- Mahsa Amini, la studentessa 22 enne è deceduta sotto la custodia della polizia morale perché non indossava correttamente lo hijab, il nodo stretto al collo era allentato, lasciando cosi scoperte alcune ciocche di capelli.
- Le donne sono scese in piazza e bruciano lo hijab, guardandole mi viene in mente la marcia delle Donne su Versailles e le tessitrici di Torshilovo che sfilarono sulla Prospettiva Nevsky, le grandi rivoluzioni spesso iniziano dalle donne, vorrei che fosse cosi anche questa volta.
- Mi stupisco dell’indifferenza dell’opinione pubblica verso la repressione in Iran a livello internazionale, ma fuori da ogni considerazione di natura geopolitica, ammetto a malincuore che le donne iraniane non hanno sorelle.
C’è qualcosa che colpisce profondamente vedendo le foto e i video delle donne iraniane che si tagliano i capelli. In quel gesto, in quelle mani che tengono le forbici, non si legge soltanto la protesta ma qualcosa di più profondo ed estremamente doloroso.
Piuttosto che nascondere il mio essere donna io lo uccido, uccido la femminilità che disturba e così mi sottraggo al potere togliendo la materia da contendere.
Mahsa Amini, la studentessa 22 enne è deceduta sotto la custodia della polizia morale perché non indossava correttamente lo hijab, il nodo stretto al collo era allentato, lasciando cosi scoperte alcune ciocche di capelli.
Le donne sono scese in piazza e bruciano lo hijab, guardandole mi viene in mente la marcia delle Donne su Versailles e le tessitrici di Torshilovo che sfilarono sulla Prospettiva Nevsky, le grandi rivoluzioni spesso iniziano dalle donne, vorrei che fosse cosi anche questa volta.
Proprio quest’estate ho visitato il Campo di Ashraf 3 in Albania dove vive in esilio dal 2016 il gruppo d’opposizione iraniana Mujahedin-e Khalq (MEK). Fu trasferito lì dopo la chiusura di Camp Ashraf a Baghdad perché nessun altro paese del mondo li aveva accettati.
Nel 1979 il MeK partecipava alla rivoluzione guidata da Khomeini, ma la sua ideologia, un mix di femminismo e islamismo, non era in linea con quella dell’Ayatollah, così sono diventati oppositori. Sono all’incirca 3500 persone ad abitarci, donne e uomini, ma il commando dell’organizzazione è tutta al femminile.
Mi ha stupita una cosa, durante il loro racconto. Il modo in cui parlavano dell’Iran prima della rivoluzione iraniana, prima che Khomeini imponesse il governo fondato sul velayat-e-faqih, la tutela del diritto islamico, prima che assumesse il ruolo di guida suprema, con il compito principale, a quanto sembra, di rieducare le donne.
La dinastia dei Pahlavi durata dal 1929 al 1979 aveva cercato di modernizzare il paese e le donne avevano beneficiato delle sue riforme, nel 1926 aveva bandito il velo e aperto loro le università e dopo la “rivoluzione bianca” del 1963 avevano ottenuto anche il diritto di voto.
Bisogna dire che la condizione femminile era molto più avanti persino di tanti paesi occidentali di quell’epoca. Se ne parla molto poco di quel periodo, penso per ovvi motivi ideologici non sia facile ammettere che una monarchia conservatrice fosse così libera e illuminante.
Le donne con le quali ho parlato appartengono al MEK, si oppongono al regime oggi ed erano anche oppositori dello Shah, ma ciò non impedisce loro la giusta narrazione di quanto accaduto, si tratta di capire cosa sia realmente successo.
In questo momento l’occidente non può non provare un certo imbarazzo parlando di quel periodo soprattutto perché quella rivoluzione fu sostenuta dalle democrazie occidentali e purtroppo le cose non sono andate come si pensava.
Senza sorelle
Le proteste si sono allargate in diverse città, donne e uomini manifestano insieme e l’Iran blocca i social media cercando di fermarle. Le piazze continuano a riempirsi e la mobilitazione è soprattutto giovanile.
Invece, “niente di nuovo sul fronte occidentale” (per citare il titolo di un grande romanzo). I movimenti femministi e progressisti di tutto il mondo tacciono.
Appartengo alla generazione dell’indignazione, quando ero giovane si scendeva in piazza con i cartelli in mano a protestare, oggi sto a casa.
Le nuove generazioni delle femministe si indignano sui social. Non dico che le giovani sorelle femministe avrebbero dovuto tagliarsi i capelli su Instagram e Facebook in segno di solidarietà, ma un segnale, uno qualunque, me lo sarei aspettata. Le donne iraniane sono lasciate completamente sole a combattere la loro battaglia.
Esiste forse una graduatoria nelle battaglie dei movimenti femministi, e se sì in base a cosa si sceglie?
In base a ciò che ci tocca da vicino. E l’Iran è cosi lontano. Ma anche l’America è lontana e noi in piazza per il loro diritto d’aborto siamo scese e i social per mesi hanno lottato a suon di cancelletti per il corpo delle donne americane.
Mi stupisco dell’indifferenza dell’opinione pubblica verso la repressione in Iran a livello internazionale, capisco che sia difficile se non impossibile in questo momento contrastare il potere reazionario della Repubblica Islamica di Khomeini ma fuori da ogni considerazione di natura geopolitica, ammetto a malincuore che le donne iraniane non hanno sorelle. E penso con nostalgia a Oriana Fallaci quando nel 1979 alla fine dell’incontro acceso con Khomeini si tolse il velo e lo buttò per terra e l’Ayatollah si alzò, scavalcò il chador e sparì dietro la porta.
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