Sotto la cenere del mainstream brillano artisti di respiro internazionale che sperimentano linguaggi, mescolano ispirazioni, contaminano sonorità. Ecco alcuni nomi per orientarvi in questo variegato paesaggio
Sono voci che arrivano da una dimensione astrale, ma che saldamente si ancorano alla vita di ogni giorno, frammenti di poesia che raccontano una quotidianità senza tempo, avvolgendola in un velo elettronico tra il rumore e la canzone. Succede in “Limbo Session 1”, il primo disco da solista (realizzato insieme al produttore Wang inc.) di NicoNote, cantante, performer e “agitatrice”, con le sue notti interminabili quando era la direttrice artistica del Morphine, il “luogo segreto” all’interno del Cocoricò dove Manlio Sgalambro veniva a declamare le sue note filosofiche e Franco Battiato si nascondeva tra il pubblico.
Un vinile prezioso, curato da una realtà piccola ma di respiro globale, Rizosfera, che da Reggio Emilia ha aperto un ponte con l’inglese Rough Trade, acquisendo la distribuzione esclusiva del loro catalogo.
Un significativo tassello, quello assemblato da NicoNote, di un “fare musica”, che la di là delle differenze anagrafiche, gioca con disinvoltura con il senso stesso dei confini, irrispettoso dei canoni sonori di una via italiana al pop e, forse proprio per questo, sempre più protagonista di una dimensione internazionale.
Esplorare Londra
Ed è sempre Londra la città da esplorare, per scoprire cosa succede in uno studio di registrazione la cui “stratificazione culturale” è fortemente ispirata dal Black Ark, la leggendaria sala dove Lee “Scratch” Perry faceva fluttuare i suoni su una mappa salgariana che attraversava l’Equatore.
È lo spazio dove Gaudi, un passato nella primissima scena del reggae hip hop italiano, riceve i suoi ospiti, personaggi come lo stesso Perry, ribelli della techno come gli Orb, star del reggae come gli Steel Pulse, per farli ondeggiare in un universo fatto di echi e riverberi che mescolano la sua Bologna con le strade polverose di Kingston, Giamaica.
Dal suo studio escono, ininterrotti, tantissimi lavori, molti a suo nome, su tutti “Mad Professor Meets Gaudi”, che dilatano e dimenticano il senso del territorio, come nell’album che ha prodotto per gli Steel Pulse, “Mass Manipulation” (in arrivo il disco con le dub version) con il quale è stato candidato a un Grammy Award.
Difficile cercare una catalogazione in termini di italianità nei suoi lavori, certo più definibile, invece, nell’album in uscita in autunno nel quale Mauro Durante incontra Justin Adams. Un incrocio di suggestioni culturali che gravitano intorno alle radici: da un lato quelle salentine di Durante, violinista, virtuoso del tamburello, cantante nel Canzoniere Grecanico Salentino, il gruppo al centro di quel fenomeno definito rinascimento della pizzica, che ha portato in superficie le memorie nascoste di quella che Ernesto de Martino chiamava “La Terra del Rimorso”.
Dall’altro uno dei più originali chitarristi contemporanei, che ha subito la fascinazione dell’Africa, in particolare della musica sahariana, come quella dei Tinariwen, gruppo maliano del quale ha prodotto il primo e il terzo album. Insieme hanno registrato “Still Moving”. Dice tutto il titolo: un viaggio ambientato tra muretti a secco, dove si cela il terribile ragno, e il Delta del Mississippi, tra blues carnale e devozione al Santo che può “liberarci dalle malattie”. Un vortice sonoro senza coordinate al quale bisogna offrirsi, dimenticando la mediazione della mente.
Un’immersione, quindi, come quella che chiede Gigi Masin, “maestro” veneto dell’ambient più sofisticata, dei tappeti sonori che, secondo le teorie del compositore inglese Brian Eno, diventano natura, si fondono con le sue espressioni, sino a scomparire, a farsi sfondo, scenario, tappezzeria. Le sue opere, la più recente è “Calypso”, sono molto amate all’estero, dove Masin propone le sue lunghe suite dal forte sapore cinematografico.
Molteplicità di linguaggi
C’è poi la molteplicità dei linguaggi, quell’astrazione dalla necessità della definizione, un continuo irregolare muoversi tra ascendenze basse e cultura alta, tra “popolare” e “accademia”, che genera una produzione dove partiture orchestrali diventano canzone, riff jazz diventano poemetti elettronici. Un mondo dove tutto può succedere. Come in “Magica Musica” di Venerus, psichedelia moderna che potrebbe essere una deriva urbana della scuola progressive di Canterbury, ma ossessionata dalla svolta hip hop.
O nei brani di Joan Thiele, come “Memoria del futuro” e “Disordinato spazio”, dove la cantautrice metà italiana metà svizzero-colombiana dimostra di conoscere molto bene i cataloghi delle “sound libraries”, specie quelle che contengono le musiche di compositori come Piero Piccioni e Piero Umiliani.
