- La scorsa settimana si è celebrato, in tutto il mondo, l’Aaron Swartz Day, una commemorazione collettiva, a quasi dieci anni dal suo suicidio, di una delle figure di hacker e attivista più interessanti della storia moderna.
- Il giorno del suo compleanno, l’8 novembre, la Milano University Press dell’Università di Milano ha pubblicato la biografia su Aaron scritta da Giovanni Ziccardi, “Aggiustare il mondo. La vita, il processo e l’eredità dell’hacker Aaron Swartz” , che è liberamente scaricabile in open access.
- Le vicende di Swartz e la sua lotta per la trasparenza, per la libera informazione e contro la corruzione in politica sono, ancora oggi, estremamente attuali in un mondo digitale che è sempre meno attento ai diritti e alle libertà dei cittadini.
Ci sono tante cose, e facce, da narrare – cantava Francesco Guccini in Tango per due – che un romanzo non basta. Quando ho cercato di racchiudere, nelle pagine di una biografia di Aaron Swartz, tutte le cose e le facce incontrate dall’hacker nordamericano nella sua breve vita, il risultato ha portato a una specie di romanzo tragico.
Immaginatevi un ragazzino geniale che nasce in un ricco sobborgo di Chicago e che sin dalla nascita è circondato da computer. Osservatelo crescere negli anni Duemila, quando Internet sta letteralmente cambiando pelle e la Silicon Valley sta partorendo quelle startup che, vent’anni dopo, avranno il dominio sul mondo dei dati, del commercio online, dell’intelligenza artificiale e delle nostre vite ed emozioni. Collocatelo in un momento storico dove il modo di far politica sta cambiando: l’attivismo dal basso, organizzato in rete in maniera spontanea da singoli cittadini connessi, si sta dimostrando efficace in tutto il mondo per portare avanti cause meritevoli e per combattere per la trasparenza, e contro la corruzione. Ma non solo: Julian Assange, Edward Snowden, Chelsea Manning e WikiLeaks stanno lavorando per sgretolare il potere e la reazione dei governi, in un quadro simile, non si fa attendere: diminuzione delle libertà online, aumento di sorveglianza e censura e un vero e proprio giro di vite contro gli hacker.
Ecco, in un quadro così, in molti credono che via sia una sola persona che possa “aggiustare” il mondo. Lui. Un giovane che aveva già catalizzato le attenzioni, e le amicizie, dei più grandi del pianeta, da Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web – che già a 14 anni lo trattava da suo pari – a Lawrence Lessig, il creatore di Creative Commons.
Tutti erano convinti che “il figlio di Internet” avrebbe fatto la storia: era pronto, prontissimo, per una nuova rivoluzione, per combattere in nome di tutti per un’informazione alla portata della gente, per svelare intrighi di governo e della politica, per purificare il sistema attraverso la trasparenza, per liberare tutti i contenuti scientifici e il materiale giuridico.
Ma Aaron non ce la fa, e decide di togliersi la vita, a 26 anni, impiccandosi in un freddo gennaio del 2013 a New York, nel suo disordinato appartamento di Brooklyn.
Un bambino prodigio
La vita di Aaron Swartz era stata, fino a quel momento e fin dai suoi primi anni, un ottovolante di scelte, di rinunce, di emozioni. Bambino prodigio, a tre anni già leggeva e scriveva. Inserito in una scuola per bambini particolarmente dotati, si trovò ben presto, come tanti hacker, ad abbandonare la scuola per noia, per una sensazione di perdere tempo con nozioni inutili e che non gli sarebbero mai servite. «A scuola noi andiamo per mangiare succulente bistecche», scrivevano gli hacker di allora, «ma gli insegnanti ci danno minestra riscaldata».
A 12 anni vince il suo primo premio: inventò una simil-Wikipedia ben prima che esistesse Wikipedia. A 15 anni è già una star mondiale della programmazione: si unisce ai fondatori del web del W3C Consortium e contribuisce a sviluppare RSS, uno dei più popolari formati di distribuzione di contenuti in rete. A 19 anni, ça va sans dire, diventa milionario: crea, con due colleghi, la piattaforma Reddit, il primo social network dedicato al commento di news. Reddit viene acquistato da Condé Nast. Lui riceve un bonifico di diversi milioni di dollari.
La sua curiosità senza freni lo porta, in quegli anni, a intraprendere mille strade.
Vede, a un certo punto, l’informazione come la valuta più preziosa: un bene del quale nessuno dovrebbe essere privato, e il suo pensiero matura.
I guai giudiziari
Al Massachusets Institute of Technology, l’università degli hacker, Aaron viene arrestato, e inizia il suo incubo.
