In altri territori le azioni più efferate furono compiute principalmente dai tedeschi, in questo caso sono stati gli italiani ad agire direttamente e autonomamente per le brutalità maggiori. Le vittime furono soprattutto civili, colpiti e umiliati in ogni maniera. Sono episodi che ci raccontano la peculiarità del territorio in oggetto e smontano due narrazioni tossiche: il mito “dell’italiano brava gente” e dei fascisti di Salò “patrioti”, entrambi falsi.
Ci stiamo avvicinando alle commemorazioni per la strage di Monte Sole, anche quest’anno celebrate ai massimi livelli istituzionali nazionali ed europei, e da poco sono avvenute le celebrazioni – non senza polemiche – per Sant’Anna di Stazzema e Piazzale Loreto. Durante queste ricorrenze, ormai come consuetudine, i rappresentanti di questo governo hanno omesso dai discorsi pubblici le responsabilità nostrane, quelle dei fascisti di Salò, che in queste stragi furono spesso o fattore d’attivazione o peggio di radicalizzazione delle guerra ai civili.
Le stragi nazifasciste per tanti anni sono state ai margini sia della storiografia sia del dibattito pubblico, derubricate, come spesso capita ancora oggi a questi fatti, a effetti collaterali inevitabili nelle guerre, e quindi al di là del cordoglio nel momento della ricorrenza considerate poco interessanti, se non foriere di accese polemiche.
Grazie al lavoro degli storici e di tanti sopravvissuti e volontari, ma anche a quello di numerosi altri professionisti come letterati, filosofi, artisti, ormai da tempo questa non è più la sorte di tali orrendi crimini: infatti se questi eventi vengono sottratti dal calderone delle violenze di guerra, ma vengono analizzati singolarmente, ecco che scaturisce il loro senso storico e politico, che è tutt’altro che scontato, soprattutto in questi tempi dove gli scivolamenti verso la banalizzazione sono insistenti.
Maggiormente, a giusta ragione, si è parlato delle stragi toscane, quelle sull’Appennino emiliano, di Boves e delle Fosse Ardeatine, e di recente anche quelle del Sud Italia, Pietrasantieri, Acerra tra le tante.
Un’area che non ha avuto la giusta visibilità pare quella della Linea Gotica orientale, ovvero quella macro area che si trova a cavallo fra tre regioni, Romagna, Marche e Toscana, e oggi quattro province, Arezzo, Forlì-Cesena, Pesaro e Rimini. Questo cono d’ombra è avvenuto sia perché in quegli spazi sono avvenuti eventi stragistici di minor portata rispetto alla costa tirrenica e all’Appennino centrale, anche se abbiamo stragi numericamente importanti come Vallucciole in Toscana o Tavolicci sul fronte romagnolo, sia perché quelle zone sono state colpite da altri tipi di violenza, come i bombardamenti o grandi battaglie militari che nella memoria collettiva del Dopoguerra hanno avuto maggior riscontro politico e pubblico.
Ma se osserviamo nel dettaglio cosa è avvenuto possiamo trovare spunti tutt’altro che scontati.
La ferocia fascista
Mi soffermo su quello storicamente più interessante: la matrice. Sulla costa adriatica le milizie fasciste non sono state semplicemente gregarie dei tedeschi, ma protagoniste della ferocia contro i civili: parliamo della legione d’assalto “M” Tagliamento-Camilluccia, il IV battaglione di polizia italo-tedesco e il primo a essere arrivato sul territorio, il battaglione GNR “Venezia Giulia”.
Mentre le grandi stragi avvenute in altri territori sono state compiute principalmente dai tedeschi, sul territorio della Gotica orientale sono stati gli italiani a compiere direttamente e autonomamente le brutalità maggiori.
Se a livello quantitativo non si eguagliano i numeri dei morti di Emilia e Toscana, l’analisi qualitativa delle azioni ci mostra che la ferocia non è stata da meno: i tedeschi avevano come fattore d’attivazione la frustrazione del tradimento badogliano, che secondo Himmler era dovuto a una precisa tara razziale degli italiani, i repubblicani erano animati dalla rabbia dovuta alla perdita del potere fascista, che veniva colpevolmente equiparato e confuso con la Patria e l’italianità.
