Con il suo ultimo saggio La passione secondo Maria (Il Mulino, 2024) il filosofo Massimo Cacciari mostra come l’arte abbia saputo cogliere quello che la politica non ha mai saputo elaborare. «Come ha potuto la cristianità non fondarsi su una figura di questo genere? Com’è possibile che la cultura europea abbia assunto tratti tanto maschilisti?»
Domando a Massimo Cacciari l’indomandabile, il filosofo risponde con parole che vanno lette con attenzione e meditate. Mentre l’umanità si confronta con problemi cruciali, Cacciari ci restituisce la fondamentale irrinunciabilità della dimensione filosofica per comprendere le vicende umane accendendo la luce sul ruolo dei sentimenti nella nostra società: che abbiano la forza di penetrare il potere o la fragilità di consentire la penetrazione del potere a costo di uno smarrimento di valori e ragioni. Con il suo ultimo saggio La passione secondo Maria (Il Mulino, 2024) Massimo Cacciari mostra come l’arte abbia saputo cogliere quello che la politica non ha mai saputo elaborare. L’arte, infatti, attraverso la figura misericordiosa della Madonna, è capace di restituirci una percezione profonda del femminile, inteso come insieme di valori che dovrebbero essere incarnati dalla società e dal potere. Davanti alle guerre, alle derive securitarie, al populismo penale, la soluzione è una soltanto: tendere l’orecchio al grido inascoltato di Maria.
Con il suo ultimo saggio lei offre un’immagine di Maria come di una donna del tutto umana, che partorisce e lo fa gridando.
Anche se non c’è nessuna figura di Maria che partorisce nelle natività, tanta teologia interpreta il grido di Maria ai piedi della croce come un grido del parto: è come se in quel momento Maria rigenerasse il figlio. Questa Maria che partecipa in pieno alla passione non trova riscontro nella tradizione evangelica, ma è una creazione della nostra pittura. È una donna reale, simbolo di libertà e di misericordia. Non ha niente a che fare con il simboletto della madre terra, è protagonista, non si limita semplicemente a generare, ma è creatrice di un nuovo ordine. Non è solo madre, è salvezza.
Mentre lei pubblica un saggio che mette in luce il grido della Madonna, il regime talebano in Afghanistan promulga un nuovo decreto che spegne la voce alle donne afghane: non possono più parlare, né cantare, né recitare poesie. Non possono neanche più pregare.
Anche nella nostra cultura non è stato ascoltato quel grido e questo è un assoluto paradosso. Com’è possibile che la cultura europea – che nella sua arte ha saputo creare questo simbolo straordinario di donna che liberamente dice sì, che è tutto fuorché serva obbediente e silenziosa, che accoglie e fa suo il proprio destino – abbia assunto tratti tanto maschilisti? Come ha potuto la cristianità non fondarsi su una figura di questo genere? Una figura che non esiste affatto né nel giudaismo né nell’Islam. La Maria di cui parlo è presente nelle icone della pittura europea occidentale, ma, nonostante questo, non è mai stata al centro del mondo europeo e cristiano.
Quale danno ha prodotto la rimozione di questa Maria?
Il fatto che, nonostante questa figura della donna simbolo di amore gratuito, di perfetta misericordia, noi oggi viviamo in una società lontana mille miglia da ogni idea di dono e di perdono. Viviamo in un mondo che ha dimenticato completamente la compassione, il con-soffrire. Tutto è dominato da passioni fredde: invidia, risentimento, gelosia.
E violenza.
E violenza.
Lei scrive che «alla fine della ricerca di noi stessi, del nostro volto vero, è l’Altro che si manifesta. L’Altro è il nostro stesso fondo». È importante – davanti a un mondo in guerra, che esaspera il concetto di “identità” – ricordarci l’importanza dell’incontro con l’Altro?
Oggi molti si chiudono nella propria caverna egoica… Non è che così evitino il rapporto con l’altro, ma sarà sempre un rapporto di esclusione e quindi di guerra. Se la ricerca del sé – che è essenziale per ognuno di noi, perché ognuno di noi deve cercare sé stesso – diventa un richiudersi in sé, allora con l’altro avrai soltanto un rapporto di inimicizia. Se invece la ricerca di sé si svolge come ricerca dei propri diversi nomi, comprensione della propria stessa intrinseca molteplicità, allora, cercando di accordare i molti io che sono, implicitamente cercherò anche di accordarmi con i molti che sono fuori di me. Se mi rinserro nel vano tentativo di definirmi come una pura, assoluta identità, non potrò avere con tutti gli altri nomi possibili e immaginabili che un rapporto di ostilità.
Da un lato ci sono le migrazioni e migliaia di morti senza nome, dall’altro c’è questa difesa esacerbata dell’identità.
