Monte Sole, Sant’Anna di Stazzema, le Fosse Ardeatine: sono questi i nomi che ci vengono in mente quando pensiamo alle stragi nazifasciste nel nostro paese. Ma la sistematica politica del terrore del Reich in Italia iniziò già dall’estate del 1943, con decine di vittime civili tra Sicilia, Puglia e Campania
Quando parliamo delle stragi nazifasciste, automaticamente il pensiero va a Monte Sole, Sant’Anna di Stazzema, Padule di Fucecchio, Cavriglia, le Fosse Ardeatine, all’estate del 1944 e alla Linea Gotica, mentre nomi Rizziconi, Castione di Sicilia, Spinazzola, Contrada Calvario, Caiazzo, Acerra o Anguillara Sabazia risultano sconosciuti ai più.
La violenza nazifascista non ha però inizio con l’armistizio dell’8 settembre, ma le aggressioni contro i civili avvengono immediatamente all’indomani dello sbarco degli alleati in Sicilia. Il primo massacro di civili censito dall’Atlante delle stragi nazifasciste (www.straginazifasciste.it) è datato 12 luglio e avviene a Canicattì (Ag), dove i tedeschi uccidono sei persone.
In quel luglio di guerra sono tre gli fatti di sangue da menzionare: oltre Canicattì, dove i civili sono uccisi perché scambiano i tedeschi in ritirata con gli americani, anche gli altri due episodi, Belpasso a Catania (17 luglio) e Lentini (data sconosciuta) a Siracusa, avvengono sempre in un contesto di ritirata dei tedeschi che non riescono a contenere la violenza contro le persone inermi.
Politica sistematica
Queste prime stragi daranno il metro di quello che avverrà in maniera più massiccia nel 1944: la percezione degli Alleati è che i tedeschi applichino una politica del terrore sistematica, diffusa e in espansione. La prima fase di questi crimini di guerra si dipana dal luglio all’ottobre 1943, ricordiamo che in quel momento Italia e Germania sono ancora paesi alleati, solo il 13 ottobre Badoglio dichiara ufficialmente guerra alla Germania. L’escalation di questi fenomeni è impressionante: se in luglio si contano “solo” tre episodi), ad agosto si arriva a 15, a settembre sono 337, per finire con 381 nel mese di ottobre, per un totale di 739 eventi e 2642 persone assassinate (11 per cento delle vittime totali a livello nazionale).
Le stragi siciliane in questa prima fase sono 17 (60 vittime), per lo più concentrate attorno alle pendici dell’Etna, e colpiscono soprattutto civili; buona parte di questi eventi sono accompagnati da ulteriori violenze, stupri, saccheggi e incedi alle case. Il rapporto tra italiani e tedeschi è di tensione, dovuta alla reciproca sfiducia e ostilità: i tedeschi, toccano con mano lo scarso impegno italiano nello sbarco degli Alleati e il repentino cambio di governo, e temono il tradimento italiano; viceversa gli italiani hanno paura delle ripercussioni tedesche per l’andamento della guerra. Tra i 60 morti ci sono anche otto tra militari e carabinieri.
L’aggressione ai militari in questa fase ha il suo apice in Puglia, che vede un bilancio generale di 28 episodi. Vari sono gli esempi di accanimento contro uomini in divisa spesso inermi, contiamo cinquantina di soldati, militari e sbandati assassinati, oltre a 10 vigili urbani a Barletta, su un totale di 128 caduti in Puglia. Questo accade perché in regione i soldati, che qui erano affluiti in massa, hanno un atteggiamento meno arrendevole, e anche perché i tedeschi credono che ci possa essere uno sbarco alleato nel porto di Taranto.
“Ordine Nerone”
In questo quadro già largamente drammatico, le autorità tedesche su ordine del capo dell’alto comando della Wehrmacht, feldmaresciallo Wilhelm Keitel, emanano il cosiddetto “Ordine Nerone” (Nero-Befehl): «Nell’esecuzione dei ripiegamenti disposti… si deve fare ricorso su larghissima scala a distruzioni di ogni tipo». Le infrastrutture di vario genere devono essere distrutte (impianti per la produzione di energia elettrica, ferrovie, strade, porti, ponti, gallerie, aziende agricole e industriali, monumenti artistici, chiese, ospedali in funzione), mentre cibo, bestiame e animali devono essere requisiti e portati via.
