Ferragosto, culmine delle vacanze estive e vacanza per eccellenza, è una festa italiana rilanciata dal fascismo, raccontata negli ultimi decenni da scrittori e al cinema quasi come un Natale d’estate. Ma le sue origini affondano nella religione romana
Ferragosto, culmine delle vacanze estive e vacanza per eccellenza, è una festa italiana, raccontata negli ultimi decenni da scrittori e al cinema quasi come un Natale d’estate. Ma le sue origini affondano nell’antica religione romana.
Secoli più tardi la ricorrenza viene fatta coincidere e coesistere con una celebrazione cristiana importante: in oriente ricorda la «dormizione» della Madre di Dio e in occidente diventa la solennità di Maria «assunta» in cielo «in anima e corpo», oggetto nel 1950 dell’ultimo dogma proclamato da un papa.
La festa originaria contrassegnava il periodo dopo la fine dei lavori agricoli ed era celebrata all’inizio del mese sextilis, cioè il sesto da marzo, quando secondo il calendario tradizionale romano cominciava l’anno.
Con una legge dell’8 avanti Cristo, ma forse alcuni anni prima, il nome del mese venne cambiato in onore dell’imperatore Augusto, e i giorni della sospensione dalle fatiche nei campi divennero così le feriae Augusti, da cui deriva la denominazione di Ferragosto.
Con il primo giorno del mese iniziava dunque un tempo di riposo, che tra il 13 e il 21 s’incrociava con antichissime feste in onore delle divinità protettrici dei raccolti e delle coltivazioni, come Conso e Diana. Con il passare dei secoli si diffuse la consuetudine da parte dei proprietari terrieri di offrire a metà agosto un pranzo ai contadini, e nelle diverse regioni si radicarono usanze gastronomiche tuttora mantenute. Fu poi il fascismo a facilitare tra il 13 e il 15 gite di uno o tre giorni grazie a biglietti ferroviari scontatissimi, modernizzando ed estendendo a larghe fasce della società, che ignoravano le vacanze, le antiche «ferie di Augusto».
A un altro imperatore, il bizantino Maurizio, si fa invece risalire verso la fine del VI secolo la fissazione alla data del 15 agosto della festa cristiana. Forse legata alla dedicazione di una chiesa a Gerusalemme, la celebrazione della Dormizione della Madre di Dio passò in occidente alcuni decenni più tardi – al tempo di papa Teodoro I, originario di Gerusalemme – e con il tempo prese il nome di Transito o Assunzione della Vergine.
Celebrata come festa ancora prima della fissazione alla data del 15 agosto, la credenza nella «dormizione» di Maria – che si addormenta per risvegliarsi con il corpo in cielo – inizia a diffondersi probabilmente già nel III secolo ed è poi raccontata da decine di testi (e centinaia di manoscritti) in greco, latino, siriaco, copto, etiopico, arabo, armeno, antico irlandese, georgiano, slavo. Il termine greco (kòimesis, in latino dormitio) indica l’assopimento o il riposo del sonno, e si ritrova nel vangelo secondo Giovanni, quando Gesù resuscita Lazzaro. La stessa idea viene resa dal latino transitus, che dà il titolo a diverse narrazioni della morte di Maria, tutte apocrife.
Nella Bibbia infatti non vi è cenno al destino della madre di Gesù, che nel vangelo di Giovanni assiste al supplizio del figlio ai piedi della croce. Un altro libro del Nuovo Testamento, gli Atti degli apostoli, la descrive riunita in preghiera insieme agli apostoli, alle donne e ai «fratelli» di Gesù dopo l’ascensione di Cristo in cielo. Poi più nulla. Del resto – se si eccettuano i primi due capitoli del vangelo di Luca – nei vangeli Maria resta sullo sfondo e quasi non parla.
Maria nei testi biblici
Compensano il silenzio dei testi biblici canonici, già dal II secolo, le interpretazioni teologiche dei più antichi autori cristiani (Ignazio di Antiochia, Giustino, Ireneo) e quindi l’infittirsi di vangeli e scritti apocrifi: sulle origini e l’infanzia di Maria, da una parte; e dall’altra, i testi sulla sua morte e sul suo destino straordinario.
Raccontano questi apocrifi che, dopo l’ascensione di Gesù, sua madre riceve a Gerusalemme da un angelo una palma – o un libro, secondo la tradizione etiopica – e l’annuncio della propria morte. Circondata da Giovanni e dagli apostoli Maria muore ed è Cristo stesso ad accogliere la sua anima. I giudei tentano invano di bruciare il corpo della Vergine, ma questo, posto in una tomba, dopo tre giorni viene miracolosamente portato in paradiso per ricongiungersi con la sua anima.