Talvolta le culture tendono a identificarsi in modo stabile, a rifiutare ogni forma di meticciamento. La situazione culturale e politica che viviamo non ha niente a che fare con l’attenzione e la cura che Maria ha per l’Altro sofferente, ma ne è agli antipodi. Le diverse culture tendono a identificarsi inospitalmente, ognuna cercando di affermare la propria egemonia, ciascuna rappresenta sé stessa come l’unico Bene e attribuisce alle altre culture valori soltanto negativi, se non addirittura il Male. Allora diviene inevitabile barricarsi all’interno di sé stessi, innalzare confini e muraglie. Fatiche vane e quanto mai come oggi pericolose, foriere di catastrofi e guerre.
L’ossessione securitaria e il populismo penale sono figli di questo stesso fenomeno?
Sono espressione di tutto questo. Ma ripeto: sono chiusure vanissime, perché i movimenti globali, i processi che avvengono nel mondo della tecnica, della cultura, della scienza, indurranno inevitabilmente fenomeni di trasmigrazione, di meticciamento. Se, però, non li affrontiamo con coscienza, con consapevolezza, e ci limitiamo soltanto a subirli, questi processi avverranno nel modo più tragico: il nuovo ordine mondiale si produrrà attraverso la guerra.
Che sia un problema di cultura lo dimostra anche il fatto che le derive securitarie sono destinate al recupero del consenso di territori ideologici o di instabilità sociale.
Certo, c’è anche tutta una strumentalizzazione di questa situazione che riguarda l’uso politico di questa insecuritas che viene alimentata apposta, proprio al fine di conservare o affermare posizioni di potere. Occorre comprendere il pericolo, perché laddove si comprende il pericolo forse può crescere anche la possibilità di salvezza.
A proposito di giustizialismo e securitarismo, apro una parentesi: la maternità surrogata è ora “reato universale”. L’Italia è, in generale, più restrittiva di molti paesi sul tema della genitorialità non biologica. I tradizionalisti invocano il cristianesimo, eppure la maternità di Maria non è la più atipica di tutte?
Qualunque atto che costringa la donna o che limiti la sua volontà di maternità o che la riduca alla sua dimensione semplicemente biologica contrasta con la figura di Maria che comprende, invece, ogni maternità cosciente, consapevole, ogni maternità che si accinge a voler creare qualcosa. La volontà creatrice è un atto divino. Al contrario, qualsiasi atto puramente egoistico, volto soltanto a soddisfare la propria curiosità o il proprio ego, contrasta radicalmente con un simbolo che è tutto un dono e nulla tiene per sé.
Muri e divieti, inasprimento di pene e nuovi reati. Questa domanda crescente di “potere e disciplina” secondo lei contiene una “domanda di padre” in un’epoca senza padri, com’è la nostra?
Sì, il padre è la figura che nella nostra civiltà doveva garantire anche la stabilità della nostra identità. Ma è la madre, è Maria la “persona” della Misericordia. Il padre dovrebbe riconoscerne il “primato”. Questo padre è sempre più l’assente. Madre e figlio sembrano chiedersi in tante icone, che commento nel libro: “Signore, perché ci hai abbandonato?”.
Dio ci ha abbandonati?
C’è questo dramma sotteso nei miei saggi dedicati a Maria. Nelle grandi icone della madre e del bimbo è dipinto tutto il presagio della tragedia che li attende. Questa madre e questo figlio abbandonati esprimono una tragica domanda, la stessa che pone il Cristo in croce all’ora nona: Dio mio, perché mi hai abbandonato? Qui la figura del padre sembra essersi drammaticamente ritirata. In queste immagini si vive davvero il grande problema dell’Europa o cristianità, l’annuncio “Dio è morto”.
Davanti a questa strage di Dio e padri, nessun augurio per le nuove generazioni?
Se il padre non c’è più, significa che non lo puoi più considerare, ma puoi sempre desiderarlo. “Desiderio” vuol dire de-considerare: è il venir meno della possibilità di considerare, ma non della possibilità di desiderare di considerare. E quindi: che i figli desiderino!
Qual è l’errore dei padri che i figli non dovranno ripetere?
La colpa dei padri è di non aver visto e compreso l’icona di Maria: simbolo straordinario di amore gratuito, di misericordia, di partecipazione alla sofferenza, di capacità di perdono. Malgrado grandi poeti e pittori l’abbiano messa al centro della propria opera, mai essa è stata ascoltata dalla nostra civiltà. I padri hanno cercato di rimuoverla in tutti i modi, se non di violentarla. Non c’è nulla nella nostra società, nella nostra politica e nella nostra cultura di quella capacità di donare gratuitamente di cui Maria è simbolo. Mi auguro che i figli sapranno desiderarla fino al punto di poterla “considerare”, cioè vederla come realtà viva nel loro mondo.
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