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La cultura ostetrica più recente sembra promuovere tutte le possibili alternative «naturali» alla tecnica farmacologica più efficace nel controllo del dolore del parto.
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Può stupire che una conquista femminile come quella del parto senza dolore oggi venga spesso percepita dalle donne stesse come «una forma di espropriazione» di un’arte femminile da parte delle moderne tecnologie mediche.
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Sembra che in Italia la cultura del «parto naturale» sia particolarmente forte. Quali sono le ragioni di una così scarsa considerazione della possibilità delle donne di scegliere liberamente a quale tecnica analgesica rivolgersi durante il parto?
La regina Vittoria fu tra le prime donne a partorire sotto anestesia. Dopo sette parti dolorosissimi, nel 1853 scelse di ricorrere alle recenti scoperte del medico John Snow per partorire il suo ottavo figlio. Ne fu così soddisfatta da scegliere di accompagnare col cloroformio anche il nono e ultimo dei suoi parti, quattro anni dopo. Da allora l’anestesia per il parto si è affermata in molti paesi, soprattutto dopo la diffusione delle anestesie periferiche come l’epidurale, inventata da un chirurgo militare spagnolo nel 1921 e usata regolarmente sulle partorienti a partire dagli anni Quaranta.
Gli ultimi eredi al trono britannico sono invece nati senza anestesia farmacologica: Kate Middleton ha infatti rifiutato l’anestesia à la reine e preferito il parto cosiddetto «naturale», lanciando la moda dell’Hypnobirthing, una tecnica di meditazione che si apprende se si ha tempo di dedicarvi qualche minuto almeno tre volte al giorno per gli ultimi quattro mesi di gravidanza (proprio così; chissà perché non è stata ancora collaudata per le trapanature dal dentista). Anche in Italia oggi proliferano corsi di respirazione, canti indiani e digitopressione per ridurre il dolore delle doglie, mentre gli ospedali più avanzati vantano l’offerta di vasche di acqua calda, palle da yoga, musica, digitopressione e olii essenziali nelle sale travaglio, mentre aumentano i parti a domicilio.
L’epidurale negato
La cultura ostetrica più recente sembra insomma promuovere tutte le possibili alternative «naturali» alla tecnica farmacologica più efficace nel controllo del dolore del parto. Può stupire che una conquista femminile come quella del parto senza dolore oggi venga spesso percepita dalle donne stesse come «una forma di espropriazione» di un’arte femminile da parte delle moderne tecnologie mediche. Sembra che in Italia la cultura del «parto naturale» sia particolarmente forte, a giudicare dalla difficoltà con cui l’epidurale è stata introdotta nella sanità pubblica.
All’inizio degli anni 2000, per i parti vaginali, l’anestesia era somministrata ad appena il 5 per cento delle donne e solo a quelle in grado di pagare tra gli 800 e i 2.000 euro. Solo nel 2008 l’epidurale è stata inserita nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e dovrebbe quindi essere disponibile gratuitamente a chi ne faccia richiesta. Non sono però disponibili i dati di quante donne la richiedano senza poi ottenerla. Mentre l’82 per cento delle donne francesi e l’89 per cento delle finlandesi partorisce con l’epidurale, in Italia le percentuali sono ancora molto basse.
A eccezione di qualche clinica d’eccellenza come la Mangiagalli di Milano, dove riesce a ricorrere all’epidurale oltre l’80 per cento delle donne – e dove Chiara Ferragni ha partorito la secondogenita Vittoria con un’osannatissima anestesia –, le percentuali variano dal 35 per cento del Lazio, al 20-25 per cento nel nord e al 10 per cento nel sud (fonte Osservatorio Onda/Siaarti 2018). Una delle cause principali della scarsità del servizio è la carenza di anestesisti, che durante la crisi sanitaria recente ha condotto diversi ospedali alla completa sospensione dell’anestesia epidurale per tutti i parti vaginali, spesso senza nemmeno mettere a disposizione l’alternativa cheap del protossido di azoto, un gas analgesico che può essere assunto autonomamente dalla partoriente senza bisogno della presenza dell’anestesista.
Parto naturale
Quali sono le ragioni di una così scarsa considerazione della possibilità delle donne di scegliere liberamente a quale tecnica analgesica rivolgersi durante il parto?
