Dove vanno tutti gli innamorati infelici del mondo? Dove fuggono quando l’amore finisce? In un vecchio romanzo di Jean Echenoz, il cinquantenne Felix Ferrer lascia la moglie e parte per il Polo Nord. È mattina, lei è ancora nel letto quando lui l’avverte con le tre parole del titolo, Me ne vado.

A spingerlo tra i ghiacciai sarebbe un tesoro di età arcaica nascosto in un vascello fantasma arenatosi secoli prima su una banchisa. Un’ottima scusa per andarsene di casa, ben più convincente del solito pacchetto di sigarette.

E gli altri, sotto quale cielo cercano riparo? Nel breve romanzo di D. H. Lawrence, La donna che fuggì a cavallo, una donna, una mattina qualunque, indossato un abito di lino grezzo e una gonna sopra i pantaloni, scappa lasciandosi alle spalle il marito che la adora e i loro due figli. Vuole raggiungere le montagne dove si dice che viva la tribù sacra che discende dagli antichi re aztechi.

E quando finalmente la donna li incontra, questi non dimostrano granché voglia di fare conversazione: la portano in una grande camera buia, la svestono, la lavano con un infuso di agave, la sdraiano su una lettiga e infine la portano sulla roccia più alta. Qui due coltelli di selce attendo i primi raggi del sole per officiare il rito mortale.

Teatro, 1997, acquerello e inchiostro su carta

«La solitudine si fa»

Ora, al Polo Nord e alla montagna sacra degli aztechi si aggiunge una nuova meta per gli innamorati infelici che vogliano scomparire: la pampa, la pianura dell’America meridionale vasta 740 chilometri quadri.

Nel nuovo romanzo dello scrittore argentino Federico Falco, Le pianure, pubblicato in questi giorni da Sur e tradotto da Maria Nicola, il protagonista, quando il suo compagno gli dà in benservito, sceglie di abbandonare Buenos Aires e di trasferirsi in una casa immersa nelle smisurate praterie del paese.

Federico trascorre lì un anno. Quattro stagioni in mezzo alla natura. Una vita solitaria e laboriosa, perché la solitudine non si trova, come scrive Marguerite Duras, «la solitudine si fa». E Federico fa, dall’alba al tramonto, instancabilmente.

Semina, annaffia, vanga, e vangare la terra lo tiene così occupato da non poter rivangare i ricordi più felici con Ciro. Cura le piante e accudisce le pulcine che ha acquistato al mercato perché un giorno depongano le uova. È arrivato lì, in mezzo agli eucalipti e ai canneti, ai cipressi e alle agavi, per imparare ad aspettare che il tempo passi.

È come se nella pampa Federico implorasse un’educazione sentimentale alla natura selvaggia che lo circonda: e sarà un fiore a impartirgliela, o magari un uccello di cui ancora non conosce il nome o saranno invece quelle piumette dei cardi, che volano nell’aria gli ultimi giorni d’estate, a insegnargli come allontanare il dolore?

Federico Falco ha scritto un romanzo che ha il romanticismo dolcemente appannato degli amori finiti.

Awumbuk

La tribù baining, che vive sulle montagne della Papua Nuova Guinea, ha coniato un nome per definire il senso di vuoto, la mesta foschia, che appesta una casa dopo che una persona se n’è andata: la parola è awumbuk.

I baining credono che chi va via lasci dietro di sé un intontimento che ristagna per tre giorni. Così chi rimane ha questo rituale: riempie una ciotola d’acqua e la posa in terra, per una notte, nel centro esatto dell’abitazione.

La mattina quell’acqua viene poi rovesciata tra gli alberi. Federico, invece, reagisce all’addio del compagno, andando via dalla sua città, mollando i corsi di scrittura con cui fino a quel momento si era mantenuto – tornerà un giorno a scrivere? – e prendendo in affitto una casa nella pampa.

Vivrà nella pampa e vivrà di ciò che la pampa gli darà. Dissoda, trapianta, scava. Si sveglia presto, e spesso con gli stivali di gomma ai piedi. Non si ferma un momento, non si concede mai una tregua perché in qualunque interruzione potrebbe essere assalito dal fantasma dai ricordi.

Il paesaggio naturale è l’unico specchio che ha a disposizione, e non vuole che rifletta il volto di chi l’ha lasciato.

