L’idea di Interiezioni, Rapina poetica nacque grazie al Forum salute mentale, presso il quale si raccolgono alcune fra le migliori intelligenze della psichiatria democratica italiana; mi riferisco in particolare a Giovanna Del Giudice, Peppe Dell’Acqua, Giovanni Rossi, Piero Cipriano, e tanti altri, e in seno alla Campagna per l’abolizione della contenzione meccanica nei luoghi di cura del Servizio sanitario nazionale, in particolar modo nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc). Fui invitato da Giovanna Del Giudice, donna straordinaria, negli anni Settanta stretta collaboratrice di Franco Basaglia, a pensare a una rappresentazione che potesse descrivere la condizione manicomiale e il suo senso primo e ultimo: lo stigma psichiatrico e l’esclusione sociale. Mi venne in mente, subito, Antonin Artaud.

L’Italia è l’unico paese in Europa e nel mondo ad aver abolito il manicomio.

Grazie al lavoro paziente e rivoluzionario di Franco Basaglia, nel 1978 venne promulgata una legge, la 180, che chiudeva i manicomi. Ci vollero poi decenni perché fosse definitivamente implementata, con la chiusura anche degli Ospedali psichiatrico giudiziari (Opg). Ma il manicomio non è soltanto un luogo di esclusione e reclusione, ma anche, per dirla attingendo al vocabolario marxiano, un’ideologia, una falsa coscienza.

Così accade che, chiuso il manicomio vero e proprio, la sua ideologia non sia mai tramontata, anzi. Come si fa, del resto, a “chiudere” un’ideologia? In Italia solo il 10 per cento dei Spdc rinunciano a legare i pazienti al letto, preferendo alla contenzione meccanica pratiche di cura non disumanizzanti. «L’Italia ha rappresentato un modello avanzato di gestione nel processo di restituzione di autonomia alle persone con disturbo mentale, a partire dalla legge 180 e sino al superamento degli Opg.​​​​​​ È auspicabile che i passi avanti sino a ora compiuti conducano a ulteriori avanzamenti nella tutela della salute mentale delle persone; è dal rispetto della dignità che nasce l’idea stessa di terapia». Così il presidente Mattarella nel messaggio in occasione della Giornata mondiale della salute mentale 2015, indetta dall’Oms.

Liberare entrambi

Traggo dal sito slegalosubito.com: «La contenzione si nasconde nei luoghi della cura. Una pratica che è il terrore e l’incubo di uomini e donne, di vecchi e bambini, di tutti quelli che vivono la fragilità delle relazioni, il dolore della solitudine, l’isolamento, il peso insopportabile della loro esistenza. La contenzione non impaurisce, ferisce, umilia solo chi la subisce, ma anche gli operatori sanitari (medici, infermieri), che, non più soggetti portatori di competenze, affettività, relazioni, sono ridotti a un ruolo di freddi custodi. Bisogna liberare entrambi, abolendo le fasce. La rabbia, il dolore, l’impotenza, l’umiliazione che le persone legate devono vivere sono così profondi che a fatica si riescono a raccontare».

Ritengo da sempre che il mestiere dell’artista, chiunque esso sia e qualsiasi sia la sua forma d’arte, possa e debba coniugarsi con l’impegno politico e sociale, nel popolo, con il popolo, dal popolo e per il popolo. Altrimenti a che servirebbe? L’arte è per me sfida e azzardo, ma anche riflessione e prudenza, amore per il mio prossimo, laicissima solidarietà e cristiana fratellanza, nel segno dei valori democratici che, se solo vogliamo, possiamo sempre affermare e condividere. Insomma, la vita è tanto preziosa quanto breve, e io non ho tempo da perdere con lo show business: ho tutto da dare, non da ricevere, e a una certa età questo approccio diventa più urgente che mai.

I testi della rappresentazione sono tratti da Succubi e Supplizi, che Antonin Artaud scrisse nel 1946 fra un elettroshock e l’altro, nel manicomio di Rodez. Anzi… non li scrisse, ché gran parte di essi li dovette dettare a una dattilografa; il poeta era parkinsonizzato dalle “cure” che dovette subire. Un raro caso di letteratura orale del Novecento.

