Una mostra mobile dell’Arci, 17 autori per raccontare le strategie visive e narrative di autorappresentazione della lotta infinita di un intero popolo per l’autodeterminazione
Tutti noi assistiamo inermi al massacro in atto in Palestina. Sono mesi che manifestiamo, ci indigniamo, lanciamo raccolte fondi a sostegno della popolazione palestinese, guardiamo reel sui social media che sembrano provenire da film horror, da scenari apocalittici. I media raccontano in buona parte in maniera distorta e parziale il massacro in atto, contribuiscono a creare le condizioni per reprimere o colpevolizzare il dissenso, le accuse di antisemitismo, a snobbare ogni iniziativa di boicottaggio.
Per fare un esempio, alla Biennale di Arte di Venezia che ha inaugurato in questi giorni, il controverso padiglione israeliano (chiuso dai curatori per tacere le polemiche «sino a che non sarà pattuito un cessate il fuoco e non saranno liberati gli ostaggi») presenta un progetto incentrato sulla fertilità, nel momento in cui lo stato israeliano (committente istituzionale del padiglione) è responsabile dell’uccisione di più di 12mila bambini, come denuncia Art Not Genocide Alliance. Le arti vivono in un contesto extraterritoriale e non risentono dunque della realtà? No, non è così.
Ce lo ha ricordato Jonathan Glazer nel discorso alla cerimonia degli Oscar, descrivendo gli intenti e le ragioni alla base del suo film La zona d’interesse: «Tutte le nostre scelte sono state fatte per riflettere e confrontarci con il presente».
Le arti costruiscono ponti dell’immaginario, ma se si fondano sulla menzogna e sul tradimento dell’umano e del naturale diventano decorazione e orpello del potere. Proprio per decostruire la rappresentazione che in questi mesi i media hanno costruito, come Arci nazionale abbiamo lanciato a dicembre 2023 la campagna politico-culturale Con altri occhi. Un dispositivo mobile, un contenitore di proposte culturali, reportage, autori, mostre e film per raccontare la storia, la cultura del popolo palestinese, le identità di una battaglia per la sopravvivenza, per una terra, per il riconoscimento di uno Stato e dei diritti fondamentali per un popolo. La campagna ha generato decine di iniziative nei circoli Arci, negli spazi pubblici. È partita per un lungo tour, proprio in questi giorni, una mostra che mette insieme diciassette illustratori da diversi paesi da Italia, Tunisia, Libano, Algeria e Malesia, a cura di Librimmaginari, progetto di promozione del libro illustrato di Arci Viterbo e con Marcella Brancaforte.
La mostra è un viaggio nella cultura palestinese, nelle identità, nei volti e nelle tradizioni popolari, nella letteratura e nell’artigianato; racconta di ulivi, di sradicamenti, di elementi del paesaggio culturale, umano, sociale palestinese. Racconta inoltre le strategie visive e narrative, l’autorappresentazione che i palestinesi hanno definito nella loro lotta infinita per l’autodeterminazione. Una identità divergente, sradicata e diasporica che viene raccontata
anche da autori che vivono in Libano, in Nordafrica, come causa comune del mondo arabo. Tutto questo dopo il feroce attacco di Hamas del 7 Ottobre è diventato indicibile nel mondo occidentale, ed è ormai patrimonio dei soli media indipendenti, e di organizzazioni che chiedono il cessate il fuoco, una pace giusta.
«Perché la rabbia – persino la rabbia – è un lusso per me?», scrive Mohammad El Kurd, giovane attivista e poeta nel suo libro Rifqa. Le immagini descrivono un paesaggio da una parte simbolico e identitario (il cactus, le arance di Jaffa), dall’altra emblema di sradicamento, devastazione. Ne è un esempio l’albero di ulivo che nel disegno di Jana Traboulsi viene abbattuto: il massacro è tale non solo perché annienta le persone e cancella per sempre migliaia di futuri, ma anche perché distrugge le radici, la storia, le identità, le biblioteche, gli archivi pubblici.
È la storia di un presente che stanno raccontando sulle proprie pagine Instagram tanti artisti e illustratori del mondo arabo, come Mazen Kerbaj e proprio Jana Traboulsi. Lilia Benbelaid invece, nelle sue affastellate trame urbane, descrive l’abitare temporaneo e informale dei campi profughi di Sabra e Chatila, in cui una chiave (altro elemento simbolo del “diritto al ritorno”) si libra nell’aria come una speranza a cui ancorarsi per oltrepassare il filo spinato.
La mostra sarà esposta in un primo tour nei circoli Arci di Firenze, Viterbo, L’Aquila, Pescara, Ravenna, Terni e a Prato per il Festival Sabir fino al 20 aprile.
Per info: https://www.arci.it/palestina-con-altri-occhi/
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