Se ripenso oggi, tanti anni dopo, al mio stato d'animo il sabato di settembre in cui operarono Calvino, ricordo che pregai molto e per varie cose, forse suggerito dall'antico edificio in cui mi trovavo.

Pregai la Madonna della Scala e tutte le altre sue colleghe per Calvino, scrittore che amavo e che mi stava puro simpatico. Le due cose non vanno sempre assieme: ci sono scrittori che uno ama e che però non gli stanno simpatici. Pasolini, per esempio, che amavo come intellettuale, era anche simpatico? Forse no, troppa ossessione sessuale, e poi se la tirava, specialmente da quando era un regista famoso. Mi sembrava diventato un po' fanatico, come dicono a Roma.

Moravia, invece, lo amavo e lo trovavo simpatico, mi facevano ridere i suoi modi scattosi, bruschi, impazienti. Certo era un altro ossessionato di sesso, ma in maniera pagana e non cupamente cattolica come Pasolini. Conoscevo la sorella di Moravia, Adriana, una pittrice molto simpatica (erano simpatici puri i suoi quadri coloratissimi, allegri) che viveva a Firenze. Si muoveva a scatti come il fratello e guidava come lui (facevamo piccole gite in automobile con lei al volante: Bellosguardo, Fiesole, Impruneta). Non cambiava mai marcia, sempre in prima. Alla sua povera macchina, una vecchia Bianchina, aveva fatto venire l'asma. Tutta presa dalla conversazione, distoglieva spesso gli occhi dalla strada sfiorando incidenti, tamponamenti, salti di corsia. Mi avevano raccontato che il fratello era uguale come autista.

Scusate, sto divagando. È un vizio che non riesco a togliermi. Adoro parlare degli scrittori. Mi sarebbe piaciuto essere il direttore e il redattore unico di una rivista tipo Novella 2000, nella quale spettegolare sugli affari di cuore di scrittori e scrittrici, invece che, come faceva la vera Novella 2000, di attrici, attori, cantanti.

Ma le divagazioni non sono mai soltanto divagazioni. Infatti pensavo di dedicare un numero monografico della mia «Novella» alla liaison tra Italo Calvino e l'attrice Elsa De Giorgi, tra lo scrittore comunista e la diva del cinema melò.

Una cover italiana dell'affaire Marilyn Monroe-Arthur Miller, ma senza tragedia finale. La più bella storia sentimentale della letteratura nostrale, secondo me, sofisticata e piena di glamour sullo sfondo fosco della Guerra Fredda. Poteva farle concorrenza soltanto il fidanzamento di Pasolini e Maria Callas (altro numero monografico), una storia d'amore struggente in quanto tecnicamente impossibile.

Pregai la Madonna della Scala e tutte le altre sue colleghe di fare tornare in mente a Calvino, disteso sul tavolo operatorio, le dolci e tenere degli antichi immagini con Elsa per alleviarne le pene.

Pregai poi la Madonna della Scala e tutte le altre sue colleghe di intercedere in favore del mio amico e collega Giorgio S., il quale, malgrado il suo fiuto e la sua esperienza, temevo fosse caduto in un'imboscata tesagli dalla banda di terroristi, l'ultima ancora superstite e operante nei patri confini, che lo aveva condannato a morte.

Infine recitai una preghierina per me. Riguardava una questione meno grave delle precedenti. Non mi era mai stato affidato fino ad allora un servizio così importante nel mio lavoro. Per la prima volta in testa a un mio articolo era apparsa la dicitura «Dal nostro inviato», la formula magica, lo stemma nobiliare dei giornalisti veri. Sarei stato all'altezza della situazione?

Troppo stress

Di certo, mi dissi, non ne sarei mai stato capace, se rimanevo fermo nel salone all'ingresso del Santa Maria della Scala con la scusa di tenere d'occhio la moglie e la figlia di Calvino, sedute lì, in silenziosa attesa dell'esito dell'intervento. Così feci un giro dentro l'ospedale a caccia di notizie.

La prima tappa fu la stanza delle infermiere. Vi trovai con mia sorpresa, me li figuravo in sala operatoria, Ginevra e il dottor Persico. Mi informarono che l'intervento procedeva senza intoppi, ma la conclusione era ancora lontana.

