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Tornano alla mente certe intuizioni di Erich Auerbach, quando si interrogava a proposito di quell’utopia chiamata Weltliteratur, letteratura mondiale. La recente pubblicazione di Nottetempo, Letteratura mondiale e metodo, è l’occasione per riscoprire una delle profezie dello studioso tedesco.
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Leggiamo e riconosciamo una parte di noi stessi, della nostra realtà – anche quando non è la nostra – nelle pieghe di un autore di fantascienza cinese o yemenita, ci appassioniamo alla trama avvincente di un thriller d’esordio scritto da una giovane autrice indiana.
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Se il mondo rischia di apparire tutto uguale, allora la produzione letteraria può correre il medesimo rischio. A meno che, come l’autore di Mimesis, non si pronostichi l’avvento di una sola cultura organizzata per diverse lingue.
In origine furono certi romanzi di spie degli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Il velo dipinto di Somerset Maugham, La maschera di Dimitrios di Eric Ambler, Il treno d’Istanbul di Graham Greene. Palme, antiche rovine, arabeschi. Ambientazioni che avevano il sapore di un fondale dipinto, come a teatro. Erano didascaliche, rassicuranti. In quelle storie l’esotismo si manifestava soprattutto come un accumulo di luoghi, e più ce n’era meglio era.
In Tinker Tailor Soldier Spy di John le Carré, di qualche decennio più tardo, si faceva fatica a contarli. Chissà se quell’uso effimero delle spiagge tropicali o delle città dell’est Europa fosse una conseguenza dell’omologazione mondiale, la stessa che faceva dire a Claude Lévi-Strauss «odio i viaggi e gli esploratori», formula che denunciava tanto l’impossibilità di viaggiare davvero, quanto quella di poter raccontare il proprio viaggio.
In effetti in metropoli tutte uguali niente poteva essere nuovo, inesplorato, come se la terra fosse diventata un unico grande specchio che rimandava l’immagine di colui che la osservava. Così, alla fine, i Caraibi di James Bond risultavano improvvisamente più veri del vero.
Definire l’alterità non è mai stato un esercizio pacifico. Se Marco Polo descrive il Catai con un occhio alla Bibbia e uno ai bestiari del suo tempo, dal canto suo Cristoforo Colombo giunge sulle coste di San Salvador avendo in una mano Il Milione e nell’altra la Navigatio di San Brandano. Anche loro, per altri versi, preferivano viaggiare sui libri prima che nel mondo reale.
I luoghi, le storie. Oggi le produzioni letterarie ai quattro angoli del mondo hanno cominciato ad assomigliarsi tra loro, a condividere intrecci, generi, motivi ricorrenti. Si rispecchiano e a volte si confondono.
Letteratura mondiale
Tornano alla mente certe intuizioni di Erich Auerbach, quando – anni dopo l’uscita di Mimesis – si interrogava a proposito di quell’utopia chiamata Weltliteratur, letteratura mondiale.
La recente pubblicazione da parte di Nottetempo del volume Letteratura mondiale e metodo (con un saggio introduttivo di Guido Mazzoni), è stata l’occasione per riscoprire una delle molte profezie dello studioso tedesco che sono diventate, con il trascorrere degli anni, lettera corrente della nostra contemporaneità: «La vita degli uomini su tutto il nostro pianeta si sta uniformando. Il processo di sovrapposizione, originariamente limitato all’Europa, si estende ulteriormente e seppellisce tutte le particolari tradizioni locali. Certo, il sentimento nazionale è dappertutto più forte e fragoroso che mai, ma dappertutto esso si muove verso le stesse forme di vita, e cioè verso le forme moderne… Se l’umanità riuscirà a rimanere indenne dagli scossoni che un processo di concentrazione così potente, così travolgente e veloce (e così mal preparato interiormente) porta con sé, bisognerà incominciare a pensare alla possibilità che sulla terra, organizzata in modo unitario, rimanga viva una sola cultura letteraria, anzi, che rimangano vive solo poche lingue letterarie, forse ben presto una sola. In tal caso l’idea della Weltliteratur verrebbe realizzata e al tempo stesso distrutta».
Fingiamo allora che esista una libreria grande come tutto il pianeta e sbirciamone gli scaffali proprio oggi, lasciandoci attirare magari dai titoli in maggiore evidenza. Il settore più ricco è quello cinese. La Cina è il paese dove ogni anno si pubblicano in valore assoluto il maggior numero di novità, e dove la grande distribuzione è letteralmente invasa dal genere fantascientifico.
La trilogia di The Three-Body Problem di Liu Cixin è stata ed è ancora un best seller che non ha conosciuto confini, declinazione di un motivo popolarissimo come quello dell’invasione aliena, ambientato niente di meno che in piena Rivoluzione culturale.
Segue l’India, dove brilla il romanzo A burning di Megha Majumdar, un legal thriller teso tra fake news e ingiustizia sociale, promosso a pieni voti da Amitav Ghosh ed eletto finalista al National Book Award di quest’anno.