La credenza, molto antica, si diffonde enormemente. Nel calendario bizantino la Dormizione è una delle «dodici grandi feste»: preceduta da un rigoroso digiuno di quattordici giorni, è l’ultima dell’anno liturgico – che nel rito bizantino si conclude con la fine di agosto – e un’altra celebrazione della Madre di Dio, la festa della sua Natività che ricorre l’8 settembre, è la prima del nuovo anno.
Una giornata di preghiera di ringraziamento per il creato e per la sua salvaguardia segna il 1° settembre il capodanno bizantino. Segno dei tempi, la decisione – presa nel 1989 da Demetrio, patriarca di Costantinopoli, e confermata dal suo attuale successore Bartolomeo – è stata dal 2015 estesa alla chiesa cattolica per volere di papa Francesco.
«Nella tua maternità hai conservato la verginità, nel momento della tua dormizione non hai abbandonato il mondo, Madre di Dio, sei passata alla vita; tu che sei la madre della vita, salva le nostre anime dalla morte con le tue preghiere» cantano i fedeli bizantini. «La tomba e la morte sono stati incapaci di afferrare la Madre di Dio» perché «lei è stata trasferita alla vita da colui che è stato nel suo seno verginale» sottolinea un altro testo. Gli inni liturgici esprimono dunque il contenuto della festa raccontato dagli apocrifi: Maria – creatura eccezionale in quanto madre di Cristo – muore come ogni essere umano ma è preservata dalla corruzione del sepolcro.
Paralleli sono gli sviluppi dottrinali. Nel 431 a Efeso, dove sono radicate tradizioni sulla Vergine e sull’apostolo Giovanni, il terzo concilio ecumenico – grazie all’intelligente e spregiudicato patriarca alessandrino Cirillo, che ha il sopravvento sul collega costantinopolitano Nestorio – consacra definitivamente per Maria il titolo di theotòkos («madre di Dio»), caro ai fedeli almeno dal III secolo, come documenta un papiro.
Molto importante nel cristianesimo sia orientale che occidentale, la festa viene raccontata anche da una rigogliosa e abbondante iconografia. Nelle icone orientali Cristo accoglie l’anima di Maria raffigurata come una bimba in fasce; in occidente, l’affresco di Filippo Lippi, nel duomo di Spoleto dedicato all’Assunta, rappresenta nell’abside – sotto quello dell’incoronazione della Vergine in cielo – la sua dormizione; e più tardi innumerevoli dipinti esaltano l’Assunzione.
Ma in età moderna il culto mariano alimenta aspre controversie tra protestanti e cattolici. Lo scontro viene acuito da due dogmi: nel 1854 l’«immacolata concezione», che definisce Maria esente dal peccato originale, poi nel 1950 l’Assunzione. Entrambe radicate in credenze antiche e condivise dai cristiani d’oriente, le solenni dichiarazioni sono precedute da richieste e consultazioni dell’episcopato mondiale, ma autorevoli prelati e teologi cattolici vi si oppongono.
Questi ritengono infatti, non a torto, che la proclamazione papale del 1950 – la prima a godere dell’infallibilità decretata nel 1870 dal concilio Vaticano – non sia necessaria e renda più difficile il rapporto con le altre confessioni cristiane. Il rinnovamento del Vaticano II e la nuova impostazione della teologia mariana promossa da Paolo VI con il documento Marialis cultus del 1974 smussano le difficoltà e sulla Madonna non vi sono più le controversie di un tempo.
Il dogma
La definizione dell’Assunzione viene proclamata da Pio XII in una delle ultime celebrazioni dell’anno santo, definito dopo la seconda guerra mondiale quello del «grande ritorno».
È il 1° novembre 1950 e il pontefice celebra in una piazza San Pietro stracolma di fedeli, e con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus dichiara come «dogma rivelato» che «l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».
Carl Gustav Jung considera la decisione di papa Pacelli l’avvenimento dogmatico più importante dai tempi della riforma protestante perché l’Assunzione rappresenta un ritorno della materia verso lo spirito e nello stesso tempo un forte riconoscimento della femminilità.
Insomma, secondo Jung, il dogma cattolico segna un superamento dello stadio patriarcale con «l’annuncio di una reintegrazione del principio femminile, dunque di una restaurazione della totalità divina nella coscienza umana» ha riassunto Christiane Maillard. Che sintetizza così il significato profondo dell’affascinante festa di mezza estate.
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