Le pedane sono una tradizione di famiglia per Filippo Macchi. Nonno Carlo cinquanta anni fa fondò il Circolo Scherma di Navacchio, una frazione di Cascina, e un’azienda che produce oggetti per la scherma dove oggi lavora papà Simone. Travolgente e talentuoso nel fioretto, giocherellone e di una simpatia contagiosa nella vita di tutti i giorni. Il ventitreenne di Pisa non è per nulla appagato dalle due medaglie d’argento che si è messo al collo ai Giochi di Parigi.

Ambizioso senza essere sbruffone, concentrato dopo essersi riposato. «Non mi era mai capitato di fare oltre un mese di vacanza, negli ultimi anni mi concedevo al massimo due settimane. È stato un periodo bellissimo, a parte le notti in cui mi sognavo la finale olimpica…». 

Già, la finale individuale contro Cheung Long (Hong Kong). Un oro sfumato tra polemiche e proteste per errori arbitrali, con oltre 5 milioni di italiani davanti alla tv. Con la sua reazione, composta, nel non voler attribuire colpe agli arbitri, ha dato una lezione di sportività.

È merito dello sport. Mi ha insegnato il valore del rispetto, verso me stesso, verso gli avversari e verso chi giudica. Sono stato inondato di messaggi, mamme che mi hanno scritto: grazie per quello che hai fatto vedere, mio figlio inizia a fare scherma per merito tuo. Vorrei cercare di sfruttare questa minima notorietà per essere un esempio. Perché è importante avere punti di riferimento. Io ne ho avuto uno gigantesco in Daniele Garozzo (oro olimpico nel fioretto a Rio 2016, argento a Tokyo 2020, ndr), da lui ho appreso la dedizione e la passione. Vorrei far capire ai ragazzi come i risultati siano frutto di tanto impegno e sacrificio. E quando non si riesce ad eccellere, si deve battere il chiodo oggi e ribatterlo domani perché le cose poi arrivano. 

Nel post concitato di quella finale lei ha avuto la lucidità di sparire, di non parlare subito. Solo dopo aver sfogato l’amarezza si è ripresentato. Un segno di grande intelligenza da parte di un ex ragazzo fumantino quale è lei…

In quel momento non era corretto che parlassi, magari non sarei stato in grado di controllarmi. Vedevo tutto nero, ero disperato. Mi sono precipitato di corsa negli spogliatoi e sono crollato. Sono scoppiato in lacrime, la mia fidanzata Giulia (la fiorettista Giulia Amore ndr) non mi aveva mai visto piangere in quel modo. Poi però ho cercato di spostare il focus su di me, dopo tre quarti d’ora sono tornato fuori per la premiazione e per le interviste. Anche adesso, a distanza di mesi, non mi sento di attribuire colpe agli arbitri. Gli errori ci sono stati ma ho sbagliato pure io nel farmi rimontare, non sono stato abbastanza cinico.

Per tanti italiani lei un oro l’ha vinto comunque. Quello del fairplay.

Percepisco l’affetto e la stima di tante persone, ne sono lusingato. Ma io devo essere intellettualmente onesto nel dire che non mi sento per niente un oro addosso. Sono giovane, sicuramente in futuro raggiungerò altri obiettivi, però questa bruciatura di Parigi rimarrà per sempre.

Accettare con grazia e sportività un verdetto non va di pari passo con il doverlo digerire mentalmente. L’amarezza non passa?

Il mio profondo rammarico è nel “se”. Se avessi chiuso l’assalto quando ero in vantaggio 14-12 oggi staremmo parlando di Pippo Macchi campione olimpico e non di una medaglia d’argento. Il primo mese e mezzo è stato difficile, ogni notte rivivevo quelle stoccate, spesso mi svegliavo con gli incubi. Adesso, da quando ho riiniziato ad allenarmi è tutto più facile, sono concentrato sui prossimi obiettivi.

Prima l’ho definita ex fumantino. Per tenere a bada la sua indole lei ha sempre voluto lavorare sull’aspetto mentale. 

