I numeri raramente mentono. E quelli del programma di interviste faccia-a-faccia condotto da Francesca Fagnani, raccontano di un successo che ha rivitalizzato una boccheggiante Raidue. A favorirne l’ascesa lo stile giornalistico della conduttrice, a metà tra Minoli e le “barbariche” interviste di Daria Bignardi. Ma il caso Mammucari è la spia di un prezzo da pagare al clima del prime time: da Fagnani alla sua caricatura, il passo è breve
I numeri raramente mentono. E i numeri di Belve, il programma di interviste faccia-a-faccia condotto da Francesca Fagnani, raccontano di un successo che ha rivitalizzato una boccheggiante Raidue e moltiplicato l’attenzione verso un contenuto che circola stabilmente nel dibattito pubblico di giornali e social. Eppure, i felici esiti di un’operazione partita da lontano (era il 2018 quando andò in onda per la prima volta su Nove e il 2021 quando si spostò sul secondo canale) necessitano forse di essere considerati anche come effetto di trasformazioni di un prodotto che rischia di veder snaturate alcune intuizioni delle origini.
A favorire l’ascesa di Belve nell’offerta televisiva è stato senza dubbio lo stile giornalistico di Fagnani, un rimescolamento di suggestioni passate più che una vera e propria invenzione, fatto di botta e risposta, di domande che vanno a solleticare il privato più intimo, di una mimica iconica, di sgabelli, di una strana e caustica coesistenza di complicità e conflittualità con l’intervistato.
Con il passaggio dallo spazio anonimo della seconda serata alla ribalta del prime time, avvenuta a inizio 2023, Belve si è visto costretto a modificare alcuni tratti. Il caso-Mammucari, con il conduttore romano che lascia platealmente lo studio, è forse spia di un prezzo pagato a certe logiche del prime time fatte di scontro, di esibizione, di un adeguamento dei toni alla collocazione del martedì sera, quella dei talk show delle altre reti, di Berlinguer e di Floris.
La giornalista ha il merito di aver costruito un proprio stile, riconoscibile e accessibile, travalicando i confini del mezzo televisivo per sedimentarsi come contenuto che può circolare come frammento, rimbalzare tra le piattaforme, incontrare tangenzialmente anche il favore di pubblici diversi, magari giovanili, che lo rendono virale su TikTok. Il modello è qualcosa che sta a metà tra Minoli e le “barbariche” interviste di Daria Bignardi; un tentativo di rivitalizzare un genere nobile dell’informazione televisiva (quello appunto dell’intervista che scava anche nel privato dei personaggi pubblici) a cui però mancano sia la caratura istituzionale e gli ospiti “di potere” di Minoli sia la spontaneità festosa delle prime Invasioni.
Ammansito lo spirito graffiante delle prime edizioni, Belve si sta imponendo come spazio ambito dal mondo dello spettacolo, compresi i suoi vizi e pettegolezzi, in cui risaltano alcune ridondanze come l’abbondante uso del “lei”, la lettura delle domande sull’agenda, l’interruzione della risposta dell’intervistato. Da Fagnani alla sua caricatura, si rischia che il passo sia breve.
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