E se quella degli influencer fosse “vera letteratura”? E se ci stessimo perdendo del materiale letterario degno di nota? Se, basandoci unicamente sulla provenienza professionale dei nomi in copertina, stessimo smarrendo la portata quantomeno interessante di alcuni libri?
Ci sono figure provenienti dall’establishment televisivo e radiofonico mainstream che hanno dimostrato di essere capaci di confrontarsi con la misura letteraria in modo sorprendente.
Anche dal mondo dei social possono provenire episodi di buona scrittura – specialmente se letti superando il bias cognitivo che ci fa appiattire le valutazioni di un’opera abbrancandosi allo statuto dell’autrice o dell’autore.
E se quella degli influencer fosse “vera letteratura”? È inutile negarlo: le operazioni “libroidi” in Italia sono tante e spesso toccano i margini dell’indecenza. Si parla di iniziative editoriali dove a fare da padrona è solo la firma di una delle varie personalità provenienti dal mondo mass-mediatico in qualsiasi sua accezione – star della tv, comici da prima serata, influencer di vario tipo, youTuber, e così via. Il contenuto effettivo, invece, è perlopiù una questione tralasciabile. Il “libro” in molti di questi casi assume così il ruolo di mero manufatto, un medium commerciabile, assolutamente lontano da un qualsivoglia posizionamento letterario.
Non è passato troppo tempo dalla vicenda dell’instagrammer Giulia De Lellis che con il suo testo ha conquistato la vetta delle classifiche, indignando come poche altre volte la bolla dei letterati. E sono ancora aperte le ferite causate dai testi di Fabio Volo ai cosiddetti “lettori forti” (categoria umana frastagliata e intangibile), tanto che ancora permangono espressioni come «un libro alla Fabio Volo» per indicare opere di scarso valore estetico.
Queste dinamiche creano spesso schermaglie e sono oggetto di dibattiti anche ai piani alti dei settori culturali (accademia, salotti, critica militante). Non si restringe infatti lo iato profondissimo che, nella percezione comune, separa la “scrittura vera” da tutti gli altri libri che vengono pubblicati. Una faglia concettuale legittima, utile a diversificare la qualità artistica delle opere letterarie laddove esistano i margini per una valutazione quanto più oggettiva possibile. Ma al contempo si tratta di una scissione così categorica e nervosa da rischiare di diventare ingiusta: in tanti casi avviene l’esclusione di numerose opere dal panorama della “vera letteratura”, solo perché realizzate da persone figlie degli spazi mass-mediatici e/o nazionalpopolari. Alla cieca, però: senza leggerle e valutarle davvero.
E se ci stessimo perdendo del materiale letterario degno di nota? Se, basandoci unicamente sulla provenienza professionale dei nomi in copertina, stessimo smarrendo la portata quantomeno interessante di alcuni libri?
Esigenze della critica
È importante rendersi conto che esistono alcune opere che, se lette escludendo dall’ottica valutativa il background mediatico delle persone che le hanno scritte, riservano elementi che potenzialmente potrebbero soddisfare quelle che vogliamo definire “esigenze della critica” (anche se la critica, per statuto, non dovrebbe avere alcuna esigenza assoluta nei suoi processi di analisi).
Ci sono figure provenienti dall’establishment televisivo e radiofonico mainstream che hanno dimostrato di essere capaci di confrontarsi con la misura letteraria in modo sorprendente. Si pensi a Daria Bignardi, che in un romanzo come Oggi faccio azzurro (Mondadori, 2020) tematizza la depressione scardinando la retorica tardo-bovarista della donna mossa dall’impeto di essere desiderabile (in un arcipelago di connessioni artistico-letterarie vertiginoso).
Oppure Valerio Lundini, che con la raccolta di racconti Era meglio il libro (Rizzoli, 2021) fuoriesce dal tritacarne editoriale in cui vengono gettati da sempre gli instant-books dei comici di successo: nel suo lavoro Lundini genera un pastiche stilistico che risulta esilarante per la surrealtà con cui si confronta con i generi, collocandosi in una tradizione parodistica per nulla peregrina – e che è molto più seria di quello che potrebbe sembrare in una visione superficiale.
È necessario aprire una parentesi anche sul caso Levante, cantautrice divenuta enormemente nota anche grazie ad alcune presenze in tv: Se non ti vedo non esisti (Rizzoli, 2017), con la sua alta temperatura evocativa (in alcuni frangenti adiacente a una certa idea di “poetico”) e la gestione di un io spietatamente onesto (tanto da ricordare, talvolta, il feroce utilizzo dell’autofiction proposto da Teresa Ciabatti), è un libro che molto probabilmente avrebbe incontrato un ampio consenso critico se fosse stato firmato da una persona che “di mestiere” scrive libri e basta.
Dai social
Anche dal mondo dei social possono provenire episodi di buona scrittura – specialmente se letti superando il bias cognitivo che ci fa appiattire le valutazioni di un’opera abbrancandosi allo statuto dell’autrice o dell’autore. È il caso di Riccardo Dal Ferro, divulgatore filosofico molto famoso su YouTube con il nickname Rick DuFer, che con il suo I racconti della vera nuova carne (Poliniani, 2020, magistralmente illustrato da Ary De Rizzo) rigenera, attraverso una scrittura comunicativa e pop, la forma del racconto lovecraftiano e ligottiano dove filosofia e horror si uniscono in modo deflagrante. E, a proposito di deflagrazioni, è un vero peccato ignorare un libro come Bomba atomica (Rizzoli, 2020), scritto dall’attore teatrale Roberto Mercadini, divenuto nel giro di poco tempo amatissimo in rete grazie ai suoi video: un libro in cui la storia dell’ordigno bellico viene trattata come una narrazione avventurosa, con ampi momenti di divulgazione e un ritmo della prosa incalzante e così coinvolgente da rendere il testo perfetto anche per i giovanissimi.
Ma, nel ventaglio degli influencer di matrice social, il caso più recente (e forse più succoso) è quello di Camilla Boniardi, influencer da oltre un milione di follower che approda al suo primo romanzo. Boniardi allestisce una lingua che sembra germogliare dalla scarnificazione formale carveriana e produce la storia di un apprendistato sentimentale nel quale moltissimi millennial possono ritrovarsi: lo scontro brutale con la propria identità mistificata dagli occhi avidi degli altri, per poi finalmente organizzare una sola, salvifica, formula d’equilibrio emotivo – con la coscienza che quello che può alimentare le nostre relazioni, oggi, è un amore in grado di essere produttivo, non soltanto riproduttivo (mutuando un concetto espresso da Jennifer Guerra nel suo prezioso saggio, recentemente pubblicato da Bompiani, Il capitale amoroso).
Gli episodi di questo tipo non sono sporadici e coinvolgono anche emisferi del sapere ulteriori, travalicando talvolta il settore prettamente letterario – si pensi all’enorme successo, figlio della formidabile circolazione sui social sottoforma di video-conferenze, della saggistica storica del professor Alessandro Barbero, oppure a podcast di divulgazione scientifica amatissimi come Storie brutte sulla scienza a opera dello youTuber (dottore in chimica organica) Barbascura X. Insomma pare evidente che, per avere una piena consapevolezza della circolazione effettiva dei materiali culturali di questi anni, sia necessario tastare costantemente il polso di quell’incorporea realtà digitale nella quale passiamo moltissime ore delle nostre giornate: i social e la “nuova gestione” dei media tradizionali esondano molto più di quanto si possa credere verso forme inaspettate, producendo anche scritture di valore. Chi si occupa di letteratura con lucida curiosità, forse farebbe meglio a non ignorarle.
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