Conoscere la mente umana mi affascina, capire come reagisce il cervello in determinate situazioni. Ho iniziato un percorso a 16 anni con un neuroscienziato dello sport di Verona. Poi ho capito che non mi bastavano più due sole sedute al mese, ma la distanza geografica era un problema, non potevo saltare gli allenamenti per andare più spesso a Verona. Fortunatamente ho trovato Salvatore Sica che è di Pisa, specializzato in psicologia del lavoro. Sicuramente i temi che affrontiamo sono diversi rispetto alle Olimpiadi. Prima il mio team mi supportava tenendomi in una teca di cristallo, per non farmi scheggiare in vista di Parigi. Adesso invece devo prendere il volo, devo essere io a decidere del mio destino e dei miei errori. Devo semplicemente diventare uomo.

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Non ci si sente del tutto?

Mi ci sento già abbastanza. Ma devo maturare ancora di più.

La popolarità se l’è goduta. Dal paddock di Monza al red carpet di Venezia, dalla TV ai selfie. Non si sarà montato la testa vero?

Ma vaaaa. Se sono arrivato dove sono è grazie alla testa che ho. E se voglio migliorare, in quella parte più immatura di me, non è certo montandomi la testa. Posso magari godermi un po’ più di visibilità, questo sì.

Un regalo e uno sfizio. Cosa si è concesso per i due argenti olimpici?

Come regalo, ho ordinato un orologio. Lo sfizio è il cibo perché mi piace tanto mangiare. Dal momento che durante la settimana sono a dieta ferrea, il pasto libero me lo godo nel weekend. Con Giulia ci piace girare per ristoranti e sperimentare.

Inizia la nuova stagione con la prima tappa di Coppa del Mondo a Tunisi dal 21 novembre.

La ripresa è stata difficile perché proprio durante le Olimpiadi mi ero strappato il tricipite del braccio sinistro. Con le vacanze di mezzo non avevo iniziato una terapia adeguata. Adesso ho recuperato ma le prime gare saranno tappe di passaggio. Da gennaio poi ci metteremo sotto per arrivare pronti ai Mondiali di luglio a Tbilisi. Prima ci saranno gli Europei a giugno qui da noi, a Genova.

Com’è la storia di un pisano che si allena in gran parte a Livorno?

Infatti, io odio andare a Livorno! (ride di gusto). Forse proprio questa rivalità campanilistica mi ha fatto deglutire bocconi amari in carriera! All’Accademia di Livorno insegna il mio maestro Marco Vannini. Quando nonno Carlo si ammalò, prima della sua morte nel 2019, lui decise di aiutarlo, erano grandi amici: per quasi due anni Marco è venuto gratuitamente da Livorno al Circolo Scherma di Navacchio.

Come cambiano gli allenamenti con il maestro Vannini e con il C.t. Cerioni?

È il mio binomio perfetto. Provengono da due scuole schermistiche diverse. Con Cerioni prima dei Giochi abbiamo lavorato, a livello tecnico, sulle provocazioni, sul lavoro di piedi, sull’equilibrio nelle gambe per parare e attaccare senza fermarmi. Il maestro Vannini mi ha fatto evolvere nella manualità, nel gesto espresso con la mano che tiene il fioretto.

Cerioni continuerà a usare il bastone e la carota con lei?

Mi ha spronato più con le brutte che con le buone. Lui è un mito nella scherma, è grande e grosso, incute quasi timore ma in verità è una persona splendida, una delle più belle conosciute negli ultimi anni. Credo che Stefano avesse da sempre la percezione che io sarei arrivato, mi ha dato fiducia da subito, quando probabilmente nessuno avrebbe scommesso su di me. La fame che io ho dentro, e quella che ha lui come C.t., rimane invariata. Anzi, proprio per quello che è successo a Parigi, è pure aumentata.

Il prossimo anno ai suoi impegni aggiungerà anche l’università

Si, avevo iniziato anni fa dando solo un esame in scienze giuridiche. Poi ho preferito concentrarmi sull’avvicinamento olimpico. Adesso mi sento pronto e maturo per fare entrambe le cose, l’agonismo e lo studio. Sto prendendo lezioni private di matematica e di inglese proprio per arrivare preparato, mi iscriverò a Economia e Management in lingua inglese. 

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