Con il suo romanzo Alice Valeria Oliveri affronta la televisione commerciale ma anche le implicazioni con i social. La protagonista, Anita, ribalta la profezia secondo cui i Millennials sarebbero stati rovinati dal piccolo schermo
Un giorno senza nessun preavviso è arrivato il senso di colpa. È uno stato di tensione che si prova per paura e l’ansia d’un giudizio negativo di qualcuno a cui teniamo e la cui sentenza può condannarci al rimpianto o la disillusione.
Guardavo molta televisione, e ho cominciato a farlo come tanti di noi e come racconta il romanzo di Alice Valeria Oliveri Sabato Champagne. Da Solferino. «Da piccola, quando ero sola, passavo molto tempo davanti alla tv. La mia solitudine non era né malinconica né tragica, era autosufficiente».
L’autosufficienza è una delle parole chiavi delle minute, apparentemente innocue, dipendenze. La sensazione per un determinato segmento di tempo di poter vivere solo della propria dipendenza. È la stessa di un’anestesia, dove ti convinci che i dolori, il male, la paura, le aspirazioni mancate, non ci siano più.
“Guardare la televisione brucia gli occhi”, leitmotiv terrorizzante di uno dei tanti filoni della pedagogia nera, la tv ci ingobbiva, ci rincitrulliva, e anche da adulti, quel tocco di moralismo in alcuni ambienti sopravvive.
Certo la televisione è tema masticato da decenni oggi parlarne ha quasi perso verve, al sociale è subentrato il politico condito dal frivolo. Da adulto la tv è diventata un’occasione di chiacchiera mondana, il commento sul falò di Temptation Island lo azzardo con chi appartiene alla setta dove certe cose si guardano con l’oscura convinzione che quello che si sta vedendo non lo faremmo mai (forse).
Woobinda di Aldo Nove, un’opera letteraria visionaria del 1996 fatta di racconti che fingevano d’essere strappati dal senso, interrotti, abbozzati e invece scorrevano come gli spot incongrui di un rullo pubblicitario tra due scene d’un film, continua a essere tra gli approcci più originali al tema.
Nel racconto La merda il protagonista diciottenne per gesto ribelle e provocatorio, ma anche come tenera fedeltà al reale, conserva gli escrementi nel comodino perché marroni come la terra visto che invece le pubblicità mostra pannolini e assorbenti con liquidi blu. Ma l’orina è gialla e la merda marrone.
Quando il protagonista Edoardo capisce che la tv lo sta ingannando diventa trentaquattrenne e dichiara «Bisogna cambiare la situazione politica. Fare qualcosa per questo mondo».
Il romanzo
Ventotto anni dopo, il romanzo di Alice Valeria Oliveri sembra rispondere a quella provocazione e affronta la televisione commerciale ma anche le implicazioni con i social attraverso un romanzo che sfugge alla definizioni letterarie poiché unisce vari stili, saggio, reportage, romanzo di formazione.
La protagonista della storia raccontata da Oliveri si chiama Anita, ed è un esemplare della generazione Millennials, coloro a cui la televisione commerciale avrebbe dovuto rovinare la vita, secondo alcune infauste previsioni.
Ma sia Anita, sia l’autrice del romanzo ribaltano la profezia e usano la televisione non per farsela rovinare, ma per impararla, la vita. La protagonista si fa ipnotizzare dal Grande fratello dove si crea il connubio tra vecchia e nuova televisione, quella dei divi e quella che trasforma le persone semplici, i cosiddetti Nip, nei nuovi Vip della televisione del futuro. «Mi piace Salvo del Grande fratello, perché dice quello che pensa» confessa Agata ad Anita in un improvviso moto di confidenza, eleggendo la sincerità a modello delle proprie aspirazioni umane.
Educazione sentimentale
Il reality trasforma il mondo di chi osserva la televisione, quelli che la fanno adesso sono come noi, dicono quel che pensano, «sono semplici e spontanei». La tv oggi non è solo un palinsesto di trasmissioni e film, ha alimentato l’illusione di essere reale e forse più reale ancora di quello che lo spettatore vive, e infatti Alice Valeria Oliveri racconta che Anita guardando Uomini e donne di Maria De Filippi, trova e forma la sua educazione sentimentale. «Era la mia scuola di sentimenti. Lo spettacolo che prendeva vita era ipnotico perché istintivo e animale: niente a vedere con il controllo e il rigore che sentivo dominare la mia esistenza…»
Le cose mutano, arriveranno i social connettendo mondi lontani e formando nuovi tipi di desiderio, cambierà anche la televisione, e tutto ciò viene raccontato dalla candida voce della protagonista, che ha un grande vantaggio, ed è forse la sua caratteristica letteraria che la rende più interessante. Resta lucida, riesce a stare tra i due mondi, ciò che si ritiene basso e l’alto. Ma attenzione, quel che è alto non è la letteratura e il basso la televisione. È lo sguardo che dà valore alle cose.
Anita cresce con i suoi modelli nel corso del romanzo inizia a lavorare in tv, perché ha introiettato quel mondo, sa come muoversi, sa chi sono le persone che vogliono stare nel mondo dello spettacolo e quelle che non possono starci, sa come deve essere il tappeto che copre lo stomaco, quanto turarsi il naso. Anita è la generazione della televisione commerciale, quella in cui la tv rappresentava ancora un innocente svago come le bollicine di un metodo classico, ma è anche il mezzo che accarezza il desiderio che si nasconde nella coscienza dei suoi spettatori.
Un desiderio di felicità, successo, vanità, oppure semplicemente il desiderio di sentirsi come gli altri. Silvio Berlusconi dirà che la televisione è lo champagne di chi non se lo può permettere. Citazione che ispira il titolo del romanzo. Ma l’euforia dell’alcol dura poco, il troppo obnubila e ammala. Forse noi quarantenni e cinquantenni l’obnubilamento l’abbiamo vissuto con meno strumenti, un divertimento innocuo come gli altri, ma con le conseguenze di un hangover.
La realtà si modifica e lo spettatore ha oggi l’illusione di farne parte, il commento sotto un post o un sms mandato a 0,1613 euro per salvare il proprio beniamino da una nomina a un reality, contiene quel senso di autosufficienza, sentirsi dentro le cose della vita e non perderne contatto, di aver partecipato e in fondo di non essere mai davvero soli. La solitudine ha un prezzo troppo alto da pagare e non è mai un luogo a cui l’umanità sa abituarsi davvero.
Oliveri ci fa i conti, standoci dentro, senza giudizi e moralismi, e senza quel senso di colpa con cui chi scrive, chi legge, chi ha studiato a volte ne rimane impigliato, spaventato, per troppa coerenza o solo paura.
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