- Giulio Paolini. A come Accademia è il titolo della mostra all’Accademia Nazionale di San Luca, Roma, dove l’artista ha realizzato una serie di nuovi lavori in rapporto con la sperimentazione precedente
- Quello che colpisce in A come Accademia è la rigorosa chiarezza, dove essa sta a significare il topos della “splendida immobilità”, uno stato di concentrazione in cui tutto è ancora possibile
- Il filo conduttore induce il visitatore a seguire un cammino mentale e introspettivo «quale cioè sia, sia stata o sarà, la “regola” sempre taciuta e tuttora attuale per concepire o osservare un’opera d’arte»
Giulio Paolini. A come Accademia è il titolo della mostra all’Accademia Nazionale di San Luca, Roma, dove l’artista ha realizzato una serie di nuovi lavori in rapporto con la sperimentazione precedente e lo dice lui stesso nel catalogo riccamente illustrato di Antonella Soldaini di cui ci avvaliamo come preziosa guida. La sequenza dei lavori è una rielaborazione di quelli che sono i topoi fondamentali del linguaggio di Paolini.
Quello che colpisce in A come Accademia è la rigorosa chiarezza, dove essa sta a significare il topos della “splendida immobilità”, tutt’altro che una condizione di stasi.
Al contrario la sua “fede antifuturista”, è uno stato mentale, un modo di approcciare la realtà, che fa leva su presupposti teorici profondamente diversi da quelli della cultura contemporanea. Per Paolini l’immobilità sta a indicare uno stato di massima concentrazione, dove tutto è ancora possibile.
Osservando le istallazioni esposte si percepisce l’esistenza di un filo conduttore che induce il visitatore a seguire un cammino mentale e introspettivo «quale cioè sia, sia stata o sarà, la “regola” sempre taciuta e tuttora attuale per concepire o osservare un’opera d’arte» (Paolini).
La visita negli spazi chiusi dell’Accademia è preceduta da un segno/opera si tratta di Al di là (2022), una bandiera installata sul balcone posto al centro della facciata del palazzo Carpegna sul cui tessuto è riprodotta l’effige di una musa colta nell’atto di lanciare alcune cornici nel cielo. Oggetti che Paolini ha utilizzato sin dagli anni Sessanta con Averroè. Nel caso della bandiera che sventola la prima domanda che ci si pone “al di là” di cosa?
Al di là è un’opera inevitabilmente legata al divenire temporale. Ci sono poi rivoli infiniti di frasi comuni che hanno incluse in sé la stessa preposizione utilizzata da Paolini. «Un Universo (di cornici) è sospeso nel cielo e sfugge al nostro sguardo» (Paolini).
L’interesse per il mito
Il passaggio nell’ambito della mostra di Paolini vera e propria si compie nel momento in cui si entra nella prima delle tre sale del pianterreno dove è allestita A come Accademia (I), 2022.
Nell’iconografia paoliniana, sin dagli anni Settanta, il cavalletto è un oggetto che ricorre spesso. Come la tavolozza dei colori, è uno strumento di lavoro da sempre utilizzato dagli artisti.
Ne Il poeta e il filosofo, dipinto del 1915 di Giorgio de Chirico, artista con cui Paolini condivide una forte affinità di pensiero, si vede un manichino che osserva, all’interno di una stanza, un quadro posto sopra un cavalletto raffigurante un cielo stellato. Una realtà che, dal punto di vista di de Chirico, e possiamo aggiungere anche da quello di Paolini, rimane avvolta nel mistero, mantenendo una sua autonomia a prescindere da chi la osserva.
Nel caso dell’opera di Paolini il cielo stellato di de Chirico lascia il posto ai frammenti di una figura tragica come quella di Sisifo protagonista del quadro di Tiziano, la cui riproduzione non è però poggiata sul cavalletto, ma è stata scomposta in tanti frammenti.
Come Sisifo, il suo mito ruota intorno al concetto di “caduta”. Entrambi, Sisifo e Icaro, trasmettono con le loro azioni un senso di disfatta: il Sisifo di A come Accademia trova idealmente un legame con il manichino e la statua di de Chirico.
