- Per molto tempo, senza mai scriverne neanche una riga, ho avuto questa idea di fare una specie di Dizionario ragionato della mia vita, anche per vedere quale “mia vita” ne sarebbe saltata fuori.
- La larghezza di spirito regalatami dal fatto di non dover andare a lavorare per una settimana, che quasi immediatamente si era dilatato in tre settimane, poi si sarebbe visto come andava il contagio, aveva immediatamente generato in me un corrispettivo allargamento delle gioie mentali per cui subito mi era venuto da scrivere.
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È così che questa cosa è cresciuta. Tanto che scherzosamente, durante l’estate, mi auguravo che potessero arrivare almeno altri due lockdown.
Per molto tempo, senza mai scriverne neanche una riga, ho avuto questa idea di fare una specie di Dizionario ragionato della mia vita, anche per vedere quale “mia vita” ne sarebbe saltata fuori. Ma era un’idea che mi attraversava velocemente la testa mentre facevo qualcos’altro, poi spariva.
Perché tra l’altro c’è stato un lungo periodo, come spesso mi capita, in cui non avevo per niente voglia di scrivere. Facevo qualcos’altro.
Lista di cose
Per fortuna, il sabato prima che in Emilia chiudessero le scuole causa Covid, io ero in cucina a Guzzano col computer davanti, avevo scritto Dizionario della mia vita perché non volevo perdere di nuovo questa frase che ogni tanto mi attraversava la testa, poi mi ero messo a scrivere una lista tipo: cravatte di mio padre, blatte tedesche, cimici (queste due voci: cimici e blatte tedesche, le avevo scritte perché a un certo punto, sulla tavola di fianco al computer avevo visto questo movimento di qualcosa e mi ero chiesto se non erano già arrivate anche fino a Guzzano le blatte tedesche, ma vedendo che questa cosa si muoveva tutta lentina avevo poi capito che era la solita cimice che dopo un po’ che accendi il fuoco si sveglia dal letargo e inizia a camminare su e giù per la tavola), poi cravatte mie, la centoventiquattro special del nonno, la mia Lancia Dedra, sogni fatti a Guzzano tra le quattro e le sei di pomeriggio in un periodo felice e così via.
Era l’elenco delle prime cose che mi venivano in mente. È incredibile quanta roba ci stia in una vita (questo concetto “vita” per fortuna è un concetto quanto più vago possibile, anzi, non è neanche un concetto, ma è questa cosa che ci capita a tutti noi viventi). Ti arriva addosso di continuo qualcosa da dovunque e tutti questi qualcosa quasi sempre non hanno la minima infrastruttura logica che li armonizzi e li renda funzionali a una specie di destino. L’eventuale destino forse lo si vede a posteriori, essendosi ormai perso tutto il ciarpame di cui felicemente siamo fatti.
Tutto l’inconscio del mondo, cioè tutte quelle microscosse continuate tra te e il mondo, quello che ti sta sempre di sotto, sotto cosa non lo so, poi ti sta di fianco e ti fa muovere, io me lo sono sempre immaginato come dei 6mila lampeggiamenti ogni giorno che ti catturano ognuno un’antenna, ma mentre ti giri per guardare, quel lampeggio si è già spento mentre se n’è già acceso un altro e così via. Poi vai a letto. Quel che segue è: nuova giornata, nuovi lampeggi. O anche, molto spesso: nuova giornata, vecchi lampeggi, lampeggi ripetuti. Un po’ e un po’.
