Nel tempo della tecnologia e della finzione, si scontrano corpi alieni, che si mostrano nelle loro peculiarità. Non è fantascienza: è la storia di persone comuni e di modelli da inseguire, in continuo contrasto fra loro
Nel 2014 gli organizzatori di Mr Olympia, la più nota manifestazione internazionale di bodybuilding che ha avuto nel suo albo d’oro gente come Arnold Schwarzenegger o Ronnie Coleman, decisero di cancellare dalla parallela gara femminile (la meno nota Ms Olympia) la categoria Open, cioè quella senza limiti di peso e sostanzialmente permissiva sull’uso degli steroidi anabolizzanti.
La giustificazione addotta fu che le concorrenti alla competizione Open stavano “perdendo femminilità”; la categoria fu sostituita da altre più soft, come le categorie Wellness o Bikini. La campionessa che fino a quel momento era considerata imbattibile negli Open, Iris Kyle, partecipò alla gara Wellness, ma arrivò soltanto nona in quanto considerata “too big”.
Si disse anche che il provvedimento era stato preso in difesa delle donne, perché l’uso continuato di anabolizzanti inibiva il ciclo mestruale; qualcuno fece notare che gli steroidi anabolizzanti rendevano i maschi analogamente sterili, ma si rispose che per le donne era più grave, come se il corpo delle donne, avendo la titolarità della gravidanza, sopportasse una maggiore responsabilità “collettiva”.
Nel 2016 un’altra atleta maciste, Irene Anderson, scrisse una lettera direttamente a Schwarzenegger: «Tu, la persona più importante nel bodybuilding, hai negato a noi donne la possibilità di seguire i nostri sogni e di essere chi volevamo essere… forse hai paura di una donna grossa e muscolosa? Pensi di essere meno uomo se sono più grossa di te?»
Nel 2020 la categoria Open fu ripristinata, ma il premio per la vincitrice ammonta ancora oggi a un quarto di quel che prende il vincitore. Ho trovato questo gustoso e intrigante aneddoto in un bel libro di Francesca Marzia Esposito: Ultracorpi. La ricerca utopica di una nuova perfezione (minimum fax).
Troppo
Esposito è stata ballerina e ha un fratello che pratica il bodybuilding: ma l’aggancio autobiografico è nel libro poco più che un pretesto narrativo (più denso quando parla delle esperienze vissute in proprio, più vago quando riporta un dialogo col fratello composto solo dalle risposte di lui senza le domande di lei); il libro si presenta in realtà come un saggio su due estremi della corporeità: il troppo massiccio e il troppo esile, il corpo come fortezza difensiva e il corpo che tende alla leggerezza favolosa della silfide; ultracorpi, appunto.
Di entrambi si citano gli esempi che arrivano a mettere a rischio la salute: Valdir Segato da una parte, il bodybuilder brasiliano morto a 55 anni perché si iniettava il Synthol (un olio che aumenta il volume dei muscoli ma non può venire assorbito dagli organi), dall’altra le varie accuse di favoreggiamento dell’anoressia, che di volta in volta hanno coinvolto perfino la Scala e le “farfalle” della ginnastica ritmica.
Delle analogie psicologiche tra bodybuilding e anoressia si è parlato molte volte: attenzione ossessiva per le diete, sensazione di non essere mai “abbastanza”, schiavitù dello specchio, ricerca di una perfezione disumana. Insomma una fuga dal corpo ‘normotipo’ per evadere verso l’utopia di un corpo astratto; una fuga ripagata dai “normotipi” in modo asimmetrico, ridicolizzazione per i bodybuilder e compassione per le anoressiche.
Nel libro di Esposito la cosa più nuova e interessante è che entrambe le passioni puntano verso una indistinguibilità dei sessi; le foto di Iris Kyle, a cercarle su internet, ci appaiono in effetti come le immagini di un robusto corpo maschile, mentre quelle di Ashton Edwards (il ballerino gender fluid in tutù e sulle punte) chiunque le direbbe immagini di una ballerina.
Mutazioni
Non solo: il libro allarga pian piano il proprio orizzonte oltre le due categorie specifiche e settoriali, spingendoci a riflettere su alcune mutazioni in atto nel modo stesso di considerare i corpi nella nostra contemporaneità occidentale.
