territori stanno dimostrando una migliore resilienza alle nuove condizioni ambientali rispetto ai vitigni alloctoni
I termini vitigni internazionali e vitigni autoctoni sono tra più utilizzati nel mondo del vino. Una contrapposizione che tende a perdere di significato quando si abbandonano le categorie astratte del pensiero e del linguaggio, per immergersi nel flusso della storia. La vite è da sempre una pianta nomade, che ha viaggiato seguendo le migrazioni degli uomini, le rotte dei naviganti e i commerci.
Destino itinerante
Un destino itinerante fatto di continui incroci e ibridazioni, che rende spesso difficile parlare di varietà originarie di un luogo preciso. A partire dalla prima domesticazione della vitis vinifera nelle aree del Medio Oriente e del Caucaso, ai successivi centri di coltivazione della Grecia e del sud Italia, la vite si è diffusa nel corso dei secoli nei paesi del bacino del Mediterraneo, nel cuore dell’Europa e in tempi più recenti in tutti i continenti. Proprio per la sua natura, potrebbe essere più appropriato l’utilizzo dell’espressione vitigni storici di un territorio, piuttosto che vitigni autoctoni.
Un cambio di prospettiva più realistico, che sposta l’accento dall’individuazione di un presunto luogo di origine, a una presenza testimoniata da lungo tempo in una determinata area. Questa premessa consente di leggere in modo più dinamico la geografia dei vitigni, sia delle regioni del mondo che praticano la viticoltura da millenni, sia dei paesi che l’hanno conosciuta solo in tempi relativamente recenti.
La fillossera
Dobbiamo inoltre considerare che la molteplicità della vitis vinifera è stata gravemente compromessa dalla fillossera. Questo piccolo insetto arrivato dal continente americano in Europa verso la fine dell’Ottocento, ha distrutto quasi completamente il vigneto del vecchio continente, compromettendone la ricchissima biodiversità.
La successiva fase di reimpianto delle vigne su portainnesti di vite americana, ha comportato la nascita di una nuova èra della viticoltura. Accanto ai vitigni locali salvati dalla fillossera, in molti paesi sono stati piantati i più famosi vitigni francesi, provenienti dalle pregiate regioni di Bordeaux, della Borgogna, della Valle del Rodano e della Valle della Loira.
Sindrome internazionale
Le scoperte di nuovi continenti e le successive migrazioni dall’Europa verso le terre del Nuovo Mondo, hanno ulteriormente contribuito alla diffusione delle principali varietà di vitis vinifera. Questo processo di espansione di pochi vitigni in molti territori, ha condotto a concentrare la produzione mondiale verso un numero limitato di uve. I paesi privi di una storia secolare nel campo della viticoltura hanno ovviamente scelto di coltivare le varietà in grado di produrre i vini più apprezzati e più facilmente commercializzabili all’interno del mercato mondiale. Questa sindrome internazionale ha tuttavia contagiato anche molti paesi dalle antiche tradizioni, che hanno spesso accantonato i vitigni locali per piantare: chardonnay, sauvignon blanc, pinot grigio, cabernet sauvignon, merlot, syrah, pinot noir e grenache.
Il fenomeno ha toccato marginalmente anche l’Italia e solo da pochi decenni è cominciata un’inversione di tendenza, che ha condotto alla riscoperta e alla valorizzazione delle antiche varietà della nostra penisola. Questa nuova fase ha messo al centro dell’attenzione il rapporto tra un’uva e un territorio, nel segno della tradizione e della storia locale.
All’omologazione e alla standardizzazione si è contrapposto il valore dell’unicità, della differenza e della piccola produzione artigianale. Il successo di questa nuova ricerca di territorialità e identità del vino ha stimolato la curiosità degli appassionati più attenti, decretando il successo di molti vitigni quasi dimenticati. Oggi la contrapposizione tra vitigni internazionali e vitigni autoctoni si è trasformata in una coabitazione, segno di un mercato più maturo, segmentato e di consumatori più consapevoli.
Cambiamenti climatici
Gli effetti della crisi climatica, con temperature sempre più elevate e periodi di siccità prolungati, stanno mettendo a dura prova anche la viticoltura. In generale le varietà storiche dei territori stanno dimostrando una migliore resilienza alle nuove condizioni ambientali rispetto ai vitigni alloctoni. Stanno tornando alla ribalta uve antiche, che nel corso del tempo si sono radicate in luoghi con le condizioni climatiche e i suoli più adatti alle loro esigenze. Grazie al processo di secolare simbiosi con il terroir, questi vitigni stanno recuperando spazio e considerazione, rimettendo in discussione scelte fatte in passato.
È il caso dell’erbamat in Franciacorta, un’uva abbandonata in favore di chardonnay, pinot bianco e pinot nero, che oggi è stata riscoperta e inserita nel disciplinare della denominazione. La sua maturazione tardiva e la sua elevata acidità, sono caratteristiche perfette per garantire freschezza alle cuvée di Metodo Classico. La stessa cosa sta accadendo in Champagne con la rivalutazione del petit meslier. La riscoperta del timorasso, così come la scelta dei viticoltori siciliani di accantonare molte varietà internazionali per concentrarsi sulle uve dell’isola, si inserisce in questa nuova visione. In Languedoc si stanno abbandonando viognier, marsanne e roussanne, originari della Valle del Rodano, per ripiantare le uve locali grenache blanc e carignan blanc, più adatte a un clima sempre più caldo e secco.
Tuttavia, a fronte di una rivincita delle varietà storiche, ci sono anche zone in cui i vitigni internazionali hanno trovato da secoli una seconda patria, tanto da essere considerati parte della tradizione locale. In Italia è accaduto con la syrah nella Sicilia occidentale o a Cortona, con il sauvignonasse (friulano) e il sauvignon blanc in Friuli, con il pinot noir, lo chardonnay, e il sauvignon blanc in Alto Adige, con i vitigni bordolesi a Bolgheri.
Una nuova geografia
Il fenomeno è ancora più evidente nei paesi che non possedevano un patrimonio di varietà locali; basti pensare alla syrah in Australia, al sauvignon blanc in Nuova Zelanda, al pinot noir in Oregon, al cabernet sauvignon in Napa Valley, al malbec in Argentina, al tannat in Uruguay e via dicendo.
Ormai superata la contrapposizione manichea tra vitigni, si sta affermando una visione legata soprattutto alla valorizzazione dei territori in cui le uve si esprimono meglio, indipendentemente dal fatto che siano originarie di quel luogo o abbiano trovato in quella terra le condizioni per esprimersi su alti livelli.
Il panorama del vino si fa più complesso e variabile nel tempo, meno schematico e rigido. Nei prossimi anni sarà forse necessario riscrivere una geografia del vino, in cui emergeranno nuove aree, spesso d’altitudine. In Borgogna le zone più fresche che salgono verso le Hautes-Côtes de Nuits e de Beaune, da alcuni anni esprimono vini che stanno rapidamente scalando la piramide qualitativa del territorio.
La vigna è tornata a latitudini in cui era assente da molti secoli. Si sono ripiantati vigneti nelle regioni del nord della Francia e in Gran Bretagna si coltivano chardonnay e pinot noir per la produzione di Metodo Classico. Una tendenza che già oggi spinge gli appassionati più attenti a volgere lo sguardo verso i margini delle denominazioni più famose, in quelle terre di confine un tempo ritenute meno vocate e che in futuro potrebbero esprimere ottimi vini.
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