La violenza raggiunse il suo apice verso fine giugno del 1944, e rimase tale fino a quando le zone furono liberate: prima arrivarono le truppe dedicate alla controguerriglia partigiana che misero a ferro e fuoco l’enorme quadrilatero che va dalle foreste casentinesi alle coste pesaresi, poi arrivò la battaglia della Linea Gotica, che portò ulteriore violenza contro i civili e tutte le altre categorie di persone che creavano problemi agli occupanti.
La legione Tagliamento e il IV battaglione di polizia italo-tedesco furono incaricati di occuparsi della lotta al banditismo, si dedicarono non solo ai partigiani, ma anche a tanto altro. Essi crearono un vero e proprio clima di terrore, non lesinarono ruberie e violenze gratuite, tanto che altre autorità fasciste furono costrette a richiedere la fine di questi comportamenti perché considerati crimini fini a sé stessi.
Merico Zuccari, criminale di guerra e Primo Seniore della legione Tagliamento, il 12 aprile 1944 fece affiggere un manifesto che mostrava bene il suo pensiero rispetto al suo senso di giustizia.
Egli infatti minacciava di morte «tutti coloro che aiuteranno in qualsiasi maniera i banditi (fra questi sono compresi anche quelli che offriranno agli stessi un semplice bicchiere d’acqua) […], tutti coloro che non difenderanno con la vita i propri averi o gli averi di cui sono consegnatari (banche, consorzi, ecc.)». Inoltre, i paesi i cui abitanti non avessero impedito con ogni mezzo «il transito o la sosta dei banditi, saranno distrutti col fuoco».
Le donne più giovani, anche minorenni, dovevano essere segregate in casa perché oggetto delle attenzioni dei militi; ci sono alcuni casi particolarmente efferati che sconvolgono alla lettura delle testimonianze, come i casi di Virginia Longhi di Pennabilli e Lazzarini Angela di Macerata Feltria.
Il tribunale militare territoriale di Milano ha così sentenziato nel 1952: «Lo Zuccari, non reagendo alla bestialità dei suoi uomini nelle violenze carnali, favorisce questi eventi, mandando impuniti gli autori di simili delitti».
Le vittime
Le vittime furono soprattutto civili, colpiti e umiliati in ogni maniera, la guerra divenne terroristica, ogni azione doveva incutere panico alla popolazione, solo questo fine può giustificare la più grossa strage in Romagna, quella di Tavolicci dove vennero trucidati 64 innocenti, donne, vecchi e bambini.
Prima di uccidere questi innocenti, con metodi simili a quelli usati a Marzabotto, ovvero chiusi nella stalla e uccisi lanciando dentro granate incendiare e mitragliando alla cieca, dal gruppo verranno sadicamente tolti 10 capifamiglia che vedranno la morte dei loro cari, verranno assassinati solo al termine dell’operazione, non prima di aver visto compiere altri eccidi durante il tragico percorso che li ha portati verso il luogo della loro morte. Per i partigiani il disprezzo non fu da meno: a titolo di esempio, si decise chi dovesse fucilare gli otto martiri di Ponte Carattoni tramite una gara di tiro al bersaglio; il “premio” fu vinto dal milite Armando Altomare, che uccise tutti gli otto. Tra essi uno non morì sul colpo, ma si rialzò e si mise a piangere sui corpi degli altri sventurati; Altomare fu richiamato, non solo concluse il suo macabro lavoro, ma gettò bombe a mano su tutti i cadaveri che giacevano a terra.
Questi fatti ci raccontano la peculiarità del territorio in oggetto e smontano due narrazioni che, seppur smentite da tempo dalla storiografia, rimangono tossiche perché inquinano il dibattito pubblico: il mito «dell’italiano brava gente» e dei fascisti di Salò “patrioti”, entrambi falsi.
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