L’obiettivo principale dell’osservatorio Juno sarà quello di aiutare i ricercatori a determinare quale tipo di neutrino ha la massa più alta e quale quella meno, uno dei più grandi misteri della fisica
Kaiping, Cina, settecento metri sotto il verde paesaggio ondulato della regione (si trova nel sud est del paese), un gruppo di lavoratori edili sta portando a termine un rilevatore a forma di sfera di 35 metri di diametro: lo scopo di quello strano “arnese” è quello di osservare le particelle subatomiche conosciute come “neutrini”, nel migliore dei modi possibili.
«Se tutto andrà secondo i piani, l’Osservatorio sotterraneo dei neutrini Jiangmen (Juno), da 376 milioni di dollari, sarà pronto per iniziare il suo lavoro entro la fine di quest’anno», lo dice alla rivista Nature il manager di Juno, Yuekun Heng, un fisico dell’Istituto di alta qualità dell’Accademia cinese delle scienze di Pechino.
Ciò lo renderà il primo di numerosi ambiziosi nuovi rilevatori di neutrini attualmente in costruzione in tutto il mondo ad entrare in attività. Altri due, in Giappone e negli Stati Uniti, inizieranno a raccogliere dati nel 2027 e nel 2031.
L’obiettivo principale di Juno sarà quello di aiutare i ricercatori a determinare quale tipo di neutrino ha la massa più alta e quale quella meno, uno dei più grandi misteri della fisica. Risolvere questo problema potrebbe aiutare i fisici a capire cosa sono realmente i neutrini e perché la loro massa è così piccola.
L’osservatorio
I ricercatori di Juno vogliono raggiungere l’obiettivo misurando i neutrini provenienti da due centrali nucleari situate a più di 50 chilometri di distanza dall’osservatorio. Un altro obiettivo è studiare i neutrini provenienti da altre fonti, tra cui il Sole, l’atmosfera, le stelle in esplosione e i processi naturali di decadimento radioattivo all’interno della Terra.
Lo scorso 7 marzo, i ricercatori dell’osservatorio hanno iniziato a riempire una versione in miniatura del rilevatore con uno “scintillatore liquido”, un cocktail di solventi e sostanze chimiche organiche che emette luce quando i neutrini che lo attraversano colpiscono alcune molecole. Questo modello verificherà se lo scintillatore è abbastanza puro per l’obiettivo preposto.
L’approccio di Juno lo distingue dagli altri rilevatori in costruzione proprio per il tipo di materiale usato per rilevare i neutrini. «Il rilevatore Hyper-Kamiokande progettato in Giappone infatti, utilizzerà acqua purificata, mentre il Deep Underground Neutrino Experiment negli Stati Uniti si baserà sull’argon liquido», dice Mary Bishai, fisica del Brookhaven National Laboratory di New York.
Entrambi questi futuri rilevatori misureranno i neutrini irradiati dai vicini acceleratori di particelle piuttosto che da reattori nucleari come fa Juno.
Ma è una buona cosa avere una simile varietà di rilevatori? Non si creano confusione o incertezze nel confrontare i dati? «Come i telescopi che osservano il cosmo a diverse lunghezze d’onda, disporre di diversi rilevatori di neutrini che utilizzano tecniche diversificate provenienti da varie fonti, come il Sole e le centrali nucleari, consentirà ai ricercatori di sviluppare una migliore comprensione delle caratteristiche di tali particelle nell’Universo», spiega Bishai.
Il team cinese, dunque, sta riempiendo la versione in miniatura di Juno, chiamata Osiris, per testare la radiopurezza del fluido prima che venga pompato direttamente nel rilevatore principale accanto.
È importante compiere questo passo nel modo giusto, perché non si potrà tornare indietro una volta che Juno sarà riempito con 20mila tonnellate di liquido. «Deve essere puro fin dall’inizio», dice Alberto Garfagnini, fisico dell’Università di Padova, membro del team Juno.
Osservare un neutrino sembra essere facile, dato che si tratta delle particelle più abbondanti dotate di massa nell’universo, al punto che miliardi di esse attraversano ogni centimetro cubo della Terra ogni secondo e così anche ciascuno di noi.
Ma le loro proprietà rimangono per lo più un mistero, perché la maggior parte di essi interagisce a malapena con la materia, rendendo difficile rilevarli direttamente.
«Ma i neutrini potrebbero contenere indizi su come si è evoluto l’universo – dice Garfagnini a Nature – e dunque sono un ingrediente importante nella cosmologia».
Da un sapore all’altro
Ad oggi i fisici sanno che esistono tre tipi di neutrini: elettrone, muone e tau (ciascuno prende il nome dalle particelle fondamentali con cui sono prodotti).
Più di vent’anni fa, l’esperimento Super-Kamiokande a Hida, in Giappone, e il Sudbury Neutrino Observatory in Canada scoprirono che i neutrini si trasformano da un “sapore” all’altro (da un tipo all’altro) mentre viaggiano, cosa che i fisici potrebbero spiegare solo se le particelle possiedono massa.
E nel 2012, il Daya Bay Reactor Neutrino Experiment fuori Shenzhen, in Cina, ha misurato con precisione uno dei parametri che descrivono la velocità con cui i neutrini passano da un sapore all’altro. Ma non hanno ancora capito qual è il più pesante.
