La novità del come rende meno rilevante il cosa o dove si mangia: nonostante l’offerta di cestini più o meno lussuosi, il cibo non è il fulcro dell’evento, come non lo è il contesto naturale, per quanto ormai diffuso
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
I picnic esistono dall’antichità, come dimostrano dipinti e opere letterarie. Ci sono voluti secoli, tuttavia, perché acquisissero tale nome, e «perché quello che per noi è un rituale decorosamente en plein air, diventasse tanto bucolico quanto innocente», spiega Alexander Lee, studioso del Centre for the study of the Renaissance dell’università inglese di Warwick.
Una parola misteriosa
L’origine stessa della parola “picnic” è un mistero. La radice francese potrebbe derivare dal verbo piquer (“beccare” o “raccogliere”) e dal sostantivo nique ("una piccola quantità" o “niente di niente”); ma sono solo speculazioni.
«Ciò che è certo, tuttavia, è che alla fine del XVII secolo gli aristocratici parigini designavano come pique-nique un banchetto al chiuso in cui ogni ospite portava un piatto», prosegue Lee. In letteratura il termine compare per la prima volta in Les Charmans effects des barricades, ou l’amité durable de la compagnie des freres Bachiques de Pique-Nique (1649), una satira burlesca sull’ipocrisia dei rivoltosi francesi durante la Fronda parlamentare.
Il protagonista, “Pique-Nique”, è un eroe delle barricate, ma anche un goloso, la cui ingordigia è in netto contrasto con la penuria di cibo causata dalla stessa ribellione che sta guidando. Di conseguenza è probabile che il suo nome venisse a indicare un pasto abbondante, consumato a spese altrui.
Dopo la Rivoluzione francese, i nobili che avevano trovato rifugio a Londra portarono con sé il concetto di picnic come banchetto al chiuso finché, nel 1801, un gruppo di 200 ricchi francofili fondò la Pic Nic Society, un’associazione che cenava in stanze private in cui ogni partecipante era tenuto a portare un piatto e sei bottiglie di vino. L’alcool lubrificava gli spiriti in vista delle rappresentazioni teatrali del dopo cena.
È plausibile però che la loro esecuzione risultasse difficile, poiché gli attori avevano sei litri di vino a testa a disposizione. D’altra parte, potendosi dire lo stesso del pubblico, di rado si rischiava di incappare in critiche argomentate.
Dall’interno all’esterno
Con l’industrializzazione e la crescita delle città all’inizio del XIX secolo, la fuga in campagna divenne di moda nel Regno Unito e le classi medie spostarono il picnic all’esterno, facendone un appuntamento all’insegna non più del deboscio, bensì di una vita sana. Per converso, in Francia, come si evince dal celebre dipinto Le Déjeuner sur l’herbe di Édouard Manet, in cui due uomini vestiti si accompagnano a due donne discinte, lo scenario campestre serviva proprio a celare eventuali licenziosità, mantenendo in vita le usanze dei picnic alcolici al chiuso.
Solo all’inizio del XX secolo la modalità all’aperto prevalse definitivamente su quella al chiuso. Soprattutto in Inghilterra, riprende Lee, «lo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto e l’accelerazione dei cambiamenti sociali resero la campagna accessibile a una percentuale di popolazione più ampia, ma non indifferente alla qualità dei pasti. Per esempio, nel Book of Household Management della dama vittoriana Isabella Beeton, pubblicato a Londra intorno al 1861, il pranzo al sacco per 20 persone prevedeva aragosta, arrosto di pollo, pasticcio di vitello e un sacco di domestici per prepararli».
In epoca moderna
Con la nascita del turismo automobilistico tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, si arrivò infine al picnic moderno, «che consiste nello stendere una coperta a terra e portarsi il cibo in una borsa termica» chiarisce la storica inglese del cibo Annie Gray.
Esistono però varianti nazionali: negli Usa, per dire, questo pasto è inscindibile dal barbecue, mentre altrove, dagli anni Settanta in poi, gli operatori del mercato hanno proposto Tupperware di plastica e cibo già pronto, per la gioia delle mamme lavoratrici. Nel 1977 Kentucky Fried Chicken arrivò a creare una speciale confezione da picnic che comprendeva pollo fritto per un massimo di sei persone, insalata, panini, piatti, forchette, tovaglioli e una tovaglia per 7,50 dollari.
Il nuovo super lusso
Il trauma del Covid ha dato nuova linfa alla tradizione del pranzo nel verde. E se per i meno abbienti il cibo resta prevalentemente fatto in casa e la location un parco cittadino, in un singolare atto di riappropriazione dello spazio pubblico, il mercato ha segmentato la sua offerta in modo da intercettare categorie ben distinte di clienti. Il sito Picnic chic offre centinaia di opzioni eleganti, dal picnic in vigna a quello al chiaro di luna, mentre Chic Nic organizza il tradizionale ristoro nel contesto di ville e giardini di grande valore storico, che – ipotizziamo – hanno il vantaggio di risultare in modo fantastico su Instagram.
Per la clientela più abbiente invece l’interesse per il picnic si lega, come sempre, allo sperimentare un’esperienza complessivamente elitaria. E chi non ha problemi di spesa ricorre direttamente ai ristoranti come si faceva un tempo con la servitù. In Italia tra coloro che offrono questo servizio c’è Villa Lario (www.villalario.com), luxury property a Pognana Lario sul Lago di Como, che prepara picnic basket da portare in barca, con il meglio del cibo italiano.
All’estero invece spiccano agenzie come la londinese Luxury Picnic Company, che provvede perfino un corredo di musica dal vivo per i suoi picnic e che di recente ha organizzato un dejeuner sur l’herbe per un miliardario francese e i suoi 12 ospiti un picnic, con un conto da 10mila euro.
L’hotel Plaza di New York offre invece una gita in elicottero privato da Manhattan agli Hamptons, dove su una spiaggia viene allestito un picnic a base di ostriche, vongole, caviale e aragosta al vapore. Quanta semplicità per 20mila dollari.
Il cuore è il divertimento
Guardando al di là di questa profusione di lusso, resta da capire quale sia il cuore del picnic e cosa le persone variamente spendenti cerchino in esso.
«Ciò che accomuna tutti i picnic nel corso dei secoli è l’elemento del piacere e la sensazione che, qualunque cosa si mangi, si serva o si faccia, non si possa mai sbagliare», commenta il citato Lee.
Anche se si dimentica il cavatappi o il condimento per l’insalata, o se inizia a piovere, come dichiarò Mrs Beeton nel 1880, ogni imprevisto serve solo «ad aumentare il divertimento piuttosto che a diminuirlo». Può essere, allora, che Il fascino del picnic stia nella sua capacità di rinnovare un’abitudine quotidiana solo depurandola di un tavolo e delle sedie.
Non a caso, molti di noi ricordano il divertimento legato a qualche merenda in salotto quando il meteo non consentiva di uscire. La novità del come rende meno rilevante il cosa o dove si mangia: nonostante l’offerta di cestini più o meno lussuosi, il cibo non è il fulcro dell’evento, come non lo è il contesto naturale, per quanto ormai diffuso.
Perciò, se il riscaldamento globale continuerà a peggiorare, non è escluso che i picnic si trasformeranno di nuovo e continueranno a esistere indoor. A dispetto delle variazioni storiche e gastronomiche, forse con questo banchetto per terra in fondo cerchiamo una variazione nella normalità, la celebrazione di un rituale che crea una piccola comunità estemporanea. L’enfasi cade sull’occasione e sulla compagnia, perché sono loro che fanno di un pasto condiviso un ricordo speciale.
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