Primo aspetto tra tutti, il discredito della biologia diciamo tradizionale, con le sue partizioni binarie: il triangolino luccicante che copre la zona del pube, unico indumento ammesso in gara, è il solo che non viene giudicato nelle competizioni di bodybuilding. Nel Lago dei cigni del coreografo Matthew Bourne tutti i cigni sono ballerini maschi, ma la cosa non è fatta per scatenare il riso come avveniva da sempre nelle parodie “en travesti”. I ballerini rivendicano in tutta serietà il diritto di danzare «trascendendo l’identità stereotipata di genere per riconvertirsi in una nuova grazia». In Lara, il film di Lukas Dhont, protagonista è una ragazzina in transizione M to F, e a interpretarla con grande credibilità è il ballerino Victor Polster. Ma la sensibilità della Esposito appare in pieno quando confronta il corpo di Rudolf Nureyev («un corpo novecentesco, con tutta la furia del tempo storico… una perfezione che partiva dal corpo irregolare») con quello di Roberto Bolle che «ripensa la danza in versione Rai1, formatta il succo teatrale e lo ricalibra sull’attenzione di un pubblico neofita». Entra qui il secondo aspetto interessante: come sta mutando il corpo nel contesto dei media di massa.
Multicorpi
Il corpo virtuale esibito sui social (aggiustato col Photoshop, sempre in posa per un selfie) si riverbera sul dover essere dei corpi reali, nell’ansia di «diventare uguali al nostro avatar». Il corpo in carne e ossa viene sempre più spesso surrogato dall’immagine del corpo, vedi le ragazze e i ragazzi che fanno i soldi esponendosi su OnlyFans, o quelli che ormai dichiarano di preferire il sesso online a quello in presenza; l’ingenuo desiderio di “gestire liberamente il proprio corpo”, senza etichette e senza giudizi, cade nella contraddizione di una cultura che ha elevato il corpo a feticcio, con una miriade di “aiutini” sia cosmetici che chirurgici («il nostro corpo materiale diventa una sorta di piattaforma ricreativa»).
La spinta a tirarsi fuori da vecchie definizioni discriminatorie porta in realtà a nuove etichette geometricamente rovesciate; non più la Barbie bianca e bionda, ma la Barbie nera e la Barbie down. Se le ragazze in carne e ossa somigliano a quelle disegnate, il cerchio si chiude nei post grotteschi di Yuri Tolochko, un bodybuilder che ha pubblicizzato su Instagram il proprio matrimonio con una bambola in silicone.
La boyband cinese Acrush (formata invece da sole ragazze e campione di follower su Weibo) a vederla in video sembra creata con l’intelligenza artificiale. Come controcanto alla perfezione corporea c’è il successo del corpo “weird”, strano o malato; su X e TikTok le anoressiche rastrellano offerte facendosi riprendere intubate e col sondino nel naso, o mentre terrorizzate affrontano il loro “fear food”, il cibo che le spaventa di più. Altro che libertà: «Quanti corpi abbiamo da inseguire», sbotta a un certo punto la Esposito, «troppi corpi per una sola persona».
Duttilità
Dopo averlo letto, vien voglia di abbandonare il libro e proseguire da soli, ringraziando per l’abbondanza di esempi e di suggestioni. La duttilità del corpo contemporaneo assume la maschera della tecnologia benefica e terapeutica: per esempio le “reti neurali” computerizzate che, applicate al cervello dei tetraplegici, potrebbero consentire loro di comandare dei congegni senza dover usare le mani, con la sola forza cerebrale; o gli studi per ottenere ovuli e spermatozoi artificiali dalle cellule staminali, eliminando la necessità di ricorrere a donatori o donatrici per la fecondazione assistita.
Ma può assumere anche la semplice forma del divertimento, con l’inserimento di chip e addizioni tecnologiche che potrebbero fornire piaceri nuovissimi. O magari, perché no?, potrebbero essere semplici supporti alla pigrizia, rendendo inutili gli spostamenti. (Nel libro della Esposito si cita L’isola dei senza memoria di Yoko Ogawa, in cui gli abitanti dell’isola hanno dimenticato l’uso della gamba sinistra).
Ultracorpi da una parte, e, chissà, sottocorpi dall’altra. Non c’è bisogno di ricorrere alla fantascienza, ogni giorno nel centro di Milano si incontrano corpi improbabili, guardati dai comuni cittadini come corpi alieni. Col venir meno della formalizzazione nell’arte, la stilizzazione si rovescia sulla realtà. Corpi improbabili vanno incontro a imprevedibili soluzioni, come si fa a non essere curiosi?
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