Un recente best seller in lingua araba? Eccolo, ancora fantascienza, questa volta con una variante ecologista: Geography of Water dello yemenita Abd al-Nasser Mujalli, che deforma nella fiction il terrore reale di un’umanità futura privata dell’acqua.
Nel Sudamerica di lingua spagnola, invece, spicca l’argentina Dolores Reyes con il suo Cometierra, e qui cambiamo genere, passando dalla ambientazioni futuristiche alla tradizione del realismo magico che bene abbiamo imparato a conoscere nell’ultimo secolo anche al di qua dell’Oceano, soprattutto per l’influenza di autori come Luis Sepúlveda e Gabriel García Márquez.
La Trilogia del caffè di Toshikazu Kawaguchi, di cui Finché il caffè è caldo appare ancora nelle classifiche di vendita mondiali, condensa immaginario e temi cari alla produzione giapponese contemporanea, come la commistione di terreno e ultraterreno, gli stessi con cui i lettori del resto del pianeta hanno imparato a familiarizzare grazie ai long seller di Haruki Murakami e di Banana Yoshimoto.
Libri che parlano a tutti
Opere che hanno viaggiato di lingua in lingua, di paese in paese. Prodotti editoriali quasi sempre trai i primi dieci nelle classifiche di vendita globali del loro anno di uscita. Pervasività delle traduzioni, diremmo, ma c’è di più.
C’è che alcuni dei punti di arrivo delle tradizioni letterarie di mezzo mondo – estemporanei, forse, ma questo lo dirà il tempo – dialogano apertamente tra sé, sono immediatamente comprensibili anche a quei lettori che non hanno una familiarità diretta con il contesto culturale che li ha generati.
Di nuovo Auerbach nel suo Vico e il Volksgeist del 1955 scriveva: «Accade di frequente che idee e prodotti simili dello spirito si presentino in diversi luoghi quasi contemporaneamente, e indipendentemente l’uno dall’altro. Sarà allora legittimo supporre che i tempi fossero maturi per tali idee, e che esse si siano presentate spontaneamente alla mente di diverse persone, spinte dalle circostanze dell’epoca alle stesse forme di esperienza e di attività».
Un rilievo in apparenza più che mai aderente al nostro tempo, se non fosse per quel mercato che innerva i processi di creazione dei prodotti culturali, libri compresi, ed è sempre ricettivo rispetto alle “spinte” dei consumatori.
Talvolta le amplifica, talvolta le genera direttamente. L’insorgere di mode e affinità tra le scritture di mezzo mondo da molto ormai non è più un processo autonomo.
Déjà vu tra una pagina e l’altra
Ripensiamo per un attimo ai volumi della nostra libreria globale. Vuoi perché la fantascienza in certa misura è un’invenzione delle culture antiche (il viaggio lunare di Luciano in primis), e quindi consolidata; vuoi perché le questioni ecologiste, intese anche nelle loro metamorfosi narrative, riguardano l’immaginario globale; vuoi perché il genere del giallo e del thriller rappresentano la vera koinè di questa epoca compresa tra la fine del vecchio e l’inizio del nuovo millennio: in ogni caso quella sensazione di déjà vu tra un libro e l’altro è un fatto.
Leggiamo e riconosciamo una parte di noi stessi, della nostra realtà – anche quando non è la nostra – nelle pieghe di un autore di fantascienza cinese o yemenita, ci appassioniamo alla trama avvincente di un thriller d’esordio scritto da una giovane autrice indiana, ci muoviamo con disinvoltura tra i rituali di un caffè giapponese, o nell’immaginario apocalittico della religiosità sudamericana.
Senza soluzione di continuità, senza troppi scossoni, come se ciascuno fosse davvero il frutto della stessa realtà. Senza renderci conto della loro appartenenza, come se non sentissimo il bisogno, avvicinandosi alla pagina, di prepararci a un viaggio nuovo, magari difficile, ma riconoscessimo invece un sentiero già percorso molte volte.
Se il mondo rischia di apparire tutto uguale, allora la produzione letteraria può correre il medesimo rischio. A meno che, come l’autore di Mimesis, non si pronostichi l’avvento di una sola cultura (che è ben diverso dal pronosticare una cultura unica) organizzata per diverse lingue, le cui finzioni non appartengono solo alla fantasia di un singolo popolo, o di una nazione, ma sono universalmente comprensibili, umane senza eccezioni, legate tra loro da «un rapporto di amicizia o di rivalità», ma comunque un rapporto che è «fonte di tensione e di fecondazione reciproca».
Chiosando ancora da Letteratura mondiale e metodo: «La nostra patria filologica è la terra; la nazione non lo può più essere … Dobbiamo tornare, in circostanze differenti, a ciò che la cultura pre nazionale del Medioevo già possedeva: la coscienza che lo spirito non è nazionale».
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