Scuole chiuse
Ma tornando a questa inaspettata chiusura delle scuole devo dire, per la correttezza del resoconto, che la larghezza di spirito regalatami dal fatto di non dover andare a lavorare per una settimana, che quasi immediatamente si era dilatato in un non andare a lavorare per almeno tre settimane, poi si sarebbe visto come andava il contagio, aveva immediatamente generato in me un corrispettivo allargamento delle gioie mentali per cui, dopo più di un anno che non scrivevo neanche una riga, subito mi era venuto da scrivere e mi ero messo a scrivere questa specie di Dizionario della mia vita che cresceva da solo, quasi per virtù sua, in questo ambiente largo predisposto dal non dovere far niente, cioè il poter far tutto quello che ti pareva; e la cosa era cresciuta di battuta in battuta in poco tempo, raggiungendo presto quella mole, direi più o meno di 40mila battute, che per me è la soglia tra un libro felice e il niente, ma devono essere 40mila battute che si scrivono da sole, in fretta e senza far fatica, senza fare il minimo sforzo, cioè senza dover usare neanche una goccia di quella cosa per me sempre odiosa che è la forza di volontà e il dover sforzarsi.
Poi, mentre ancora mi godevo questa slargatura inaspettata della vita, il 12 marzo, di giovedì, se ben ricordo, invece andava a finire che succedeva questa cosa strana di venir chiusi in casa, e questa cosa ancora più strana che perfino io e tutti gli altri che conosco e frequento restavamo veramente chiusi in casa, e nel mio caso e in quello di molti miei amici, rimanevamo chiusi in casa da soli, essendo single. Poi, una volta che eravamo restati chiusi in casa, per quanto riguarda me c’erano state anche due o tre febbrine (tre 37.3, che si alternavano a dei 36.9, che in realtà, come ho scoperto dopo qualche giorno, erano dovute a un termometro sbagliato) che mi avevano un po’ spaventato.
Permesso di parcheggio
Dopo quindici giorni che non avevo mai neanche aperto la porta di casa, con tipico fiscalismo ossessivo modenese, mi veniva in mente che il 7 marzo, ormai venti giorni prima, mi era scaduto il permesso di parcheggio grazie al quale posso parcheggiare, in cambio di quaranta euro, in tutti i parcheggi a pagamento dei viali di Modena, compreso sotto casa mia. A quel punto sarei dovuto uscir di casa, avrei dovuto fare un bancomat, dopodiché avrei potuto raggiungere piazza d’Armi e pagare il mio permesso di parcheggio in un momento ancora in cui la spaventazione pubblica non era nella forma del “va tutto bene” ma permaneva ancora nella forma del “morirete tutti”.
Era ancora impossibile trovare mascherine, alcol, guanti e così via. Qualcuno lavava ancora ogni singolo oggetto della spesa. Così il 27 marzo riaprivo la porta di casa e uscivo. Avevo un po’ di paura, ma l’aria aperta, anche nella forma di quei giorni, di pura aria aperta in forma di aperto deserto, viali e strade senza che si potesse vedere neanche un cane che ci passa in mezzo, da subito mi faceva bene.
La filiale Unicredit di piazzale Risorgimento, direttamente sulla strada che avrei dovuto fare per andare a pagare il mio permesso di parcheggio, presso la quale avrei voluto fare un bancomat, nei quindici giorni in cui ero restato chiuso in casa era scomparsa, non c’era più niente, non c’era più il bancomat, non c’era più l’entrata, al suo posto vetrine vuote e scure e senza luci interne. Allora mi sa che vado in piazza Grande a fare il bancomat, avevo pensato. Piazza Grande che era anche lei completamente vuota. Una bella deviazione, ci avevo messo due chilometri in più, fatti lenti lenti. Un’oretta in più di stare all’aperto. Ti veniva più paura ma anche allo stesso tempo più coraggio, non so come dirla meglio ’sta cosa.
