- La nuova raccolta di racconti di Francesco Pacifico, Solo storie di sesso, Nottetempo, affronta con codici diversi il tema del desiderio dentro e fuori dalla coppia.
- Un porno, un racconto erotico, un monologo, una storia orale fatta di interviste sul sesso sperimentale durante la pandemia, un manuale di esercizi spirituali per affrontare la gelosia, e infine un saggio filosofico che degenera in caotica avventura sessuale.
- Pacifico ne parla per Domani con Elisa Cuter, filosofa e autrice del saggio Ripartire dal desiderio (minimum fax 2020).
La nuova raccolta di racconti di Francesco Pacifico, Solo storie di sesso, Nottetempo, affronta con codici diversi il tema del desiderio dentro e fuori dalla coppia. Un porno, un racconto erotico, un monologo, una storia orale fatta di interviste sul sesso sperimentale durante la pandemia, un manuale di esercizi spirituali per affrontare la gelosia, e infine un saggio filosofico che degenera in caotica avventura sessuale. Pacifico ne parla per Domani con Elisa Cuter, filosofa e autrice del saggio Ripartire dal desiderio (minimum fax 2020).
Elisa Cuter (Ec): I tuoi personaggi non puntano al sesso come mezzo per qualcos’altro (conferma, potere, eccetera), ma neanche come fine in sé (a cui sacrificare altri rapporti, altre esigenze). Semplicemente il sesso e tutto ciò che lo riguarda è una specie di atmosfera, di tonalità emotiva, un modo di vivere una “buona vita”. Mi sembra che sia quello che succede nella lettura di questo libro: è come entrare in degli spazi, in delle stanze che hanno tutte delle diverse temperature, tipo una “esperienza sensoriale”, di superfici e di leggerezza.
Francesco Pacifico (Fp): In Class già un mio personaggio diceva che il sesso non è un’attività e quindi un tempo ma è una condizione in cui mettersi, e quindi uno spazio. In questo libro parlo di “sesso ambient”. Non è che tutto il sesso debba essere una frase melodica sfilacciata sospesa in una nuvola di suoni, ovviamente, ma la visione del sesso come performance tiratissima che richiede grandi effetti sempre (pena il finire negli aneddoti brutali degli ex amanti…) è troppo punitiva secondo me. Superficie e leggerezza è accarezzare qualcuno per strada. Meno alberghi e “trasgressione” ma più vicoli.
Ec: E la questione dello spazio è anche quella dell’utopia – un tema con cui tra l’altro nessuno si vuole confrontare in fasi di catastrofe imminente. Però in Istruzioni, il monologo su come vivere il momento della relazione, che è uno dei racconti che mi sono piaciuti di più, il problema fondamentale è il tempo. Il tempo ritorna anche negli Esercizi per respirare, in cui si danno delle indicazioni temporali per imparare a elaborare il sesso nel corso della vita di una coppia, e tutto è come un apprendistato, quindi qualcosa che si dipana nel tempo, non si può forzare, non si possono bruciare le tappe. Quindi dopo lo spazio vorrei che mi parlassi del tempo: l’inesorabilità, il progetto, la Storia…
FP: Noi europei tendiamo a imporre dall’alto o a priori un senso morale/narrativo alle esperienze, spesso mortificandole. Anche con il sesso: l’amore, l’amante, la storia, l’avventura… Sono formati, progetti che hanno a che fare con un racconto della vita adulta che è soffocante. Nel racconto Istruzioni, usando peraltro il tono delle lettere di San Paolo, cerco di capire qual è la forma di devozione necessaria a costruire la relazione (intendo la relazione tra persone in genere, qui filtrata dal sesso) a partire dai suoi momenti.
Ec: Quando si tratta di parlare del rapporto tra uomini e donne sei molto consapevole di quello che dici, anche molto cauto, direi: come osserva un tuo personaggio, tra uomini e donne possono esserci gli schwa (come una dimensione a cui si tende, quella in cui non conta poi molto di che corpo si tratti visto che ogni corpo può provare piacere) ma c’è anche un disequilibrio tra due posizioni che è più “mentale”, direi, e creativo. Sarebbe un cliché in cui non crediamo né tu né io dire che la posizione femminile è quella passiva, fatto sta che i personaggi che ti interessano, in cui ti devi immedesimare per parlare, sono quelli che riescono ad assumere una posizione “ricettiva” nel sesso. Sei d’accordo? Voglio dire, trovi che per fare e parlare di sesso la posizione femminile sia più efficace, e sia un lato che devi esplorare come scrittore e “come maschio”?