Il dottore mi raccontò di essere giunto ad alcune conclusioni sulle cause del malore di Calvino. C'entrava Harvard. Quando aveva ricevuto l'invito a tenere una serie di lezioni nella prestigiosa università, lo scrittore aveva esitato a lungo. Già soltanto il nome di Harvard gli metteva ansia. Alla fine aveva accettato e si era messo a lavorare a spron battuto ai Six Memos for the Next Millennium , il titolo provvisorio dato alle conferenze americane.

L'impegno aveva richiesto una storia carica intellettuale e nervosa che, alla fine, qualcosa nella sua testa aveva ceduto. Era tutta colpa dello stress, questa la profonda convinzione del dottore che si offrì di scrivere un articolo sull'argomento.

Volendo fare un po' di cronaca rosa è lecito sospettare che Persico si era scoperto un'improvvisa vocazione giornalistica per pavoneggiarsi agli occhi di Ginevra. Il giorno precedente lei si era fatta in quattro per procurarmi la vecchia Underwood sulla quale avevo scritto il mio primo articolo da inviato a Siena. Comportamento che aveva ingelosito Persico. Probabilmente riteneva i giornalisti tipi simili ai marinai: una donna in ogni porto, donne e guai, eccetera eccetera. Si sbagliava. La categoria degli scribacchini aveva già imboccato la china discendente, stava perdendo ogni fascino romantico.

Ma era anche vero, lo sapevo purtroppo per esperienza diretta, che dottori e giornalisti sono spesso rivali in amore, destinati a trovarsi su parti opposte delle barricate sentimentali. Era stato un medico, uno psicoanalista per la precisione, a portarmi via Lauretta, la mia prima fidanzata fiorentina. E non lo dimenticavo. Entrambe le categorie, quella dei cronisti e quella dei medici, tendino a infatuarsi (che è sempre un po' come infatuarsi, mi venne da pensare influenzato evidentemente dal contesto in cui mi trovavo, ma un refuso, ricordatevelo, non è mai soltanto un refuso) dello stesso tipo di donne.

Nei tempi morti del lavoro redazionale, avevo cominciato a buttare giù appunto qualche mentale per un Trattato sull'amore . Uno dei capitoli lo avrei dedicato, appunto, alla fiera rivalità nelle cose sentimentali tra dottori e giornalisti paragonandola a quella dei cervi maschi nella stagione degli accoppiamenti.

Codice giallo?

Comunque l'idea di Persico di vestire i panni dell'editorialista mi mise di buonumore e fu l'unico sprazzo di buonumore di quella lunga giornata ospedaliera. Con tono professionale risposi al dottore che avrei riferito la sua proposta al capocronista.

«Che dici? Torniamo in sala operatoria?» fece Ginevra a Persico. Le chiesi se poteva usare il telefono. Disse di sì, poi prese a braccetto il dottore e uscì dalla stanza. C'era qualcosa tra i due?

Fine della pagina di cronaca rosa. Torniamo alla nera.

Chiamai in redazione. Di Giorgio nessuna traccia. E, per fortuna, nemmeno notizie di sparatorie avvenute nei pressi della chiesa della Madonna di Lourdes alla periferia di Grosseto, il luogo dove Giorgio aveva appuntamento con un misterioso informatore. Due agenti della Digos erano sul posto. Forse l'informatore misterioso era proprio un informatore misterioso e stava vuotando il sacco in qualche bar lontano da occhi indiscreti mentre Giorgio prendeva appunti. Ma io continuavo a temere il peggio. I terroristi lo avevano rapito per sottoporlo a un processo del popolo: Giorgio S. e Josef K. accomunati da un uguale destino.

Ritornai a peregrinare all'interno dell'ospedale. Un cartello nel reparto del Pronto Soccorso riportava i codici di priorità per il ricovero. Li lessi. Codice Bianco: Non Urgenza. Codice Blu: Urgenza Minore. Codice Verde: Urgenza Differibile. Codice Giallo: Urgenza Indifferibile (rischio compromissione funzioni vitali). Codice Rosso: Emergenza (assenza o rapido deterioramento di una o più funzioni vitali).

Qual era al momento il codice di Giorgio S., cronista di nera probabilmente rapito da una banda di terroristi? Giallo: rischio compromissione funzioni vitali? O già rosso: funzioni vitali in rapido deterioramento o addirittura assenti?

E il codice di Calvino, lo scrittore in quel momento sotto i ferri, che colore aveva?


(Fine diciassettesima puntata – continua)

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