Le lotte di potere sono più aspre là dove la posta in gioco è bassa. Questo concetto ha numerose formulazioni, e richiama la “Legge di Sayre”: l’idea che nelle dispute l’intensità del sentimento (e dunque la violenza della lotta) sia inversamente proporzionale al valore di quel che si cerca di ottenere in caso di vittoria, o addirittura al valore dell’argomento trattato.

Sotterranee 

Qualche anno fa (perdonate il riferimento personale) scrissi un romanzo ambientato nel mondo della finanza, e usai questo concetto. Mi interessava mostrare come nei contesti dove girano molti soldi (la posta in gioco in quel caso) le lotte sono in realtà sotterranee. Feroci, ma con uso di guanti bianchi. Chi non è abituato a quegli ambienti può provare la sensazione che le lotte non stiano avendo luogo. Che tutti siano tranquilli. Ma le lotte stanno avendo luogo, eccome. Solo che, siccome la posta in gioco è alta e ben visibile, non ci si sporca (nessuno andrebbe mai a esporre quei conflitti in pubblico, fra l’altro.)

Viceversa, in altri ambienti la lotta può essere molto sanguinaria e esplicita, anche se poi il premio in palio non è subito evidente. Un’ipotetica persona abituata alle lotte con i guanti bianchi, catapultata nel mondo sanguinario, non capirebbe come mai le persone si stiano strappando i capelli vicendevolmente. Un buon esempio di contesto in cui si osserva questa legge del potere sono gli ambienti accademici, dove, su questo di norma c’è consenso, le lotte sono asperrime. Lo sono, in generale, negli ambienti culturali.

Sarebbe sbagliato però pensare che stiamo parlando di “guerra fra poveri”. Quest’ultima è diversa, riguarda il fatto che le persone in condizioni di svantaggio economico lottano per avere un pezzo di pane. Una situazione terrificante, eppure razionale nel suo orrore: il pezzo di pane sarà poco per chi non ha problemi economici, ma per chi li ha è tanto, è una posta in gioco elevatissima. La guerra fra poveri non ha molto a che fare con le persone che in un ambiente (accademico, culturale) si fanno la guerra (al calduccio).

Queste persone non sono neanche necessariamente povere (lo sono in qualche caso, ma non nella maggioranza, spesso chi si occupa di questioni intellettuali ha anche altre forme di reddito o addirittura privilegi economici). Non lottano per il pane, ma per un potere che potremmo definire ineffabile. La posta in gioco, più che bassa, forse, semplicemente non è misurabile. Potrei riformulare questa legge del potere come segue: se la lotta è visibile, il premio è invisibile, se la lotta è invisibile, il premio è visibile.

Le ragioni 

Possiamo pensare a varie ragioni per cui le lotte per il premio invisibile sono più violente. L’inflazione dell’ego: quando le questioni in gioco non hanno un valore facilmente misurabile, i partecipanti percepiscono l’arena come un luogo in cui l’ego ha maggiore libertà di esprimersi. La discussione spesso si sposta dal merito alla volontà di “dimostrare chi ha ragione”. Una lotta fra identità. La posta in gioco non è più il valore dell’argomento trattato, e questo rende il conflitto più emotivo.

Poi c’è un effetto legato alla natura delle conseguenze. Quando le questioni non hanno un peso pratico e materiale, il costo del conflitto è a sua volta difficile da stimare. Questo può portare le persone a investire più energia emotiva, sapendo, sotto sotto, che non ci saranno ripercussioni materiali gravi, e soprattutto ipotizzando di poter sopravvivere alle ripercussioni immateriali. In contesti dove le decisioni hanno invece conseguenze più brutali, le persone tendono a essere più misurate e strategiche.

I conflitti in certi ambienti hanno poi talvolta una natura tribale. Qui le dinamiche di appartenenza a un gruppo o una fazione possono esasperare le tensioni. Le questioni minori diventano subito simboliche, vanno a rappresentare qualcosa di più grande (l’identità, il rispetto, varie forme di incolumità psicologica).

Un altro aspetto è che le persone tendono a buttarsi con foga nei conflitti che ritengono gestibili: l’illusione che una lotta con la posta in gioco ineffabile sia più gestibile di una con la posta in gioco fatta di milioni di euro. Non è per forza così.

L’aspetto assunto da certe lotte sembra riflettere uno scarso rispetto di fondo che i partecipanti hanno per il loro stesso ambiente. Perciò non penso che la riflessione che ho appena sviluppato, certo piena di lacune, possa essere criticata dicendo che sminuisce gli ambienti, o li ridicolizza. Anzi, forse è attraverso questo tipo di riflessione (è solo uno spunto) che si recupera il senso delle cose che si fanno.

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