Alla base del concetto di amicizia troviamo il modello di una relazione sociale basata sulla reciprocità, su un’armonia fra le parti, su un impegno che ha anche una dimensione sociale. Una ragionevolezza. È un mattoncino che va a comporre una comunità naturale
Un uomo di trent’anni va a una cena a casa di amici. Durante la cena, una coppia annuncia l’arrivo di un figlio. L’uomo non prova felicità per la coppia, a dirla tutta non prova nulla. Vuoto emotivo. Questo nonostante si consideri un amico.
Non serve che ora spieghi i motivi di questa sua mancanza di emozioni, ipotizziamo per semplicità che siano ragioni filosofiche: l’uomo ha una visione negativa della riproduzione, pensa che avere figli sia una scelta discutibile (pessimismo, ragioni ecologiche, scarsa stima della specie umana, e così via). Il massimo che riesce a offrire alla coppia di amici è un’assenza di sentimento, che comunque è pur sempre meno brutale della riprovazione esplicita. Dal suo punto di vista, sta facendo uno sforzo.
L’uomo poi va su un social e racconta questo aneddoto. Viene travolto dalle critiche: non è possibile comportarsi così con gli amici, la loro felicità deve essere la tua, non importa cosa pensi, devi partecipare anche solo per un attimo al loro sentimento di gioia, perché l’amicizia è questo. L’uomo è malato di depressione (come sa chiunque segua il suo account), e simili critiche potrebbero non fargli molto bene, ma nonostante questo la tempesta di biasimo (traduzione elegante di shitstorm) non si ferma. L’argomento degli obblighi che abbiamo verso gli amici infiamma i cuori.
Cosa si richiede
Personalmente credo che ognuno abbia diritto di vivere i suoi sentimenti in modo libero, entro i limiti del rispetto e della buona educazione. Penso che l’amicizia, se è profonda e matura, debba permettere tutto questo. Non sto dicendo che l’uomo dell’aneddoto debba essere schietto, troverei assurdo che dicesse in faccia agli amici quello che pensa sull’aver figli. Nel momento dell’annuncio di una gravidanza, poi. Sarebbe inutilmente violento.
Ma scegliere di non fingere una felicità che non esiste, adottando invece un modo di fare quieto e misurato, mi appare come un buon compromesso fra le proprie necessità spirituali (non c’è niente di più angoscioso di un depresso che sorrida per finta) e il rispetto della situazione, della visione e dell’emotività degli altri.
Le persone che criticano l’uomo dell’aneddoto implicitamente stanno usando un’idea di tipo commerciale: l’amicizia come una sorta di contratto. Il contratto prevede che tu esprima felicità, e va onorato a prescindere dalle tue sensazioni, perché farlo è nella natura stessa della relazione amicale.
Hai le tue idee sulla riproduzione umana e ritieni di aver diritto alla tua serenità? Ma anche i tuoi amici hanno diritto alla loro serenità. Per loro è il momento dell’annuncio, un momento unico, speciale: cosa ti costa? Perché il tuo diritto di non mostrarti felice vale di più del loro diritto di vedere intorno persone felici? (Non invento nulla, le critiche contenevano analisi condotte con la bilancia di precisione).
L’impostazione appena descritta suggerisce un’idea di amicizia non nuova, che ha un suo fondamento e che non critico totalmente. Ma dirò che fornisce una verità parziale.
La reciprocità
Alla base del concetto di amicizia troviamo il modello di una relazione sociale basata sulla reciprocità, una relazione che non si fonda solo su un trasporto, su una passione o addirittura su un’ossessione, come può essere l’amore romantico, che nella sua purezza, e talvolta nella sua follia, appare meno transazionale (se l’amore ha legami formali con l’economia, ce li ha con l’esuberanza irrazionale dei mercati).
L’amicizia si fonda su un’armonia fra le parti, su un impegno che ha anche una dimensione sociale. Una ragionevolezza. È un mattoncino che va a comporre una comunità naturale. L’obiettivo non è solo il piacere immediato (di vedersi, di passare il tempo), ma è la costruzione di un rapporto di scambio durevole, che non cerca le scosse irrazionali. Un primo passo verso la collettività. E, fin qui, nulla di male.
Ma poi si va oltre. La reciprocità dell’amicizia non dovrebbe ridursi a un semplice scambio, per quanto armonioso e duraturo, ma dovrebbe contenere una generosità il cui obiettivo ultimo non è il rispetto di una lista di clausole. L’amicizia è dinamica.
Esiste una tensione tra l’obbligo morale di comportarsi in un certo modo (rispettando “il contratto”) e la volontà di farlo in modo davvero genuino, libero e disinteressato. Ci sono momenti in cui il fatto che lo scambio avvenga in modo perfetto non ha nessuna importanza, in realtà.
Ciò che rende preziosa un’amicizia non è il dono del sorriso e dell’entusiasmo dovuti, ma la costruzione, nel tempo, di un luogo sicuro per le parti coinvolte. Un luogo che possa accogliere, con pazienza, prima o poi, la verità.
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