- La pubblicità non sembra essersi accorta che il mondo è cambiato. Il digitale ha reso lo spettatore un altro tipo di soggetto rispetto ai tempi di Carosello, ma sembra che di questo non vi sia contezza.
- In questi mesi di pandemia abbiamo assistito e siamo ancora immersi nella più tragica sdolcinatura collettiva che si ricordi: la quasi totalità delle marche parte dal Covid per sottolineare quanto loro stiano pensando a te.
- Il linguaggio pubblicitario ai tempi del digitale non ha fatto nemmeno mezzo passo avanti verso una salvezza semantica accettabile, anzi, se possibile, col Covid è tornato indietro.
Tra le varie assurdità nella comunicazione del nostro tempo, ce n’è una che sembra oramai evidente e ancora più ingombrante nella triste contingenza della pandemia che stiamo, speriamo, attraversando, per altro durante il festival principale delle proposte commerciali, che ogni anno è il Natale.
La pubblicità, specie quella televisiva ma non solo, non sembra essersi accorta che il mondo è cambiato. Il digitale ha reso lo spettatore un altro tipo di soggetto rispetto ai tempi di Carosello. Come è notissimo quasi a tutti, il digitale ha aperto il secondo canale di conversazione elevando il target a interlocutore senziente e spesso colmo di pretese in merito a risposte pronte e coerenti dalle marche che sceglie o che vuole scegliere. Ma appunto, nel mondo della pubblicità sembra che di questo non vi sia contezza.
Alcune pressioni pubblicitarie televisive, alle quali sottendono investimenti in ideazione, produzione e acquisto degli spazi, sembrano addirittura essere troppo forti, se non banali nella proposta. Che il cacao della cioccolata Novi venga dall’Equador direi che gli spettatori de La7 a questo punto se ne dovrebbero essere accorti. Così come che le Banche le Assicurazioni guardino avanti per noi, al punto, in qualche caso, di prevedere il futuro.
Il testimonial di Unipol schiva magicamente un pezzo di lampione che crolla parcheggiando altrove, o si ferma inspiegabilmente in mezzo alla strada per non investire uno svampito pedone che di lì a poco attraverserà la strada fiducioso delle doti di vaticinio di chi è assicurato con quella marca.
Che siano tutti accanto a noi, intorno a noi, che ci mettano al centro dei loro pensieri, anche di questo dovrebbe esserci contezza diffusa. Ma la singola espressione più sfruttata dalla fantasia dei nostri creativi, la più falsa e iperbolica, fraudolenta e ridicola è senza dubbio “da sempre”.
Perfino il proprietario della Valsoia che presiede meritoriamente da molti anni l’UPA, l’organismo che associa i maggiori investitori pubblicitari italiani, il pur competente e serio Lorenzo Sassoli de Bianchi, fa dire alla sua azienda che è sostenibile “da sempre”.
Covid e festival dell’ovvio
In questi mesi di pandemia, di consumi contratti o spostati su canali digitali, abbiamo assistito e siamo ancora immersi nella più tragica sdolcinatura collettiva che si ricordi. La quasi totalità delle marche parte dal Covid per sottolineare quanto loro stiano pensando a te, stanno facendo tutto per te, hanno te nel cuore e nel cervello, e quindi di loro ci si può fidare e affidare ad occhi chiusi. E mentre per i prodotti alla fine c’è sempre una salvezza possibile, esponendo direttamente quello che si vuole vendere e parlando dei suoi pregi, per i servizi la tragedia è sempre dietro l’angolo.
Alcune belle perle si trovano guardando i giornali e leggendo quelle che tecnicamente si chiamano body copy, i testi a cui nella pagina pubblicitaria è affidato lo spiegone del servizio o prodotto offerto. E qui è tutto un profluvio di crescita, sostenibilità, innovazione, digitale, 4.0, affinché i nostri clienti abbiano “un futuro da protagonisti”, per “mettere al servizio del Paese tecnologie e competenze”.
Ma in generale sembra non esserci modo di sfuggire al festival dell’ovvio. Il camaleonte di Mediaset aggrappato a un’astronave con tanto di casco ci informa del cambiamento: le trasmissioni del Gruppo sono visibili via satellite, per la marca di supermercati Carrefour il nostro risparmio è la loro priorità, per la Fanta bisogna essere “un idiota” e dimostrarlo al mondo intero tuffandoci nella neve in costume da bagno come fosse una piscina o travestendoci da giraffa per stupire i malcapitati, le rughe spariscono davanti alla telecamera usando creme miracolose, anche se nessun cosmetico ha mai più raggiunto la vetta della crema che di notte scioglie la cellulite mentre dormi (anche dalle mani che la spalmano?).
I denti si puliscono miracolosamente con collutori o spazzolini elettrici (“Go electric”), e poi c’è il Natale! E qui giù vagonate di doppi sensi su Babbo Natale che quest’anno proprio non può arrivare perché c’è il lockdown, ma ci pensano cioccolatini giocattoli e varie delizie a sostituirlo, o la Coca Cola che manda il papà al polo nord per consegnare la lettera della figlia a Santa Claus in persona, nonostante la geniale scelta fatta negli anni ’30 di tingerlo di rosso per esigenze di brand, appropriandosi imperituramente del mito del barbuto vecchietto. Molti sostengono che non fosse così, che la versione rossa e bianca circolasse già, e che quindi non fu che una scelta di affinità con i colori di marca, quella sì, geniale.
Per vendere porte, Scrigno dichiara di essere aperta alle idee, alle emozioni e alla vita, per i supermercati Crai ognuno di noi ha un sapore speciale, Credem costruisce la sua sorprendente storia sull’acutissimo gioco di parole per cui “lei crede, lui crede, noi Credem”, Brondi che spaccia telefoni per nonni con grandi tasti e suoni micidiali a prova di orecchie stanche, non riesce a rinunciare al temibile claim “Brondi, chi parla”, quelli del Gruppo Cassa Centrale del Credito Cooperativo Italiano si dichiarano “da sempre vicini alle persone e alle imprese italiane” mentre Bper scolpisce che “da 150 anni parliamo la lingua dei nostri clienti”. Banca Mediolanum ti invita a scegliere il tuo consulente finanziario “tra chi è consulente...” indovinate? Esatto: “… da sempre”! mentre BNL la butta sul futuro e promette “saremo sempre al tuo fianco”, intendendo evidentemente che lo erano già, ovviamente anche loro “da sempre”.
Da target a interlocutore
C’è da supporre che questo atteggiamento commerciale stia dando o abbia dato i suoi frutti. Altrimenti non si capirebbe come mai l’appiattimento su questa melassa sia pressocché totale. Il linguaggio pubblicitario ai tempi del digitale non ha fatto nemmeno mezzo passo avanti verso una salvezza semantica accettabile, anzi, se possibile col Covid è tornato indietro.
Proprio mentre il consumatore-cittadino-cliente-spettatore-lettore-elettore ha aderito con indomita fiducia ai canali digitali, penalizzando l’informazione istituzionale e credibile e un po’ di altre cose, nessuno tra coloro che governano il mercato pubblicitario e gli investimenti delle imprese sembra aver capito che il più importante cambiamento operato da questa rivoluzione sta proprio lì, nel fatto che quello che prima era il target, la nostra vittima, tipicamente molto studiato in tutte le analisi di marketing che precedono il lancio di una campagna pubblicitaria, si è trasformato in un signore che vuole parlare con noi. Prima o poi il conto arriverà.
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