Alla base della passione collezionistica, nelle sue forme più coinvolgenti, c’è la tensione all’autoaffermazione del proprio prestigio attraverso il possesso degli oggetti. Per molti la collezione diventa una realtà totalizzante in cui proiettare interamente la propria identità: di costoro viene da dire che non sono tanto dei possessori quanto dei posseduti.  

A tale proposito, gli aspetti psicologici più profondi possono rivelare valenze piuttosto problematiche, come ha scritto con lucida durezza Mario Praz: «Sottoposta alla psicoanalisi, la figura del collezionista non ne esce bene, e dal punto di vista etico c’è certamente in lui qualcosa di profondamente egoistico, di gretto addirittura».

Questo giudizio è significativo perché il grande anglista era, per sua stessa ammissione, un collezionista maniaco che per sessant’anni è andato a caccia di mobili, quadri, sculture e arredi vari dell’epoca neoclassica per realizzare La casa della vita – per citare il titolo di un suo bellissimo testo autobiografico – un tempio privato del suo ideale di stile e bellezza, che per nostra fortuna è diventato una straordinaria casa-museo nel Palazzo Primoli di Roma, con oltre 1200 oggetti rimasti esattamente dove lui li aveva collocati.

Bisogna quindi mettere in evidenza il fatto fondamentale che la passione collezionistica, al di là dei suoi eventuali risvolti negativi, svolge un ruolo culturale di grande rilievo sociale soprattutto quando succede che, per vero mecenatismo, le raccolte private diventano un patrimonio messo a disposizione di tutti.

Chi era Cerruti

Come Praz, anche se si tratta di una figura con ben altre caratteristiche, il collezionista Francesco Federico Cerruti è riuscito a realizzare una sua casa-museo, a Rivoli, vicino a Torino, che alla fine della sua lunga vita è diventata nel 2017 un luogo espositivo aperto al pubblico.

Nato a Genova nel 1922, Cerruti si trasferisce da ragazzo a Torino con la famiglia. Studia da ragioniere e incomincia subito a lavorare nella piccola legatoria del padre, che alla sua morte eredita. Dopo la guerra, sotto la sua direzione, l’azienda rinasce con il nome di Lit (Legatoria Industriale Torinese) e si sviluppa diventando, grazie a nuove tecnologie, una delle più importanti imprese del settore. Arriva a stampare tutte le guide telefoniche d’Italia.

A partire dalla fine degli anni Sessanta la sua passione totalizzante diventa il collezionismo che si inaugura con l’acquisto di un disegno a inchiostro e acquerello di Kandinskij del 1918. Per la sua straordinaria raccolta fa costruire una villa a Rivoli, dove però non andrà mai ad abitare. Muore a Torino nel 2015 a 93 anni.

Figura schiva, austera, che detestava ostentare la sua ricchezza, e che ha sempre voluto, con uno snobismo alla rovescia, essere chiamato “ragioniere”, Cerruti viveva da solo in un modesto appartamento annesso alla sua azienda.

È una personalità che a buon diritto può essere inserita nella categoria affascinante e anche inquietante dei collezionisti compulsivi più eccentrici, con un carattere decisamente introflesso e anomalo. Per lui le opere d’arte non erano assolutamente uno status symbol con finalità mondane, ma neanche un investimento con interessi di guadagno, dato che non vendeva mai, salvo eventualmente per acquisire qualcosa di più importante.

Comprava spesso opere d’arte notificate, e quindi quasi fuori mercato, solo per il loro valore qualitativo. Come esempio emblematico del suo speciale rapporto con l’arte si può citare questo episodio. Si racconta che, avendo ricevuto dal Getty Museum di Los Angeles un’offerta molto alta per l’acquisto delle sue opere allegoriche di Pompeo Batoni, abbia risposto: «Va bene, ma quando non avrò più Batoni che me ne faccio dei soldi?».

Un microcosmo

La collezione è stata sviluppata ed è stata vissuta da lui come un microcosmo privato a cui aveva accesso solo un ristretto numero di persone amiche. Poiché la considerava come una sorta di opera d’arte totale, ha voluto salvaguardarne l’integrità anche dopo la sua morte trasformando tutta la villa-museo in una Fondazione. Nello statuto si precisa l’obbligo di mantenere intatto l’insieme, dalla collocazione delle opere a quella di tutti i mobili e di tutti gli altri oggetti dell’arredo.

