Il cattolicesimo francese, pur in minoranza e diviso tra progressisti e tradizionalisti, continua a dimostrare una vitalità e una vivacità creative che stanno venendo meno in altri paesi di antica tradizione cristiana, dall’Italia alla Spagna. L’ultimo esempio è una storia di copertina del quotidiano La Croix dedicata allo scandalo degli abusi, approfondito grazie a una lunga conversazione tra l’attrice Judith Godrèche, vittima che negli ultimi anni ha trovato la forza di denunciarli, e Jean-Marc Sauvé, già vicepresidente del Consiglio di stato.

Sugli abusi commessi dal clero la reazione della conferenza episcopale francese è stata esemplare. Nel 2016 i vescovi d’oltralpe hanno costituito la Ciase, la commissione indipendente sugli abusi sessuali nella chiesa, presieduta da Sauvé.

Fece rumore nel 2021 la pubblicazione del suo rapporto finale a causa della stima ipotizzata delle vittime di abusi da parte del clero a partire dal 1950: un numero enorme, 216mila, tanto che il rapporto ha provocato in Francia la reazione negativa di otto intellettuali e in Italia suscitato le riserve del presidente della conferenza episcopale, il cardinale Matteo Zuppi.

La Ciase ha però identificato tremila vittime e ne ha ascoltate 240, fino a quel momento non credute quando denunciavano, o protette con misure del tutto inadeguate perché i predatori venivano spostati in altre sedi. Così è avvenuto a Lione nel caso, tristemente celebre, di Bernard Preynat, poi spretato e condannato anche dalla giustizia civile: una storia orribile che ha provocato le dimissioni del brillante cardinale Philippe Barbarin ed è stata portata al cinema da François Ozon (Grâce à Dieu).

Nella conversazione sul quotidiano cattolico francese Sauvé ha spiegato che «là dove sono strutture di potere, là dove sono dei minori, delle persone vulnerabili, vi è un rischio di dominazione».

Gli ha fatto eco Godrèche, abusata quand’era una giovanissima attrice. Nel 2017 ha dichiarato di essere stata aggredita da Harvey Weinstein, poi nelle prime settimane di quest’anno ha denunciato per stupro i registi Benoît Jacquot (con cui era andata, quattordicenne, a convivere) e Jacques Doillon: ma il cinema è intoccabile – ha detto – osservando non banalmente che vi è «una sorta di glorificazione dell’autore»: come «nel culto», e talvolta addirittura con le «deviazioni di una setta».

Di fronte a una «figura di autorità» si entra in un microcosmo dove non si sa più «cosa è il bene e il male».

Per questo è stato «un cammino che ha richiesto trent’anni» – ha riconosciuto l’attrice e regista che si è trasferita negli Stati Uniti – e di recente «mi si è detto che sono “radioattiva”», con la conseguenza che non arrivano più sceneggiature. Subire un abuso «è una piccola morte», al punto che «c’è una parte di sé che non sarà più come prima» ha osservato ancora Godrèche.

«Opera di morte»

Sauvé conferma che è stata compiuta «un’opera di morte», quando invece i preti avrebbero dovuto «condurre alla vita». Concluso il lavoro della Ciase, io stesso – ha confessato – «continuo a seguire una terapia, talmente è pesante da portare quello a cui sono stato messo di fronte». Ma «bisogna andare in fondo alle tenebre, far venire alla luce quello che è successo»: per poter «riconoscere e riparare».

Il problema è che ogni istituzione «pensa innanzi tutto alla propria protezione». Così dopo la pubblicazione del rapporto della commissione – ha ricordato con amarezza il suo presidente – «vi è stata una contestazione frontale di una parte della chiesa. Un’udienza della Ciase fissata con il papa è stata rinviata e mai riprogrammata». Ma alle duemila rigorose pagine del rapporto è stata contrapposta solo la dozzina di fogli della contestazione da parte degli otto intellettuali francesi.

In compenso la conferenza episcopale presieduta da Éric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims, ha ammesso con coraggio le sue responsabilità e ora due commissioni si stanno adoperando per la riparazione. In Francia la chiesa cattolica è l’unica istituzione ad avere intrapreso questo cammino, ha voluto sottolineare Sauvé. Ma indispensabile è stabilire un’alleanza con le vittime. Che innanzi tutto vanno ascoltate. «Quello che aspettavo me l’avete dato: tempo, attenzione, benevolenza; non osavo credere che fosse possibile» ha detto con semplicità una di loro al presidente che chiedeva cosa potessero fare.

