Reduci dalla tragicomica vicenda Sangiuliano – meravigliosamente parodiata a tempo di record da Maurizio Crozza – è lecito interrogarsi: ha ancora senso, oggi, un premio dedicato alla satira? Nel dubbio, la storica roccaforte del Premio satira politica Forte dei Marmi, diretto da Beppe Cottafavi, resiste e, per il cinquantaduesimo anno, si appresta a celebrare artisti, content creator e personaggi dello spettacolo del panorama nostrano.

Scorrendo la lista dei premiati che sabato 14 settembre, alla Capannina di Franceschi, ritireranno il riconoscimento, appare chiarissima una verità: la comicità sta cambiando, anzi è già cambiata, diluita tra reel, social network e club di stand-up.

Ci si chiede, soprattutto, se l’aggettivo “politica” accostato al Premio satira abbia ancora ragione di esistere. I riferimenti ai personaggi politici, un tempo rifugio sicuro, si sono fatti sempre più radi e svogliati, e sono praticamente scomparsi dal repertorio dei giovani comici, che preferiscono concentrarsi sugli aspetti grotteschi del quotidiano.

La mutazione

Qualcuno dirà che, in fondo, è sempre stato così (a Non Stop e L’altra domenica non si parlava certo di Andreotti e Berlinguer). Ma il cambiamento è molto più profondo. Se un tempo prendere di mira i potenti era un atto temerario, che – pur garantendo un certo seguito – avrebbe esposto a rappresaglie e censure, oggi la pratica ha assunto contorni molto meno eroici: canzonare i politici è facilissimo, persino banale, e qualsiasi telegiornale offre spunti a iosa (senza contare che certi tg sembrano già satirici per conto loro). Ma oggi i politici non stanno più su quel piedistallo che per decenni li ha visti, loro marchesi del Grillo, a spadroneggiare sulla plebe: oggi sono loro a tuffarsi a bomba verso il basso, nella melma delle liti social, cercando di legittimarsi rivendicando di essere uguali a noi, spesso peggio di noi. E anche l’asticella dell’indignazione si è abbassata. Un tempo scrollavamo le spalle davanti a maxi tangenti di decine di miliardi, oggi saltano poltrone per due biglietti Frecciarossa o un permesso Ztl scaduto.

I premiati

Chissà cosa avrebbe detto Berlusconi, vedendo arrancare questi ominicchi che lui stesso contribuì a legittimare. In mancanza della sua voce possiamo solleticare la nostra vena nostalgica (ma sì, in fondo lo rimpiangiamo) con il libro B. Una vita troppo, di Filippo Ceccarelli, Feltrinelli, premiato per il suo titanico lavoro di ricostruzione dell’epopea del cavaliere. Insieme a lui Diego Bianchi, che riceverà il premio per Propaganda Live; a ritirare il riconoscimento per il teatro ci sarà Paolo Rossi, il cui destino si è intrecciato più volte con quello di Berlusconi (recuperate la sua intervista al podcast Tintoria per credere).

La lista dei premiati dediti alla satira politica – guarda caso, quelli con più anni di carriera sulle spalle – sembra fermarsi qui. Ma, se è vero che il potere non interessa più di tanto ai nuovi comici, è altrettanto vero che si può essere politici anche senza parlare di politica. E allora sì, possiamo dire a pieno titolo che tutti i premiati di quest’anno meritano il “Satiro”, il trofeo dagli artigli affilati disegnato da Altan. Lo merita Giorgia Fumo, ottima nell’ironizzare su mondo del lavoro e questioni di genere; Horea Sas, trentenne che incarna la disillusione di una generazione eternamente precaria; Nathan Kiboba, approdato in Italia su un gommone e arrivato a Le Iene con i suoi monologhi su razzismo e integrazione.

Ma anche Gloria!, il film di Margherita Vicario, che ribalta giocosamente la storia della musica dando voce (e pianoforte) alle ospiti di un convitto settecentesco, e Alessandro Arcodia, che racconta il degrado dei luoghi turistici con diapositive avvilenti ma esilaranti.

A condurre la serata saranno i Contenuti Zero, irresistibile collettivo di attori che ritirerà il premio per il varietà: una comicità per palati fini, che attinge alla tradizione – qualcosa dei Monty Python, un pizzico di Walter Chiari – per rileggere in chiave moderna fatti e personaggi storici.

Per l’illustrazione, infine, ci sarà Maicol & Mirco, vignettista del Manifesto che racconta il mondo con un tratto essenziale e una delicatezza amara e profonda. La scuola, del resto, è quella di Altan; come in quel dialogo in cui uno dei protagonisti, azzardando un «Sono felice», si sente rispondere «Che caduta di stile».

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