Ogni fondamentalismo ha un fascino semplice: offre una spiegazione immediata a un dolore complesso. Sarebbe bello se potessimo guardare la serie Netflix Adolescence e pensare che è solo un problema dei tredicenni: invece l’ideologia misogina ha profondissime radici. Ma possiamo affrontare giorno per giorno la questione educativa
Almeno fosse solo un problema da tredicenni. Almeno potessimo guardare la serie Netflix del momento, Adolescence, sul tredicenne accusato di aver ucciso una compagna di scuola, e pensare: «I giovani d’oggi sono incomprensibili». Almeno potessimo vedere la scena in cui il figlio del poliziotto spiega al padre quel gergo che gira fra i ragazzini, la redpill, gli incel, la manosphere, e dire: «Che terribili fenomeni giovanili. Colpa dei social».
La verità è che siamo oltre. Quel gergo non denuncia un fenomeno nuovo, da angoli oscuri del web. È la spia di un discorso ormai pubblico, di una vasta questione culturale che da tempo è diventata propaganda politica. Negli Stati Uniti, addirittura, è potere politico.
Ma facciamo un passo indietro, per chi non sa. Partiamo dal linguaggio. Incel è l’abbreviazione di involuntary celibate. Celibe involontario, celibe non nel senso di scapolo, ma nel senso (in inglese preponderante) di persona che pratica astinenza sessuale, in questo caso non per scelta, ma appunto involontariamente. Il termine insomma indica uomini, perlopiù giovani, che non riescono ad avere relazioni, e incolpano le donne, responsabili e inaccessibili. Identifica una sottocultura online globale caratterizzata da misoginia, vittimismo, ideologie radicali e fantasie di vendetta (che possono diventare femminicidio).
Poi c’è la manosphere (da man, uomo, e blogosfera). L’insieme di blog, forum, canali e influencer che promuovono un’ideologia maschilista. Tribù unite da una visione secondo la quale gli uomini sarebbero penalizzati dalla società contemporanea, vittime del femminismo (il vero nemico), e dovrebbero “riprendersi” il potere.
Poi c’è la redpill (lascio a voi la ricerca, così vi divertite).
Ideologia diffusa
Da un po’ di tempo la manosphere non è più sottocultura, però. È ideologia a cielo aperto. Andrew Tate, uno degli uomini immagine di queste correnti di pensiero, ha legami con l’entourage di Trump, tanto per capirci. I codici di linguaggio che un tempo circolavano solo su certe piattaforme oggi si ascoltano negli account da milioni di follower. Altro che ragazzini depressi chiusi nella cameretta.
La cosa interessante è che questi fenomeni non nascono neppure con i social. Hanno radici profonde, già individuate dalla letteratura (la letteratura arriva spesso prima). Per chi ha letto Michel Houellebecq, per esempio, tutto risuona da anni. Del resto Houellebecq è spesso detestato proprio per la sua capacità predittiva assai sgradevole (e geniale).
Già Estensione del dominio della lotta, del 1994, metteva in scena il maschio perdente della rivoluzione sessuale e del mercato delle relazioni: non l’uomo dominante, seduttore, ma quello escluso, invisibile. Non riesce a trovare una partner, è soffocato da meccanismi reali o immaginati, scivola verso l’odio e la ritorsione. Secondo le voci narranti di Houellebecq, la liberazione sessuale ha prodotto danni sintetizzabili nel concetto di mercato del sesso (e appunto delle relazioni). Come nel mercato, anche nell’intimità ci sono vincitori e vinti. Gli incel di oggi sono i figli di quella diagnosi. Non citano Houellebecq, ma influencer palestrati.
Nel frattempo la realtà tecnologica cambia, e tutto si esaspera. Il dolore, nell’èra della sua riproducibilità social, si fa ideologia. La solitudine è militanza, il rancore è comunità. Un giovane spaesato può imbattersi in un canale dove gli spiegano che le donne sono freddi meccanismi sessuali attratti solo dai ragazzi belli e perfetti, dall’élite erotica. Da lì, tutto va a picco: fantasie di distruzione. Mascherate da ironia e servite con emoji.
Questione antropologica
Nel frattempo parliamo di gioventù come se fossimo negli anni Novanta. «A mio figlio vieto i social» (come se bastasse). «A mio figlio questo libro non lo faccio leggere, temi troppo delicati. Questa serie non gliela faccio vedere, troppo violenta». (Nel mentre, il figlio ha già visto tutto di nascosto).
Non possiamo fare molto per gli adulti, se non combatterli politicamente. Ma possiamo imparare il linguaggio che influenza l’identità dei ragazzi, e ascoltarli (in maniera furba, senza farci notare troppo). Non è una questione pedagogica. È antropologica. L’odio verso le donne non è mai un effetto collaterale, è un collante. Mira a diventare un principio di ordine.
Tuttavia possiamo ancora salvare le cose. Ogni fondamentalismo ha un fascino semplice: offre una spiegazione immediata a un dolore complesso. Rabbia è virilità, compassione è debolezza. In questo caso, dietro c’è una questione che possiamo affrontare giorno per giorno: come educare un ragazzo, oggi?
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