Artaud, che fu raffinato scrittore, poeta, drammaturgo e teorico del teatro, picaro e viaggiatore, avventuriero, intellettuale irriducibile del suo tempo, rappresenta certamente, nella storia della letteratura contemporanea, non soltanto il genio seguace della dannazione francese (penso a Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud, a Isidore Ducasse “Conte di Lautréamont”, ma anche a Louis Ferdinand Céline, suo contemporaneo), ma il caso più tremendo e paradigmatico di vittima sacrificale dell’ideologia manicomiale.

La follia e il suo doppio. La stigmatizzazione sociale, l’esercizio del potere statuale sul corpo vivo, ma ucciso, ridotto a morto, dell’individuo. La pazzia intesa come disperato rifiuto del soggetto a conformarsi alle circostanze storiche, sociali e culturali nelle quali insiste la sua indicibile sofferenza, il “folle” o, come amava definire sé stesso, il “forsennato”.

In Interiezioni, Rapina poetica ci sarà quest’inferno e tutto il suo abisso, nel quale cercheremo, io e il maestro Paki Zennaro, di accompagnarvi, nello spavento e nella commozione, nella rivolta e nell’emancipazione, brutale e feroce, dall’insondabile solitudine del singolo di fronte alla forza prevaricatrice e omicidiaria della società moderna, promettendo a coloro che vorranno assistervi emozioni, batticuori, lacrime e turbamento.

L’Antonin Artaud teorico del “teatro della crudeltà” affermava, lapidario e incoercibile, che – vado a memoria – colui che assiste a una rappresentazione teatrale deve tornarsene a casa con la sensazione di aver vissuto un momento cruciale della propria vita. A questo, aggiungo io, deve servire la rappresentazione teatrale, ma anche il concerto, magari rock, quello a cui sono da sempre avvezzo: vivere, finalmente; resuscitare. Perché è a casa, davanti alla tv, in ufficio, a far di conto, in fabbrica, a menar bulloni, che si muore, lentamente, giorno per giorno.

Emancipazione

L’arte serve a riportare la vita nelle nostre esistenze. Ad accomiatarci dalla mancanza di senso della quotidianità, per ritornare a sperare in noi stessi e nel nostro prossimo. A emanciparci dalle assurdità di ogni giorno, direbbe Majakovskij, ad amarci, a riconoscerci, tutte e tutti, donne e uomini degni di vivere.

Ci proveremo anche noi, nella nostra incosciente speranza. Io, Pierpaolo Capovilla, ai “sussurri e grida”, Paki Zennaro – storico collaboratore di Carolyn Carlson, voglio ricordare – alla direzione musicale.

Coniugando il verso doloroso e collerico, commovente e straziante di Antonin Artaud con un’irriverente interpretazione, Interiezioni, Rapina poetica ambisce a riscoprire l'autore sotto una luce nuova, contemporanea e sperimentale, arbitraria nella forma, sì, ma intimamente coerente con il contenuto poetico, che viene liberato dalla prigionia dell’inchiostro che lo costringe nella pagina, per disavventurarsi nell’enunciazione, nel qui e ora, in una ricontestualizzazione che ambisce a essere narrazione critica dell'oggi.

Ecco, allora, il poeta in tutta la sua possanza… «…e se Antonin Artaud si lamenta, allora significa che è lui a delirare… presto! un piccolo elettroshock! per guarirlo dal credere negli spiriti… ma il fatto è che Antonin Artaud, appunto, non crede negli spiriti, mentre ha sempre creduto negli uomini, che per puntellare la loro ignobile vita non hanno mai saputo fare altro che riprendere vita in lui, e affinché non si sappia, e per proseguire in pace i loro orrendi profitti, hanno fatto mettere a letto Artaud, in cella, completamente nudo, per tre anni, in isolamento… lo hanno prima avvelenato, e poi giudicato colpevole di pazzia… perché non potesse più ribellarsi, e affinché a nessuno venisse in mente di aiutarlo». Il manicomio, nella sua essenza.

PS: Ricordo con sgomento un certo Matteo Salvini, nel 2019, nel pieno del suo successo politico, quello dei “pieni poteri”, all’adunata pontidiana, fra un sacrilego bacio madonnaro ed evocazioni di santi e sante che neanche un neocatecumenale americano saprebbe proferire, suggerire la riapertura dei manicomi. Che Dio non voglia. Ma non dipenderà dal Padreterno. Dipenderà da noi.

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