Ama particolarmente il loro senso dello spazio, la capacità di astrazione, di costruzione di immaginari fantastici in cui fa muovere i suoi personaggi, dei quali finisci irrimediabilmente per innamorarti. Sfuocati viaggi siderali, tra “Astral Weeks” di Van Morrison, con tutto il suo retaggio lisergico, e l’esercizio di ricostruzione delle origini del rap filologico di dj Shadow.
C’è LNDFK, napoletana di origini tunisine, stesso ampio ambiente di riferimento di Joan Thiele, con in più, l’uso continuo, nella produzione, di suoni concreti, che piacerebbero molto al Brian Eno delle musiche tappezzeria, e c’è Ze in the Clouds, che trasforma i fraseggi pianistici jazz in una occasione per esplorare le costellazioni, trovandosi a ripercorre sentieri tracciati dai grandi maestri del jazz cosmico come Sun Ra.
Lui, con Venerus, Joan Thiele, e LNDFK sono tra i talenti che si esibiranno dal 2 al 5 settembre a Jazz:Re:Found. Un festival che è diventato anche la casa di Khalab, nome scelto dal dj e produttore romano Raffaele Costantino per le sue esperienze di nomadismo sonoro che lo hanno portato, nel corso degli anni, a esplorare geografie distanti, apparentemente inconciliabili con la nozione di pop.
È il caso del suo ultimo, straordinario lavoro, “M’Berra”, nato dall’incontro con un gruppo di musicisti maliani che vivono nel campo profughi della Mauritania. Un “field recording”, proiettato nel futuro, grazie alla seducente iterazione elettronica, che è stato pubblicato dalla prestigiosa Real World, l’etichetta creata da Peter Gabriel nel 1989.
La metropoli incontra il deserto
Descrizioni di ambienti, ma solcate da un esasperato pulsare tecnologico sono quelle che segnano le opere della dj e produttrice romana Simona Faraone. Protagonista della primissima ondata della scena techno cittadina, quella che espandeva i confini della pista da ballo, mescolando club e cultura del rave, ha assemblato, con la sua etichetta New interplanetary Melodies, nell’ultimo anno, un piccolo, prezioso catalogo di “colonne sonore immaginarie”, che hanno come centro assoluto i panorami urbani.
E se, come sosteneva negli anni Ottanta la critica più originale, quella di una rivista culto come Musica 80, la creatività perfetta nasce in quel punto sfuocato della mappa dove la metropoli incontra il deserto, un lavoro da ascoltare è quello di Okè, Andrea Visani (ricordate Deda dei Sangue Misto?), che ha pubblicato un disco su vinile. Si chiama appunto “Deserto”, dove le voragini cosmiche del jazz da pianeti perduti incontrano la deep house e si inoltrano poi tra gli scaffali della “Library Music”, orgoglio della creatività sonora italiana con l’incredibile produzione, tra gli anni Sessanta e Settanta, di musica di genere per la pubblicità e le colonne sonore dei B movies.
Un altro frammento di una movimentata, caotica, realtà, che per flussi irregolari, senza alcuna forma di comunicazione, di consapevolezza collettiva, solca il paese, trovando poi la via per attraversare i nostri confini. Specie nel linguaggio elettronico, i nomi sono davvero tantissimi, con una forte, orgogliosa, presenza femminile.
Pensiamo a Caterina Barbieri, bolognese che da molti anni vive a Berlino, dove ha sviluppato importanti ricerche sull’elettro acustica e sulla percezione del suono come elemento fondante di uno spazio. I suoi lavori sono spesso sostenuti da blasonate istituzioni culturali internazionali, come il Royal College of Music di Stoccolma, che ha prodotto il suo primo disco. Il più recente, “Virgo Rebellion”, esplora le possibilità visionarie che l’Intelligenza artificiale offre alla scrittura delle partiture.
Altra figura femminile che utilizza la cultura digitale per costruire cartoline sonore che seducono, affidandosi al fascino delle macchine, è Ginevra Nervi, genovese, già un’importante carriera come autrice di colonne sonore, fresca di una nomination ai David Di Donatello per il brano “Miles Away”, scritto per il film Non odiare. I suoi dischi, in particolare il più recente, “Klastòs”, raccontano quanto sia affascinante perdersi nell’esplorazione dei nostri stati d’animo, entrando nei sentieri nascosti della psiche.
Un’opera che affida alla musica il senso di un’introspezione terapeutica, liberatoria persino, che suggerisce un utilizzo del suono che mixa l’ascolto con un percorso interiore. Musica come terapia. Musica della transizione, del passaggio. Instabile, proprio come la nuova musica “italiana”.
Dal 2 al 5 settembre torna Jazz:Re:Found a Cella Monte, nel cuore del Monferrato. Nel ricco programma di concerti e dj set, si inseriscono anche dei talk sulla music industry e sulla sostenibilità nella filiera musicale per analizzare lo stato dell’arte del comparto e i suoi possibili sviluppi. Domani è media partner dell’iniziativa. Per info e biglietti: https://jazzrefound.it/
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