«La risposta a questo problema di ordinamento delle masse è rimasta sfuggente, perché richiede rilevatori più grandi e più sensibili che siano abbastanza vicini ad una sorgente di neutrini ben compresa», dice Bishai. «Devi essere nel punto giusto per ottenere l’effetto che stai cercando».
A cosa serve
Juno si trova sotto una collina di granito, che fungerà da scudo contro i raggi cosmici, particelle sovralimentate provenienti dallo spazio che possono soffocare i deboli segnali dei neutrini.
Ogni giorno, ricercatori e operai edili in tute fluorescenti compiono un tragitto di 15 minuti in funivia lungo un ripido tunnel di 1,3 chilometri per continuare a costruire il rilevatore all’interno di una sala incontaminata e a temperatura controllata.
La sfera acrilica, che è completa per circa due terzi, sarà presto immersa in 35mila tonnellate di acqua ad elevata purezza, che proteggerà ulteriormente il rilevatore dalle radiazioni di fondo. Una volta che lo scintillatore liquido avrà superato il test di radiopurezza, verrà incanalato nel rivelatore principale.
L’intero processo richiederà sei mesi, dice Heng. «Salvaguardare la sensibilità di Juno non è stata un’impresa facile», spiegano gli scienziati su Nature. Quando la costruzione è iniziata nel 2015, il team sperava di terminare i lavori in tre anni. Ma la rimozione degli enormi volumi di acque sotterranee ha comportato ritardi.
«L’acqua era un grosso problema», dice Heng. Per risolverlo, il team ha installato un sistema che pompa ogni ora 500 metri cubi di acqua al fuori dei tunnel sotterranei. Per controllare i livelli di radon – un gas radioattivo prodotto naturalmente dal granito e da altre rocce che potrebbe dare problemi con gli esperimenti – la struttura cavernosa è costellata di grossi ventilatori.
I neutrini non possono essere rilevati direttamente, quindi per determinare la loro massa, i fisici misurano l’energia di altre particelle prodotte nella rara occasione in cui un neutrino interagisce con la materia.
Nel caso di Juno, quando un antineutrino elettronico (che viene prodotto dalle centrali atomiche, ma ha massa simile al neutrino) incontra un protone nello scintillatore liquido, l’interazione produrrà un positrone e un neutrone, un processo chiamato “decadimento beta inverso”.
L’energia del positrone provoca un lampo di luce, mentre il neutrone produce un altro lampo quando viene catturato da un protone. Questi lampi rivelatori, distanti 200 microsecondi, saranno misurati da oltre 40mila tubi fotomoltiplicatori a forma di bolla che copriranno la sfera. «La differenza temporale tra questi lampi aiuterà i ricercatori a separare i neutrini dai fastidiosi segnali di fondo», spiega Garfagnini. «È una firma chiara», afferma.
I ricercatori sperano di rilevare 100mila neutrini nei prossimi sei anni e grazie a loro, conosceremo certamente meglio la struttura del nostro universo.
L’oggetto più luminoso
Un recente studio pubblicato su Nature Astronomy descrive l’oggetto più luminoso mai osservato dagli astronomi. Si tratta di un buco nero con una massa di 17 miliardi di quella del nostro Sole. L’oggetto in questione era noto da diversi decenni, ma poiché era molto luminoso, gli astronomi avevano ipotizzato che dovesse trattarsi di una stella a noi vicina. Solo recenti osservazioni hanno rivelato la sua estrema distanza e luminosità.
Chiamato J0529-4351 (una sigla che si riferisce semplicemente alle sue coordinate sulla sfera celeste), oggi sappiamo che è un tipo di oggetto chiamato quasar.
Questi oggetti iniziarono ad essere capiti quando, nel 1963, la luce visibile proveniente da un quasar, chiamato “3C 273” fu divisa in tutte le sue lunghezze d’onda, in altre parole nel suo “spettro”. Ciò permise di capire che si trovava a quasi 2 miliardi di anni luce di distanza.
Considerato quanto lontano è quel corpo, divenne chiaro che deve essere estremamente luminoso, un termine che in astronomia si riferisce alla quantità di luce emessa da un oggetto in un’unità di tempo. L’unica fonte di energia conosciuta per dare origine ad una luminosità così estrema era la caduta di materiale in un buco nero supermassiccio.
I quasar sono quindi i buchi neri che crescono più attivamente di ogni altra cosa nell’Universo. I buchi neri supermassicci si trovano spesso al centro delle galassie. Come tutti i quasar, anche J0529-4351 è alimentato da materiale che cade nel suo buco nero dalla galassia circostante, principalmente idrogeno surriscaldato ed elio gassoso.
Ogni giorno, in quel buco nero cade circa una volta la massa del Sole. Come tanto gas possa essere incanalato nel centro di una galassia è un fatto che attende ancora una spiegazione. In ogni caso una volta arrivato in prossimità del centro della galassia, il gas assume la forma di un disco sottile.
Le proprietà di viscosità (resistenza al flusso di materia nello spazio) e di attrito nel disco aiutano a riscaldare il gas fino a decine di migliaia di gradi Celsius. Questo è abbastanza caldo da brillare se osservato alle lunghezze d’onda della luce ultravioletta e visibile. È quel bagliore che possiamo osservare dalla Terra.
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