Formazione delle nuvole,1997, acquerello e inchiostro su carta

Rehab amoroso

Pablo del Valle, nel romanzo I detective selvaggi di Roberto Bolaño, raccontava così, alla Fiera del libro di Madrid nel luglio 1994, la relazione finita con una ragazza che di mestiere faceva la postina: «Se fossi meno sensibile, sicuramente non mi ricorderei nemmeno più di lei. A volte ho addirittura voglia di telefonarle, di seguirla nelle sue consegne quotidiane, e di vederla, per la prima volta lavorare. A volte ho voglia di darle appuntamento in qualche bar del suo quartiere che non è più il mio e di chiederle della sua vita: se ha già un nuovo amante, se ha consegnato qualche lettera proveniente dalla Malesia o dalla Tanzania. Ma non lo faccio. Mi accontento di sentire i suoi passi, sempre più deboli. Mi accontento di pensare all’immensità dell’Universo». Anche Federico, da solo, nella pampa, sente i passi sempre più deboli di Ciro e al contempo percepisce tutta l’immensità dell’universo: del resto è anche lui un sentimentale.

Come reagire alla separazione d’amore è un mistero che va da Didone, la regina di Cartagine, che si toglie la vita perché «rosa dal dispetto quando si avvede che il compagno la respinge», al protagonista del buffo romanzo di Christian Oster, Lontano da Odile, che per farla finita con la ragazza che l’ha lasciato dà il suo nome alla mosca che gli infesta casa per poi rincorrerla con il giornale in mano.

Igor A. Caruso, psicologo e psicanalista austriaco, nel saggio La separazione degli amanti scriveva: «La tragedia greca finiva con la distruzione degli amanti. I morti hanno compiuto la loro opera: avere amato, essere amati. L’eroe della tragedia della separazione non può piacevolmente riposarsi in montagna. Ofelia non si riprende in montagna, Isotta non trascorre una piacevole vacanza».

E se invece un infelice si trasferisse nella pampa per dimenticare un amore finito? Se i cespugli di spiree e le zucche, gli alberi dei rosari e i pioppi, gli olmi e le palme, diventassero anzi l’habitat privilegiato e più adatto per un rehab amoroso?

Iniziare di nuovo

In un altro romanzo argentino pubblicato da Sur, Domani avremo altri nomi, il suo autore, Patricio Pron definiva l’amore «un cruciverba creato da uno stupido e completato da un idiota». Federico ha deciso di trasferirsi nella pampa perché non vuole avere il tempo di fare congetture su quel maledetto cruciverba. Altrimenti potrebbe domandarsi: perché Ciro ha deciso di lasciarmi? Perché non mi ama più? Si è forse innamorato di un altro uomo? Ciro è veramente precipitato in quella «perdita intelligente, di qualunque senso dell’orientamento, di qualunque presunto sistema di valori, che conta più del fatto di sentirsi felici sull’istante», come definisce il tradimento Tim Parks? No, Ciro non ha nessun amante, è che per lui quella relazione è finita, ed è finita da tempo.

Osservando il terreno gelato d’inverno, preparando con canne e spago i sostegni su cui far crescere i fagiolini, occupandosi della trebbiatura e della semina,  e perdendosi nella stupefazione per il cielo infinito d’estate, Federico vive pienamente il tempo della natura e lo asseconda come un servo felice. E l’ora della siesta è la sua unica ora di libertà.

Ma è davvero finita tra lui e Ciro? O un giorno, magari vicino, magari lontano, i due uomini si rimetteranno insieme? Potrà mai succdere? In un’intervista concessa a Stig Bjorkman, Woody Allen ammise di aver riflettuto sull’opportunità di scrivere un seguito di Io e Annie. Ci pensò su seriamente: «Diane Keaton e io ci incontriamo ora che siamo più vecchi di circa vent’anni, e potrebbe essere interessante, dal momento che ci siamo lasciati, incontrarci un giorno e vedere come sono diventate le nostre vite».

E se anche la storia tra Federico e Ciro, che pure ha dato l’impressione di essere finita una volta per sempre, dovesse iniziare di nuovo? Federico ci pensa, ci rimugina, si arrovella. Qualche volta non resiste alla tentazione telefona a Ciro. Desidera sentirne la voce. Vuole provare a capire, vuole illudersi. Per sua fortuna, poi, però, si ricorda che c’è da dar da mangiare alle galline, che dopo diversi giorni di pioggia può finalmente mettere in naso fuori di casa e ci sono le biete e la rucola da raccogliere, che la stufa è da accendere, e che le zinnie anche questa primavera stanno per fiorire.

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