Un mese prima dell’intervista pubblicata dalla Croix proprio dagli abusi era partita l’analisi puntuale e fortemente critica di un autorevole storico gesuita, Julio Fernández Techera, rettore dell’Università cattolica dell’Uruguay, a proposito del declino della Compagnia di Gesù. Confermando che questo scandalo è, anche all’interno di un ordine religioso per secoli all’avanguardia, il sintomo gravissimo di una situazione più generale di decadenza. Rivelata all’esterno dal crollo delle vocazioni (se si eccettua l’Africa) e dall’alto numero di abbandoni.

Fernández Techera ha menzionato nel suo testo, preceduto da altri due e intitolato Ad usum nostrorum (rivolto cioè ai confratelli), l’agghiacciante e oscuro caso di Marko Rupnik, il mosaicista accusato di continuati abusi contro una ventina di donne, e poi quello documentato nel 2023 da un’inchiesta del quotidiano spagnolo El País: una vicenda tragica durata anni e che ha travolto i gesuiti in Bolivia per una serie impressionante di abusi, in questo caso spesso su minori. I due episodi riguardano l’ordine religioso fondato da sant’Ignazio di Loyola, ma sono assenti nell’ultimo rapporto interno sulla sua attuale condizione (de statu Societatis).

Impegnativo e molto diffuso, il rapporto dei gesuiti sottolinea sì l’urgente necessità di proteggere i minori e i vulnerabili, senza però fare il minimo cenno – afferma il rettore dell’università uruguaiana – alle coperture degli abusi e alle responsabilità dei superiori. «La reputazione della Compagnia di Gesù si è vista molto colpita negli ultimi tempi»: eppure nel testo non c’è «nemmeno una parola» su come vivere e assumere questa situazione, riassume Fernández Techera.

Quanto ha fatto la conferenza dei vescovi di Francia è proprio quello che il gesuita lamenta mancare nel suo ordine. Tanto da definirlo affetto dalla «sindrome di Ruben». Un’immagine, ricavata dal quinto capitolo del libro biblico dei Giudici, che lo storico applica all’atteggiamento di chi si compiace nel parlare ma non risolve, e tanto meno agisce.

La critica di Fernández Techera investe lo stesso linguaggio ora in voga nel suo ordine: lo definisce con il neologismo «gesuito», spiegando con ironia che si tratta di «una lingua difficile dove le cose si dicono, ma in un modo abbastanza oscuro». Ma aggiunge più seriamente che la «tradizione intellettuale dei gesuiti si è persa» e che la Compagnia di Gesù è entrata «in un labirinto emotivo-spirituale da cui è difficile uscire». Perché – conclude – restiamo «nella crisi postconciliare e il fallimento delle visioni secolarizzatrici nella pastorale, catechesi e vita religiosa non ci ha insegnato nulla. Continuiamo come adolescenti a chiederci chi siamo».

Scandalo mondiale

Secondo lo storico gesuita si tratta insomma di un serio declino che riguarda il suo ordine. Il problema tuttavia è più generale. Lo scandalo infatti ha proporzioni mondiali e radici culturali di lunga data, come ha mostrato Lucetta Scaraffia nel recente Atti impuri (Laterza) e nell’introduzione storica di Agnus Dei (Solferino, scritto anche da Anna Foa e Franca Giansoldati), che è dedicato ai casi italiani raccolti dalla Rete L’Abuso diretta da Francesco Zanardi, una vittima. Ma, diversamente da Belgio, Germania, Francia, Svizzera, Portogallo e Spagna, l’Italia resta un’eccezione perché non vi è stata avviata alcuna indagine affidata a organismi indipendenti.

La crisi rivelata dagli abusi e dalla loro copertura è «sistemica», ha denunciato nel 2021 il cardinale Reinhard Marx, l’arcivescovo di Monaco e Frisinga, tra i più importanti esponenti del cattolicesimo in Germania, dove proprio i gesuiti (ma non solo) sono stati duramente segnati dallo scandalo. Per questo motivo il potente prelato ha presentato le sue dimissioni, che il papa ha respinto. Ma poi a sorpresa Marx non è stato riconfermato nel consiglio cardinalizio che aiuta il pontefice nel governo della chiesa.

© Riproduzione riservata