Abituati da sempre ad associare l’inizio di tutta la produzione artistica di Paolini con il seminale Disegno geometrico, 1960, questa presenza costituisce una novità intrigante.
Grazie a Particolare dell’Atlantide scopriamo come, sin dall’inizio, tra gli interessi dell’artista, ci fossero i miti del passato. «Ero affascinato da Atlantide in quanto rappresentava per me qualcosa di irraggiungibile» (Paolini).
Il piano di lavoro costituisce il luogo dove l’artista si confronta con sé stesso, consapevole dei suoi limiti senza per questo potersi esimere dal mettersi ancora una volta alla prova.
Spettatori e autori
A come Accademia (I) poggia su una pedana quadrangolare che funge da base anche per le due opere A come Accademia (II), 2022, e A come Accademia (III), 2022, presenti nella seconda e nella terza sala del pianterreno dell’Accademia.
Nel caso di A come Accademia (II), per via della presenza dei frammenti posti al centro della sala, la situazione diventa quanto mai complessa e intricata in quanto siamo nell’ambito della dimensione del doppio e della metà dove quello che manca è l’unità, la figura intera. Uno degli esempi più eclatanti e visivamente di forte impatto è Selinunte, 1977. I calchi in gesso di Paolini presenti a Roma si pongono in dialogo con quelli di Antonio Canova, esposti in modo permanente nel corridoio del terzo piano dell’Accademia.
Nella terza e ultima sala del pianterreno è allestito A come Accademia (III). Lo scenario è composto da una serie di parallelepipedi che ospitano, sopra e attorno, un calco in gesso della Venere di Fidia.
Inserendo un cavalletto o la tavolozza dei colori o altri oggetti, o includendo alcuni soggetti come modelle, assistenti o committenti, gli artisti che hanno rappresentato il proprio spazio di lavoro hanno inteso trasmettere non tanto una veduta del luogo in sé, ma piuttosto l’idea che hanno di sé stessi. Anche nel caso di A come Accademia (III) Paolini assembla una serie di elementi in modo da lasciare alcune tracce.
L’installazione nasce come rinnovata versione di Expositio, 2019-20. Qui gli elementi lasciano capire di essere davanti a un “luogo eletto”. A come Accademia (III) rimanda quindi a un contesto più intimo di quello di Expositio.
A come Accademia (III) rimane quella forse la più ermetica. Per Paolini l’arte rimane nell’alveo dell’inconoscibile.
In un testo del 2006 intitolato Nella stanza è Paolini stesso a indicarci l’impossibilità di trovare una risposta univoca alle domande che ci poniamo al cospetto delle opere: quale? Dov’è? E l’ospite, chi è? Se lo spettatore è ospite del museo, l’autore è ospite dell’opera.
Cadute ed equilibri
Uscendo dalla terza sala e percorrendo il porticato introducono la scala elicoidale di Francesco Borromini, il visitatore si troverà a contatto visivo con una statua femminile in gesso, questa volta ritratta nella sua interezza e facente parte di In cornice, 2022.
Un altro insieme di cornici contraddistingue Villa Romana, 1996 poste a imbrigliare il modello in gesso dell’obelisco di Villa Medici a Roma, dove l’opera è esposta.
Salendo al primo piano è installato l’ultimo lavoro pensato dall’artista per questa mostra: Voyager (V), 1989-2023.
Lo stesso Paolini ha utilizzato in diverse occasioni figure che si trovano a interagire tra cielo e terra. Avviene in Place des Martyrs, 1982-83, dove ciò che rimane a rappresentare l’autore, come fosse precipitato dal cielo.
Venere (Vergine, Vertigine...), 2003 ci sono una serie di telai, sospesi tra soffitto e pavimento appaiono come franare uno sopra l’altro in uno spettacolare e disastroso crollo.
È, però, in un lavoro del 2018-19 che si racchiude il senso più profondo che Paolini assegna all’idea di caduta: in Caduta libera (suicida felice), al centro della composizione, si trova la figura di un acrobata, alter-ego dell’autore/artista, ancora una volta ritratto a testa in giù.
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