Forse la condanna biblica a «partorire con dolore» (Gen. 3, 16)? Sembrerebbe di no. Pio XII lo ha affermato con chiarezza in un discorso del 1956: la punizione di Eva non impediva alle madri di «cercare e utilizzare tutte le ricchezze della creazione, per far progredire la cultura passo dopo passo, per rendere la vita in questo mondo più sopportabile e più bella, per alleviare il lavoro e la fatica, il dolore, la malattia e la morte» e quindi di ricorrere a tutti i mezzi che «rendessero il parto più facile e meno doloroso». La carità cristiana si è anzi da sempre occupata delle madri durante il parto «per procurargli assistenza psicologica e fisica efficace, secondo lo stato della scienza e della tecnologia». Per la Chiesa cattolica, il parto senza dolore non contraddice né la morale né le Scritture, che restano vere in senso lato: «La maternità darà alla madre molto da sopportare», avvertiva pur sempre Pio XII.
Se allora non è il cattolicesimo, quale altra potente ideologia giustifica la scarsa considerazione del ricorso all’epidurale in Italia? Il movimento del «parto naturale» ha avuto inizio nell’Europa del dopoguerra, quando si diffuse il parto ospedaliero, in reazione ad alcuni eccessi di intervento sulle puerpere, in particolare all’aumento sproporzionato dell’episiotomia e dei parti cesarei. Diversi ginecologi e ostetrici proposero allora tecniche non farmacologiche che dovevano permettere alla donna di esprimere la propria «capacità riproduttiva» senza ausilî chirurgici o farmacologici. I più celebri sono il francese Ferdinand Lamaze, ideatore di tecniche di respirazione tuttora in voga, e il britannico Grantly Dick-Read, inventore di un proto-hypnobirthing in grado di eliminare i «riflessi condizionati» culturali che aggraverebbero la paura del parto e dunque il dolore.
Nonostante il primo desse voti alle partorienti da «eccellente» a «fallimento totale» (quest’ultimo secondo lui più frequente tra le intellettuali che facevano troppe domande), e nonostante il secondo identificasse la vera emancipazione della donna «nella libertà di realizzare i suoi scopi biologici», ebbero entrambi un immenso seguito in ostetricia e le loro idee e pratiche furono rivendicate dalle stesse donne come una riappropriazione della propria indipendenza e della propria capacità di fronteggiare il dolore. Il culto del parto naturale e della sua sofferenza è stato proposto come pratica di resistenza morale in una società anestetizzata, che tende a sopprimere il dolore e quindi i nobili valori che esso rappresentava nelle società tradizionali.
L’arte ostetricia
Nei corsi e nei manuali pre-parto offerti nel 21esimo secolo, risuona ancora un’ideologia dualista e primitivista ben sintetizzata dagli studi di Barbara Duden, seguace di Ivan Illic e della sua nemesi medica. La storica oppone l’«arte ostetricia» alla «tecnica degli ultrasuoni», fino a incoraggiare il parto a domicilio anziché quello nel «tentacolare sistema di assistenza sanitaria», in un’affermazione di femminismo che ha risvolti molto paradossali. La rivendicazione della «naturalità» del parto e persino della sua «animalità» possono infatti turbare le donne che lottano da oltre un secolo per liberarsi proprio dell’identificazione col «naturale» imposta loro dal patriarcato, per espandere le possibilità femminili oltre l’essere madre biologica, vicina alle tendenze “irrazionali” del corpo, alla natura e ai suoi cicli.
Dispiace non vedere tematizzato questo aspetto nei manuali di Hypnobirthing, in cui si trovano invece insinuazioni non troppo velate contro il valore della medicina ginecologica, sempre incarnata da un establishment medico maschile. Eppure le ginecologhe e le anestesiste sono ormai in maggioranza donne, e il recupero dei cosiddetti metodi «naturali» nei centri più avanzati è consentito proprio dai progressi tecnici della medicina prenatale e perinatale – proprio gli stessi che vengono accusati di essere poco umani, anonimi, freddi e addirittura iatrogeni. La divisione tra parto medicalizzato e parto naturale è insomma più narrata che reale, ma contribuisce a proporre come moralmente decadente la scelta dell’ausilio farmacologico.
Fa riflettere infine che l’epidurale abbia trovato resistenza in particolare in Italia, Germania (dove è al 30 per cento), e in Giappone (il paese industrializzato che ne ha il tasso più basso: appena il 6 per cento). Sono paesi che hanno nella propria storia un forte culto della donna come madre.
Oggi non si distribuiscono più medaglie, ma soffrire i dolori delle doglie sembra ancora contribuire alla celebrazione della «felice eroina» che ha sostenuto lo sforzo necessario per essere una buona madre, dimostrando di avere forza e perseveranza, in una sorta di «mistica femminile» riproposta in nuove forme. Come se il dolore del parto fosse inevitabilmente da accettare e fosse meglio non parlarne, sorvolare. Mentre il diritto di scegliere liberamente tra gli olii essenziali e l’anestesia, di fatto, è sospeso.
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