Le forze dell’ordine lo attendono mentre esce da uno sgabuzzino. Stava scaricando, su un computer portatile, tutti gli articoli di una grande banca dati scientifica a pagamento dell’ateneo. Voleva rendere pubblico il patrimonio culturale pagato, appunto, con fondi pubblici, per poi metterlo sul web e regalarlo all’umanità, come un novello Prometeo. 4,8 milioni di articoli scaricati. L’80 per cento dell’intero archivio.
Il meccanismo giudiziario americano si preoccupa ben poco delle motivazioni più o meno nobili, e si mette in moto con una violenza incredibile, riservata di solito a terroristi e criminali di ben altro stampo. Accuse di accesso abusivo ai sistemi informatici e di frode informatica. Valore asserito dei documenti rubati: diversi milioni di dollari. Si prospettano più di 35 anni di galera.
Nel sistema giudiziario statunitense, i computer crimes sono una cosa seria. Anche se l’accesso ai sistemi è fatto per gioco, o per sfida o, appunto, per attivismo, le atmosfere alla WarGames sono ben vive nella politica governativa di quegli anni: quei maledetti ragazzini hacker che mettono in crisi i sistemi statali devono andare in galera.
Ben presto anche i soldi finiscono, spesi tra avvocati e consulenze, e l’impatto psicologico ed economico di una simile aggressione portata dal sistema giudiziario va a colpire un carattere già debole e problematico.
La conclusione è nota: due anni di pressione legale, nel caso United States vs. Aaron Swartz, ancora prima di un’udienza di discussione, portano il giovane hacker a togliersi la vita.
I procuratori dell’accusa coinvolti nel caso non faranno mai ammenda, né domanderanno scusa, ma non faranno neppure carriera e passeranno alla professione privata. Il suicidio del ragazzo sconvolge gli ambienti politici e giudiziari, ma l’approccio governativo non cambierà.
La sua eredità
Swartz è rimasto, nei circoli hacker e tecnologici mondiali, una celebrità anche dopo la sua morte. Una celebrità, si noti, ben diversa da quella dei suoi coetanei che operavano allora nella Silicon Valley, quei Zuckerberg e simil-Zuckerberg che avevano creato un impero monetizzando e chiudendo l’informazione, e la sua proprietà, e non aprendola.
Aaron l’informazione la voleva liberare. Voleva limitare il potere che le istituzioni hanno sugli individui. Voleva “aggiustare il sistema” proprio come da bambino aggiustava i suoi giocattoli.
Si è però trovato, improvvisamente, tutti contro.
Un sistema di repressione dei crimini, e una giustizia, che, quando si parla di cybercrimes, si basano su intimidazione e pene spropositate; i magistrati del Massachusetts Us Attorney Office che gli cominciarono a prospettare, in un gioco lento di tortura, delle pene da terrorista; e anche il MIT, l’evolutissimo e civilissimo MIT, l’università degli hacker che però, in questo caso, non esitò a collaborare con l’accusa.
Scherzo del destino, la società proprietaria degli articoli “rubati”, Jstor, la “vittima” delle sue azioni, fu l’unica a non voler perseguire Aaron.
Dal suo punto di vista, l’ammettere un crimine, e sporcare la fedina penale con una condanna per reati informatici, era una prospettiva insopportabile.
Ogni volta che passava davanti alla Casa Bianca, e sognava di entrare lì, per cambiare il sistema dall’interno, si ritrovava in lacrime al bordo della strada. «Lì i criminali non li fanno entrare», singhiozzava.
Un’occasione perduta
Il risultato, in sintesi, è che Aaron poteva essere uno dei più grandi innovatori del nostro tempo.
Aaron voleva cambiare il mondo. Voleva far capire a tutti il potere dell’informazione e della sua liberazione. Ma come tutti i poteri, scriveva, «ci sono persone che li vogliono mantenere per loro».
La corruzione congenita nel mondo politico, secondo lui, era il male principale dei tempi moderni: la tecnologia, la trasparenza e i dati avrebbero aiutato a smantellarla.
L’intera eredità culturale e scientifica del mondo, pubblicata per secoli in libri e giornali, si stava digitalizzando, ma rischiava di essere sequestrata e rinchiusa dalle società private. Aaron voleva prendere l’informazione dai luoghi dove era custodita, farne tante copie, per tutti, e condividerle con il mondo. Farne tante copie per noi, per noi tutti. Perché tutti i dati, soprattutto quelli della scienza, devono essere pubblici. Ma non ci è riuscito.
Aggiustare il mondo. La vita, il processo e l’eredità dell’hacker Aaron Swartz di Giovanni Ziccardi è edito dalla Milano University Press ed è liberamente scaricabile in open access
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