E lì poi al baracchino della società dei parcheggi, il signore, uno veramente gentilissimo e preciso, visto che gli dico che mi era scaduto il permesso già da venti giorni ma con ’sto Covid mi sono completamente dimenticato, mi chiede se mi han dato la multa, cosa che io non sapevo perché non mi era neanche venuto in mente di andare a vedere la macchina (per la verità dopo dieci giorni che ero chiuso in casa un bel momento mi ero chiesto chissà se c’era ancora la macchina, e se era parcheggiata dove più o meno mi immaginavo o se mi ricordavo male; mi ricordo che avevo anche pensato magari me l’hanno rubata, perché se uno si metteva nella prospettiva di un ladro di automobili era fenomenale avere tutti chiusi in casa, obbligati a star chiusi, per rubare le automobili) comunque avevo detto al signore che non ero andato a controllare se mi avevano dato la multa o no, lui mi aveva detto che secondo lui non me l’avevano fatta, così mi aveva rinnovato il permesso di parcheggio a partire dal 26 marzo invece che dal 7.
Aveva ragione lui, come ho potuto controllare dopo, prima di rientrare a casa, la macchina era ferma lì, dove mi ricordavo, e non aveva multe. Ma di notevole c’è stato il fatto che tornando indietro da piazza d’Armi verso casa mia, a metà di viale Vittorio Veneto, incrociavo il primo vivente che non fosse una pattuglia di forze dell’ordine, io fumavo, lui stava in bicicletta, ci siamo passati ad almeno cinque metri di distanza guardandoci in modo cagnesco, secondo me ognuno dei due ha pensato Ma con tutto lo spazio che c’è, passa più in là, coglione. E comunque, tornato a casa, e come sempre in quei giorni, scrivevo. E il tempo un po’ passava.
Passeggiate in lockdown
E a partire da aprile iniziava invece, con Alessandro Fili che a stare in casa scoppiava, l’epoca delle passeggiate con la motivazione ferramenta-mascherine, lunghe passeggiate verso la ferramenta Poppi, che ci permettevano di fare su e giù per due o tre volte, alternando tutte le parallele e le perpendicolari, quel chilometro all’incirca che ci divideva dalla ferramenta Poppi.
Una volta arrivati a cento metri da Poppi, se non ci avevano fermati, visto che non ci avevano bruciato con un controllo il foglio d’autorizzazione del Dpcm, tornavamo indietro fin quasi a casa per poter rifare la strada, e se non ci controllavano, la rifacevamo almeno altre due volte. Ormai le giornate erano diventate lunghe con l’ora legale. Non ci hanno mai controllati, per fortuna.
Per due volte ci eravamo portati, iniziativa di Alle, anche una bottiglia di vino nascosta nello zainetto e due bicchieri per bere passeggiando. E a casa poi mi tornava voglia di scrivere e la voglia di scrivere compensava la voglia di impiccarsi.
È così che questa cosa è cresciuta, per me felicemente, tra le cose che vedevo e sentivo, e altre cose che invece ricordavo. Tanto che scherzosamente, durante l’estate, mi auguravo che potessero arrivare almeno altri due lockdown per finire due bozze di romanzo che un bel momento, negli anni passati, avevo lasciato a metà.
Ma i desideri sono sempre molto diversi dalla realtà e in questi nuovi lockdown a metà che ci son stati a partire dal novembre del 2020 e ad arrivare fino a oggi mi sono soltanto innervosito, sottoposto a un regime di mezza galera e non ho avuto voglia di scriver quasi niente. Pace. Ormai è andata così. Sarà per la prossima pandemia.
Nel frattempo avevo mandato la mia bozza a un amico che poi mi aveva detto: bella questa tua vita in ordine alfabetico, ed ecco il titolo, che era proprio quello giusto: La vita in ordine alfabetico.
Il 7 ottobre esce in libreria, per la collana Oceani della Nave di Teseo, La vita in ordine alfabetico, l’ultimo romanzo di Ugo Cornia, il primo pubblicato per la casa editrice. Una enciclopedia sentimentale di piccole e grandi storie da una provincia mitica, remota e vicinissima, tra eroi improvvisati e urgenze indifferibili. Il testo di questo articolo è un estratto della sua Introduzione.
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