Fp: Se ci penso, l’ambiguità che volevo nel libro e che sento nel sesso si riflette nella tua domanda. Non considero passiva la posizione delle donne nel mio libro, e infatti i due racconti più porno hanno una narratrice. E in generale per me femminile e maschile sono astrazioni utili solo per giocare ai ruoli. In Storia orale della pandemia c’è un maschio che fa il master Bdsm di strada. Ma non sono io. Negli Esercizi per respirare gioco a fare una voce che amo, quella dei manuali cinesi di esercizi di qi gong, che è tutta una rinuncia al gioco di potere. Forse la mia parte più attiva e penetrante è fatta da queste voci che raccontano l’esperienza sessuale ed erotica come possibilità di vita spirituale. Non sento un’identità precisa. Tu hai scritto Ripartire dal desiderio. Il desiderio da cui sono ripartito io – specie dopo la pandemia – è di uno spazio dove poter mescolare registri e tendenze, dove essere attivo e passivo, spirituale e materialista.
Ec: Su un piano politico si deve puntare all’uguaglianza tra uomini e donne, ma in quello sessuale non necessariamente. In che rapporto stanno sesso e politica? Tramite il sesso si può fare politica? Io in Ripartire dal desiderio un po’ lo sostenevo, ma dicendo che può succedere solo se è una cosa che “accade” come “effetto collaterale” e non se si tenta di politicizzarlo a priori. Anche il tuo “ripartire dal desiderio dell’altro”, come lo hai definito giustissimamente tu, mi sembra che abbia un po’ questa postura, sbaglio? Insisti tanto, ed è una cosa che mi è piaciuta molto, su quanta fiducia serve per rischiare, per fare cose pericolose e quindi divertenti. Forse la politica ci serve per fare del sesso migliore?
Fp: Sì, in effetti se riparto anche dal desiderio dell’altro, per esempio di mia moglie, imparo lentamente a guardare il suo sguardo, a vedere dove altro porta, per smettere di pretendere che porti solo a me. Questo esercizio permanente ci fa superare l’illusione di potenza e di centralità. Questo assetto è naturalmente politico e tocca la visione politica di chi lo adotta: vedere il desiderio di qualcuno che siamo socializzati a considerare nostra proprietà (nel mio caso, mia moglie) dialoga per forza con la maniera in cui possiamo imparare a vedere in modo non strumentale gli altri, e le altre classi, e gli altri popoli.
Ec: Vorrei parlare del finale, che è un’apoteosi e anche il momento più “porno” e fantastico di tutto il libro: un delirio orgiastico, in cui cliché porno e fantasie si sciolgono una nell’altra, tutto si compie rapidamente e ogni momento trascolora nel sogno erotico successivo. La premessa è filosofica: solo la donna deve superare l’obbligo di fedeltà sessuale. Ricordo che mentre lo scrivevi hai ragionato a lungo su chi tra i due della coppia protagonista dovesse proporre questa idea. Sul piano della coppia (a dimostrazione del fatto che la questione è ideologica solo in seconda istanza, perché in primis ne va del rapporto tra i due) è fondamentale che sia lui a “darle l’idea”: non per autorizzarla, ma perché lei possa godere dello stare esaudendo anche i desideri di lui (anche malgrado lui…). Se ci spostiamo invece dal piano del rapporto d’amore a quello della possibile competizione tra donne e uomini, la postfazione è anche una trollata colossale: la donna fittizia che hai immaginato dimostra di essere una penna molto più erotica del narratore. E però, naturalmente, anche lei è una tua creazione, e un personaggio, peraltro, che ti umilia sapendo anche in questo caso di farti un favore, per il tuo masochismo e per le tue doti autoriali. È un gioco autoreferenziale e solipsistico o piuttosto la dimostrazione del fatto che l’io non è uno?
Fp: Secondo me non è solipsistico perché nasce dallo stimolo delle intellettuali che mi circondano. Quella narratrice ha tanto del femminismo materialista di mia moglie, ha tanto della tua scrittura, e in genere di quella modalità conflittuale e sadica che amo delle femministe. Hai ragione, l’io non è uno: imitando la vostra voce trovo un pezzo di me. Anzi la cosa più netta che dico su di me in quel racconto è che – come aveva ipotizzato anni fa Daniele Giglioli illuminandomi – io sono masochista. Non ho i gadget del masochista ma adoro mettermi in una posizione di asfissia sociale e sessuale, e da lì, dal basso, dalla posizione più costretta, controllare il gioco.
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