In questo modo il fantasma di Cerruti continuerà ad abitare nella dimora che ha creato per la sua arte. Nel 2017 è stato stipulato un accordo tra la Fondazione e il Castello di Rivoli, al cui direttore è stato affidata la responsabilità di programmare l’attività e la valorizzazione di questo nuovo polo museale.

L’insieme dei tesori artistici custoditi nella villa-museo è impressionante: oltre trecento opere di pittura e scultura che vanno dal Medioevo alla contemporaneità, una raccolta di circa duecento libri e incunaboli antichi con preziose legature e più di trecento oggetti d’arredo, dai tappeti antichi ai mobili intarsiati.

Dal punto di vista cronologico, per quello che riguarda l’arte antica si inizia con i fondi oro medioevali; si prosegue con le tavole di soggetto sacro del Trecento e Quattrocento di maestri come Agnolo Gaddi, Bernardo Daddi, Gentile da Fabriano, Neri di Bicci e il Sassetta. Si passa poi agli artisti rinascimentali, tra cui Dosso Dossi e il Pontormo; e si arriva al Seicento e al Settecento con dipinti di Ribera, Fra Galgario, Giambattista Tiepolo e Pompeo Batoni. La pittura moderna è rappresentata da opere di grandi autori. Tra gli stranieri troviamo Renoir, Kandinskij, Jawlenskij, Klee, Picasso, Magritte, Ernst, Chagall, Giacometti e Bacon. Tra gli italiani possiamo citare Pellizza da Volpedo, i futuristi Boccioni, Balla e Severini. E poi Modigliani, Casorati, Giorgio de Chirico.

Una studiatissima messa in scena

Recentemente Carolyn Christov-Bakargiev ha curato un monumentale catalogo in due volumi (edito da Umberto Allemandi) con saggi e schede storico-critiche di studiosi specialisti. Concepito in due tomi, il catalogo documenta in modo completo l’insieme della raccolta. Ma per riuscire a rendersi veramente conto dell’eccezionale singolarità di questa collezione bisogna fare l’esperienza diretta immergendosi nell’atmosfera un po’ oppressiva e sacrale del luogo, soffermandosi con la dovuta attenzione in ognuna delle stanze della villa-museo, allestite da Cerruti con cura maniacale e con combinazioni e accordi di arredi, dipinti e sculture frutto di un gusto personale anche opinabile. L’effetto generale non è quello di spazi veramente vissuti ma di una studiatissima messa in scena di un sistema di oggetti in cui sembra mimetizzarsi la biografia segreta del loro proprietario.

Ed è per questo che l’aspetto più intrigante della visita va al di là dell’apprezzamento della qualità così notevole e variegata delle opere, e diventa quello della curiosità di scoprire possibili indizi sull’enigmatica identità psicologica e esistenziale del collezionista. Un’esplorazione interessante proprio perché le notizie biografiche non aiutano molto in questo senso.

Entrando, al primo piano, nello studio in cui troneggia una scrivania barocca, ci sono scaffali dove è custodita una preziosa raccolta di libri antichi e di legature, e tra i quadri alle pareti uno scuro San Benedetto di Tanzio da Varallo a cui fa da contrappunto decisamente spiazzante la luminosa e sensuale Jeune Fille aux roses di Renoir.

Un accoppiamento che ci lascia immaginare che per Cerruti libri e legature siano collegati con la sua attività imprenditoriale; e che la regola di San Benedetto “ora et labora” rappresenti l’ideale della sua propria etica cristiana di vita all’ombra inquietante delle (proustiane) fanciulle in fiore.

La sala della musica ha due protagonisti: il pianoforte a coda su cui è collocata una solitaria figura di Giacometti, e soprattutto il Ritratto di gentiluomo con libro del Pontormo, un capolavoro che sembra incarnare simbolicamente al livello più alto l’anima stessa della collezione.

I dipinti di de Chirico, l’artista moderno da lui più amato, sono collocati in modo infelice proprio sulle specchiere barocche della camera da pranzo, forse per contrapporre direttamente i fluttuanti riflessi della realtà esterna alla enigmatica sospensione vitale metafisica.

Al piano superiore c’è la stanza da letto della madre (mai usata) che pare impregnata della presenza/assenza del suo ingombrante fantasma. E c’è infine la stanza della “torre”, con un gruppo di fondi oro gotici, luogo emblematico della più elevata aspirazione spirituale dell’estetismo di Cerruti.   

       

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