Quello che non è trasportabile va ucciso o distrutto sul posto. Gli uomini devono essere considerati forza lavoro, deportabili a seconda delle necessità belliche. «Ci si aspetta che i comandanti responsabili di ogni grado mettano in atto con la massima energia, senza alcuna indulgenza o riguardo, lo sgombero e la distruzione».
È importante ricordare che queste tecniche e metodi di occupazione erano già stati sperimentati nella ritirata all’est, prima nel Caucaso e poi nelle zone del fiume Dnepr in Ucraina.
La resistenza
Questi ordini rendono ancora più difficili i rapporti tra civili italiani e tedeschi, che ora di fatto non si comportano più come alleati ma come occupanti nemici. In varie regioni, soprattutto in Puglia e Basilicata, ma non va dimenticato anche un episodio in Calabria, avvengono stragi causate dalla resistenza dei civili che non accettano la presenza dei soldati tedeschi e delle loro prepotenze, e che scaturiscono spesso in veri e propri atti di ribellione.
Ricordiamo la rivolta di Matera del 21 settembre, che causò 26 morti, i tumulti di Rionero in Vulture, che avvennero tra il 16 e il 24 settembre e che alla fine causarono la rappresaglia tedesca dove furono uccise 16 persone; lo stesso avvenne in provincia di Foggia, precisamente a Ascoli Satriano il 26 settembre e Serracapriola il primo ottobre: la popolazione di questi due paesi insorse contro i tedeschi per impedire furti e danneggiamenti, il bilancio totale fu di 22 morti.
Il calvario campano
Ma la regione di gran lunga più colpita in questa prima fase è la Campania, dove in quattro mesi si contano 460 episodi di strage per 1298 persone uccise. In questa regione è avvenuto l’episodio principe della Resistenza al Sud, le 4 giornate di Napoli: dal 27 al 30 settembre, la città si ribella contro i tedeschi permettendo l’arrivo degli Alleati; Napoli è la prima città europea ad insorgere e a liberarsi.
Questo moto di libertà avrà un costo altissimo, le ritorsioni e le rappresaglie tedesche saranno implacabili e provocheranno centinaia di vittime innocenti. Il calvario campano è dovuto soprattutto all’atteggiamento dei degli abitanti che rispondono ai tedeschi sollevandosi e ribellandosi a quello che stava accadendo.
La resistenza diventa un fatto diffuso contro gli atti di prepotenza e prevaricazione dovuti alla ritirata aggressiva che i tedeschi stavano mettendo in atto; la popolazione civile pagherà a caro prezzo questa opposizione, non solo con la morte, ma anche con distruzioni, rastrellamenti, rapine, sequestri arbitrari e violenze spicciole.
Contro i civili
Circa l’86 per cento delle vittime, in prevalenza civili, solo nelle Puglie, come accennato il precedenza, troviamo la presenza di un’ulteriore categorie di vittime, gli uomini in divisa. Lo storico Collotti definisce in questa maniera la visione della guerra dei combattenti tedeschi: «Bisogna concludere che costantemente diffusa era non soltanto nei soldati, ma anche nei comandi una mentalità che non considerava la popolazione inerme degna di alcuna considerazione, che faceva parte della guerra fare pagare alla popolazione un tributo di sangue. (...) L’odio per le popolazioni considerate come copertura di un nemico invisibile faceva parte, ancora una volta, dei frutti dell’educazione alla guerra di annientamento».
Questa prospettiva era fortemente influenzata dai precedenti scontri all’est, in quanto in Italia i tedeschi ritrovarono alcune caratteristiche di quello che avevano già combattuto: il tradimento, una popolazione ostile, il partigianato apparentemente diffuso. I tedeschi, dato per perso il sud Italia, perché considerato poco importante dal punto di vista bellico, misero in atto una guerra di rapina, basata su spoliazione e furti, terrorizzando la popolazione attraverso diverse forme di violenza perché essa non doveva essere di nessun ostacolo o peggio non doveva opporre resistenza.
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