È un periodo preoccupante in cui tanti lupi travestiti da agnellini bene intenzionati stanno minacciando l’autonomia dell’arte. La minaccia più grave è giudicare l’arte in base alla condotta morale dell’artista. Il New York Times, a proposito di una mostra alla National Gallery, si è chiesto se sia ancora il caso di esporre le tele di Paul Gauguin, visto che era un «colonialista pedofilo». Da questo punto di vista, la ritrattistica polinesiana del pittore francese sarebbe soltanto la confessione di una serie di rapporti avvenuti con ragazzine tredicenni e quattordicenni. Allora però che facciamo, rifondiamo l’estetica occidentale in base alla buona condotta?

Secondo questo nuovo e del tutto originale criterio si creerebbero interessanti corto-circuiti. Oscar Wilde ad esempio, in quanto omosessuale godrebbe delle simpatie dei progressisti, ma in quanto amante di un minorenne (Lord Alfred Douglas, per gli amici Bosie) andrebbe messo alla sbarra per direttissima. Che facciamo? Lo rispediamo part-time al carcere di Reading? Gli artisti non sono obbligati ad avere una morale specchiata (né una fedina penale pulita) solo perché producono il bello. Caravaggio non era un assassino? Poe un incestuoso? Disney un filonazista? Carrol pedofilo? Pound e Céline due antisemiti? Burroughs un uxoricida? Pasolini un pederasta? Lascio da parte le droghe perché altrimenti dovrei rimuovere seduta stante tutta l’arte mondiale.

Da tempo il tribunale delle “nuove sensibilità” ha messo alla sbarra anche Woody Allen. La sua opera ha cominciato ad essere letta attraverso i chiaroscuri della sua biografia, così un nerd mingherlino newyorkese con gli occhialetti spessi, le camicie a quadretti, i capelli alla pescatora, col pallino per il jazz, che cita Sartre è diventato tutto a un tratto un misogino.

Il fatto che la principale maschera cinematografica di Woody Allen sia imbranata con le donne è stato visto con sospetto. Come il maniaco che tenta di dissimulare la sua violenza. Una prova di colpevolezza. Invece di vedere la straordinaria bellezza e sfaccettatura e poliedricità dei due di picche che queste donne rifilano a Woody Allen – ne citerò una su tutte da Provaci ancora Sam: «Che fa sabato sera? Occupata, devo suicidarmi» – ci si è voluti concentrare sul rifiutato che mette in scena i suoi insuccessi come una forma di narcisismo aumentato.

Woody Allen, come ogni altro grande artista, sta solo rinunciando alla sua vergogna, per raccontare il più onestamente possibile le sue menzogne di celluloide. La sua proverbiale timidezza è filmata senza vergogna. Tutta l’arte deve resistere a questi attacchi e continuare a essere svergognata.

Omero e Waterhouse

Il problema riguarda l’identità. L’identità di un artista non risiede nella vita ma nell’opera e solo nell’opera. In fondo che ne sappiamo di Omero? Sappiamo che è il fondatore dell’epica classica e questo ci basta. Il suo nome è una serie di fonemi e grafemi del tutto arbitrari. Ma la caccia alle streghe non si ferma, e oltre alla biografia dell’autore la censura si accanisce anche sulle opere che non sono conformi all’aria del tempo, al politicamente corretto.

I curatori della Manchester Art Gallery hanno rimosso il dipinto Ila e le Ninfe del preraffaellita John William Waterhouse perché in odore di “sessismo”. Come far capire che la deviazione dallo standard non è solo un potente elemento narratologico (senza conflitto non c’è storia) ma anche il senso ultimo dell’esperienza artistica?

L’arte si costruisce come ipotesi sulla realtà, come esplorazione di tutti i territori dell’umano. Se ci togliessimo questa possibilità sperimentale ci resterebbero solo triviali exemplum. Soltanto qualche anno fa sarebbe stato impensabile attaccare un romanzo perché il suo protagonista è negativo.

Pensiamo al Macbeth di William Shakespeare bocciato per eccesso di crudeltà. Il personaggio non è buono quindi il l’opera non è bello, non è convincente, e l’autore merita perfino una reprimenda, anzi una gogna pubblica. Ma a differenza di tutti gli altri discorsi esistenti – sociali, politici, economici religiosi – il territorio dell’arte è fatto di domande e non di risposte. La vera amoralità dell’arte sarebbe quella di avere una moralità univoca, rigida, definitiva. Questo rimbambimento generale è nato da un fattaccio di molestie. Ecco, non molestate l’arte. Lasciatela essere libera e svergognata.

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